Ore 19.35, ufficio del primo ministro.

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La pettinatura non era più perfetta come prima. Una ciocca indurita e decolorata le cadde sugli occhi. Afferrata la borsetta, l'aprì per estrarre un fazzoletto stirato di fresco. Se lo portò prima alla bocca per poi passarlo sulla fronte. Adesso sarebbe entrata. Poteva essere successo qualcosa. Birgitte Volter aveva staccato il telefono, costringendola a bussare. Forse aveva avuto un malore. Anche se Wenche Andersen aveva molto da obiettare sullo stile alquanto brusco e insolito di Birgitte Volter, doveva riconoscere che il primo ministro normalmente era molto gentile. Invece quell'ultima settimana era stata pressoché secca e quasi sgarbata, stizzosa e facilmente irritabile. Era malata? Adesso sarebbe entrata nell'ufficio. Adesso. Invece di disturbare il primo ministro, si diresse verso la toilette. Rimase a lungo davanti allo specchio. Il suo aspetto era inappuntabile. Si lavò a lungo, molto a lungo le mani, poi prese un tubetto di crema dall'armadietto sotto il lavandino. Non era necessario, le mani le divennero tutte appiccicose, ma in quel modo poteva far passare del tempo. Si massaggiò le dita con cura strofinandole tra di loro mentre sentiva l'epidermide assorbire la crema. Senza volerlo, guardò nuovamente l'orologio. Emise un profondo respiro. Erano passati soltanto quattro minuti e mezzo: le piccole lancette d'oro erano rimaste praticamente immobili. Sconsolata e in preda all'ansia ritornò al suo posto. Perfino il suono della porta del bagno che le si richiudeva alle spalle sembrava pauroso. Adesso doveva entrare. Dopo essersi alzata per metà, Wenche Andersen esitò un attimo prima di risedersi. Il messaggio era stato chiarissimo. Birgitte Volter non doveva essere disturbata. <<Cascasse il mondo>>. Ma il primo ministro non aveva neanche detto che Wenche Andersen poteva andare a casa, e sarebbe stato inaudito lasciare l'ufficio prima di averne avuta l'autorizzazione. Adesso sarebbe entrata. Doveva. Con la mano sulla maniglia appoggiò l'orecchio alla porta. Nessun suono. Con cautela picchiò con il medio sul legno. Anche questa volta non sentì nulla. Aprì la porta più esterna prima di ripetere il gesto. Inutilmente. Nessuno disse <<Avanti>> nè <<Non voglio essere disturbata>>. Nessuno disse niente di niente e Wenche Andersen non sudava più soltanto sul labbro superiore. Con fare cauto ed esitante, e con la possibilità di richiudere la porta in un baleno qualora Birgitte Volter fosse concentratissima su qualcosa di molto importante, socchiuse la porta. Purtroppo da quella posizione e con un'apertura di appena dieci centimetri, era in grado di vedere soltanto l'estremità più lontana del gruppo di poltroncine con il tavolo rotondo. Di colpo, presa da una risolutezza che non conosceva da parecchie ore, Wenche Andersen spalancò la porta. - Mi scusi, - esordì ad alta voce. - Mi scusi se la disturbo, ma... 
Non avrebbe più senso aggiungere altro.
Il primo ministro Birgitte Volter era seduta sulla sua poltroncina girevole con il busto riverso sulla scrivania. Ricordava l'immagine di una studentessa che, giunta la sera, dopo aver trascorso l'intera giornata in una lussuosa sala di lettura a prepararsi in vista degli esami semestrali, ora volesse soltanto schiacciare un pisolino, riposarsi un pò. In piedi sulla soglia, a distanza di sei metri e mezzo, Wenche Andersen lo vedeva comunque nitidamente: il sangue che aveva formato una pozza grande, stagnante sopra la bozza di legge da sottoporre al Parlamento sulla collaborazione al trattato di Schengen. Era così visibile che Wenche Andersen non si avvicinò neppure al corpo senza vita di Birgitte Volter per vedere se fosse possibile aiutarla, andare magari a prenderle un bicchier d'acqua o porgerle un fazzoletto per togliere tutto quello sporco. Invece, richiuse le due porte che davano nell'ufficio del primo ministro, questa volta con movimenti decisi, si diresse verso la propria scrivania e afferrò il telefono che aveva una linea diretta con la polizia di Oslo e precisamente con la centrale operativa. Bastò un solo squillo perchè una voce maschile rispondesse all'altro capo.

- Dovete venire immediatamente, - disse Wenche Andersen, la cui voce tremava appena. - Il primo ministro è morto. Le hanno sparato. Birgitte Volter è stata uccisa. Dovete venire. Poi, riagganciata la cornetta, afferrò un altro telefono che era collegato ai servizi di sicurezza. - E' l'ufficio del primo ministro, - esordì, adesso con voce più calma. - Bloccate l'edificio. Nessuno deve entrare né uscire. Soltanto la polizia. Ricordatevi il garage. Senza aspettare risposta, interruppe la comunicazione e compose un numero formato da quattro cifre. - E' l'ufficio del primo ministro, - ripeté. - Il primo ministro è morto. Attivate il piano di emergenza.

Wenche Andersen continuò a svolgere il suo dovere così come lo compiva sempre: in modo sistematico e senza errori. L'unico dettaglio che avrebbe potuto smascherare come quel venerdì sera fosse assolutamente fuori dal comune, erano le due piccole macchie violacee che continuavano a espandersi sulle sue guance.

In compenso le coprirono il viso in poco tempo.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 02, 2017 ⏰

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