capitolo 1

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Finisco di sistemare le ultime magliette nei cassetti per poi sedermi sfinita sul letto e guardare la pila di scatoloni che devo ancora sistemare;
Domani è il primo giorno di scuola, una nuova scuola, mi sono trasferita qui a Los Angeles per questioni di lavoro dei miei genitori, e nonostante quando ho ricevuto la notizia l'ho presa abbastanza male, credo di essermi innamorata di questa città, l'aria di libertà che si respira anche solo attraversando in macchina le strade è qualcosa di magico.
Mi siedo sul letto a riflettere su ciò che mi sta accadendo, inizio a fantasticare su cosa potrebbe succedere domani e sento l'ansia bruciarmi come fuoco, non ho una bella esperienza con la scuola, per molti anni sono stata vittima di bullismo e questo mi ha cambiato tanto, quegli anni hanno lasciato un segno indelebile dentro di me e sulla mia pelle, come un pennarello indelebile su un foglio; sono passata da essere una bambina spensierata un adolescente che avrebbe dato di tutto pur di smettere di vivere; non avevo nessuno, i miei genitori non ci sono mai stati per me, ero sola, sola in una tempesta; mi son sempre sentita fuori luogo e per tutta la vita ho avuto la sensazione di essere incompleta, come se una parte di me se ne fosse andata molto tempo fa...
Mi alzo di scatto scacciando via tutti i pensieri che mi ronzavano nella testa, mi cambio mettendomi il pigiama e mi stendo nel letto addormentandomi poco dopo.
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La sveglia suona diffondendo il fastidioso rumore per tutta la stanza, mi alzo a fatica e ancora assonnata mi dirigo verso il bagno, mi faccio una doccia e inizio a prepararmi accompagnata da una strana sensazione, un misto tra ansia e... paura oserei dire, paura che tutto quello che è successo si possa ripetere, ho paura che tornino le prese in giro, gli schiaffi, e le notti chiusa nel bagno a piangere.
È una giornata ventosa, quindi metto la mia solita felpa e un paio di jeans, indosso le converse ed esco. Devo convincermi del fatto di non essere più la vecchia Alice, una nuova scuola, una nuova città, una nuova vita e una nuova me.
Arrivo a scuola e tutti mi fissano, mi guardo intorno e individuo già dei gruppi, c'è quello dei "fighi" e delle snob, dei ragazzi popolari insomma, quelli che danno feste, escono tutti i weekend e si ubriacano fino a non ricordare nulla il giorno dopo, ci sono gli sfigati, li riconosci perché sono in un angolo, che leggono o ripassano, o fanno discorsi e dibattiti su argomenti seri, come la politica, e per finire individuo gli sportivi, indossano tuta e scarpe da ginnastica, parlano dei risultati delle partite e di cose simili; a distrarmi dai miei pensieri è la campanella, attraverso velocemente il giardino e mi dirigo in segreteria, devo ritirare il foglio con l'orario, il numero dell'armadietto e tutte le altre informazioni utili, appena entro mi accoglie una gentile signora ''tu devi essere Alice, la ragazza nuova vero?'' annuisco accennando un sorriso ''sei proprio una bella ragazza, vedrai che ti troverai bene in questa scuola, il preside vorrebbe darti il benvenuto di persona, tra qualche minuto sarà libero, puoi accomodarti la" sorride rassicurandomi e indicando delle poltroncine rosse, magari non sarà così male come credo...
Il preside sta animatamente discutendo con qualcuno, quando sento che le voci si placano mi alzo e mi avvicino alla porta, sto per afferrare la maniglia quando viene spalancata e un ragazzo mi viene a dosso, è parecchio alto, mi guarda ''sta attenta'' dice per poi andarsene, mi ricompongo velocemente ed entro a parlare con il preside, mi spiega tutti gli orari dei corsi e le attività extrascolastiche, e dopo una lunga chiaccherata mi accompagna alla mia classe, alla prima ora a quanto pare avrei avuto matematica.
Entro il classe ed il professore mi si presenta, dopo aver salutato il preside si rivolge in modo quasi solenne alla classe "lei è Alice, la vostra nuova compagna, si è appena trasferita qua, fatela sentire a casa" conclude andandosene, tutti mi guardano, riconosco qualche volto visto stamattina in cortile e mi sembra anche di intravedere il ragazzo di prima. Faccio una veloce panoramica della classe notando che l'unico posto libero è nell'ultimo banco proprio accanto a quello che mi pare il ragazzo di prima.
Il prof chiede silenzio e dopo aver dato una veloce occhiata alla classe dice "Alice vai pure all'ultimo banco vicino a Jones " mi dirigo a passo veloce verso il mio banco e mentre è distratto osservo quello che sarà il mio compagno di banco e devo ammettere che è proprio carino, peccato che anche solo guardandolo in faccia si capisca che è uno stronzo spocchioso.
Mi siedo e tiro fuori il materiale "ciao" sento la voce del ragazzo accanto a me "ciao" dico velocemente, non ho voglia di stare a sentire una noiosa lezione di matematica quindi mi metto a disegnare su un quadernino che porto sempre con me, disegnare è il mio sfogo, è iniziato tutto quando venivo presa in giro, mi chiudevo in camera 2-3 ore e disegnavo dimenticandomi di tutto e di tutti, non sono brava, però quando disegno mi sento libera, è l'unico modo che ho di isolarmi e sentirmi bene con me stessa, quando disegno la mia unica preoccupazione è quella di riuscire a rappresentare al meglio ciò che provo, esprimo miei stati d'animo e le mie emozioni sotto forma di disegni.
Senza staccare gli occhi dal foglio allungo la.mano per prendere la gomma che avevo lasciato sul banco poco prima, non trovandola alzo gli occhi e guardo il pavimento per cercarla, ma non c'è traccia, sento una risatina e che qualcuno mi sta guardando, mi volto verso il ragazzo accanto a me e dico in tono forse troppo scortese "che vuoi?" "Nulla, mi annoiavo e ti stavo guardando" dice, noto che tra le mani tiene la mia gomma giocandoci, faccio un respiro profondo poi chiedo nel tono più gentile possibile "ti dispiace ridarmela?" Mi guarda e vedo un tono di sfida nel suo sguardo "e se io non te la dessi?" Il suo atteggiamento mi da sui nervi, non sopporto e non ho mai sopportato le persone strafottenti "perfavore dammela" ripeti, fa cenno di no con la testa ed io lo ignoro, dopo poco sento che poggia la gomma esattamente dove si trovava prima .
Le ore passano troppo lentamente per i miei gusti, ma al suono della tanto attesa campana aspetto un po' , per incontrare meno gente possibile, dopo almeno dieci minuti ad aspettare che l'afflusso di persone nei corridoi cessasse, esco dalla classe, e attraverso a passo svelto il corridoio, imbattendomi in quello che stamattina ho definito il gruppo dei fighi, cammino dalla parte opposta del corridoio cercando di passare inosservata, ma un coro di fischi e parole confuse si innalza quando passo davanti a loro "dai sfigatella vieni qui" "siamo dei bravi ragazzi" "su non fare la preziosa verginella'' continuo a camminare mostrandomi indifferente, ma una mano dopo poco mi afferra la spalla costrogendomi a voltarmi, vedo il mio compagno di banco "hey sfigatella dove vai" chiede sorridendo "a casa" rispondo freddamente "che ne dici di venire con noi" ribatte dandomi una leggera spinta nella direzione opposta a quella in cui stavo andando "no grazie ho di meglio da fare"
"Andiamo sfigatella, vieni con noi che ci divertiamo"
La sua presa si fa più forte e nonostante cerchi di divincolarmi non ci riesco "ho detto no"
"Questo lo vedrem- le sue parole vengono interrotte dalla voce di quello che credo sia il bidello "che cosa ci fate ancora qui?! Andatevene ! Subito" approfitto del suo momento di distrazione per divincolarmi e riprendo a camminare velocemente "non è finita sfigatella" sento urlare dietro di me prima che possa uscire dalla scuola; corro verso la fermata dell'autobus e riesco a prenderlo per poco, torno a casa finalmente, suono ma nessuno mi apre, cerco disperatamente le chiavi in borsa trovandole dopo cinque minuti buoni r finalmente dopo quella che mi sembra un'odissea riesco ad entrare in casa, poggio lo zaino e noto un bigliettino sul tavolino vicino all'ingresso
《cara Alice, io e papà abbiamo molto da fare, torneremo tra due giorni scusa se non ti abbiamo avvertito.
Un abbraccio》
Rimango qualche secondo a fissare il biglietto che mi hanno scritto, non si sono nemmeno degnati di chiamarmi...
Mi preparo il pranzo e faccio i compiti in velocità, la mia scrivania affaccia su una bellissima finestra dalla quale si può vedere una buona parte di città, visto che sono sola e non ho niente da fare posso farmi un giro penso, prendo lo zaino,ci butto dentro il necessario per disegnare e mi avvio verso un parchetto abbastanza vicino a casa mia; arrivo dopo pochi minuti e cerco un posto tranquillo e possibilmente all'mbra visto che fa un gran caldo, individuo un albero e mi vado a sedere sotto la sua ombra, infilo le cuffiette e mi guardo attorno cercando l'ispirazione, ci sono tanti bambini che giocano tra di loro, altri che stanno con i genitori ed altri invece che giocano col proprio cagnolino, io non ho mai avuto tutto questo, penso, ho sempre sognato di avere un infanzia così, per molti bambini è scontato passare del tempo con i propri genitori, per me no, i miei erano sempre fuori, non ho mai avuto una vera e propria infanzia, stavo sempre all'asilo dalle suore che mi bacchettavano le mani per ogni cosa che dicevo o che facevo, i miei scaricavano le colpe dicendo che volevano crescessi con dei sani principi cattolici, volevano che fossi una ragazza chiesa e scuola, ma hanno miseramente fallito...
Inizio a disegnare, e mi sento serena, dopo circa mezz'ora una figura si presenta davanti a me...

Avevamo Detto Per SempreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora