L'inverno mi faceva schifo.
Odiavo il freddo che si insinuava dentro le ossa, il vento che mi lacerava la pelle, il viso, che già squartato lo avevo.
Camminavo in questa schifosa notte d'inverno per buttare giù dal letto quel coglione che doveva farsi trovare un'ora fa allo spiazzo. Kris mi faceva incazzare, era sempre così, sembrava lo facesse apposta. Bisognava sempre andare fino casa sua e fargli alzare quel culo dal letto. Non bussai neanche quando arrivai davanti alla sua porta, non l'avevamo mai fatto. Eravamo entrati così nelle nostre vite, così senza chiederci il permesso.
Sua madre stava guardando la TV quando entrai. Voltò un attimo la testa e mi salutò sorridendo. Sempre assorta nei suoi pensieri, tra le nuvole.
«È in camera» disse, ma io lo sapevo già. Non proferii parola, che se la salutassi non mi avrebbe sentito comunque.
Salii quelle scale che conoscevo a memoria, che ad ogni passo scricchiolavano con la stessa tonalità, quasi ci vivevo a casa sua. Aprii la porta della sua camera e lo ritrovai disteso a pancia in giù sul letto, che russava. Lo stronzo russava, pure.
«Kris» lo scossi, ma ricevetti solo dei grugniti.
«Cazzo, svegliati!» imprecai, scuotendolo più forte e «Chiudi quella bocca, Erin» mugugnò sopra il cuscino. Si alzò a sedersi a guardarmi male. Mi guardai intorno. I vestiti erano come sempre sparsi sul pavimento o raccolti sulla sedia, le nostre foto attaccate a quel muro, dove presto l'intonaco sarebbe ceduto, anche grazie a tutta quella muffa che si era creata agli angoli; l'odore di sigarette impregnato nelle pareti e la finestra socchiusa: questa era la camera di Kris.
«Che ore sono?» biascicò.
«Sono le dieci e un quarto, dovevamo trovarci un'ora fa». Mi lasciai cadere sulla poltrona dal tessuto bruciacchiato e accesi una sigaretta.
Si alzò pesantemente per andare in bagno e manco notai che indossava solo un paio di boxer e una canottiera che lo coprivano. Con quel freddo che c'era solo i pazzi si potevano vestire così. Non mi imbarazzavo, lo avevo visto così tante volte.
Tornò in camera e si avvicinò a me. Mi prese di mano la sigaretta e la finì. Eravamo due stronzi, ma non ci bastava mai. Mi fumò davanti al viso, appoggiando una mano sul braccio della poltrona. Si piegò con la schiena, per stare faccia a faccia e buttò il fumo sul mio viso. Rimasi indifferente, sbattei solamente le palpebre. Mi guardava fisso negli occhi e sentivo la pressione dei suoi, la tensione era troppo alta in quella camera. Quegli occhi mi macchiavano l'anima, il corpo, le parole. Perché io ero Kris e lui era più me. Mi guardava con un sorriso malizioso, di uno che sapeva di avere tutto il potere nelle sue mani, mentre il fumo della sigaretta creava disegni distorti nella stanza. Sentivo il suo profumo riempirmi i polmoni, ero contaminata di lui.
Mi facevano quasi venire i brividi i suoi sguardi, la sua pelle nuda, ma lo odiavo comunque. Ci odiavamo entrambi per l'effetto che ci procuravamo l'un l'altro e di quanto fosse peccato il nostro bisogno.
Posò le sue labbra sulle mie, umide e leggere, succhiò il labbro inferiore e iniziò ad essere più violento. E in quel bacio ci fu il più schifoso inverno, perché tutto era sbagliato, ma così normale per noi. Lasciò cadere il mozzicone a terra e mi prese in braccio, facendo circondare le mie gambe intorno ai suoi fianchi. Sentii la superficie fredda del muro a contatto con la mia schiena. I nostri baci erano scontrosi, violenti e sanguinanti. Portavano tutta la nostra aggressività che ci segnava la pelle. Mi scavava a fondo, Kris, e a lui non importava di vedere il nero che mi tenevo nascosta. Le mie fragilità. Le nostre lingue si scontravano fameliche e quei suoi baci sul mio collo erano qualcosa di infernale.
Finimmo sul letto, di nuovo e piano piano tutto svanì.
Mi tenne stretta al suo petto, abbracciandomi, con i cuori tachicardici.
«Sei uno stronzo» e lui sospirò piano.
«Anche tu».
Mi accarezzava i capelli, piano e certi momenti te li porti dentro. Dello spiazzo non ce ne ricordammo più.La mattina seguente avevamo scuola e io feci un gran fatica ad alzarmi. Lo maledissi nella mente quell'idiota. Non feci colazione e mi avviai, mamma era già al lavoro. In fondo alla strada c'era Kris che fumava e mi aspettava, come ogni mattina.
«Belle occhiaie» e io «Guardati le tue».
Anche la nostra scuola faceva schifo, come la nostra periferia. Qua la luce non passava tra le nuvole, regnava un grigio statico, la luce te la dovevi creare.
Il vento tirava meno questa mattina, ma questo freddo lo sentivo comunque e non riuscivo a capire se fosse il tempo o Kris.
Kris se ne fregava, come se ne fregava di tutto. A parte di me, e io lo sapevo e glielo facevo pesare. Quando fummo davanti al cancello arrugginito si fermò e mi lasciò andare avanti.
«Che fai?» lo squadrai, voltandomi.
«Io oggi non ci vengo, ci vediamo dopo» e se ne andò ritornando indietro. Io mi dissi che quello era completamente uscito di testa.
Mi faceva incazzare quando mi lasciava da sola per andarsene a fumare allo spiazzo con quei drogati. Mi faceva incazzare che qualcun'altro che non fossi io lo stesse distruggendo, perché quello era compito mio. Non poteva distruggersi da solo, non glielo avrei permesso.
A lezione non ascoltai nulla e dopo due ore credevo di stare per impazzire lì dentro senza lui. Perché dove andava lui, andavo io. Lo sapevano tutti. Decisi di uscire per andare a prenderlo di nuovo, per spaccargli la faccia.
Ad arrivare allo spiazzo ci misi quindici minuti a piedi, con i passi veloci ed incazzati.
Lo vidi là, seduto da solo a fumare al bordo dello spiazzo e quegli altri in disparte che ne se stavano seduti sulla panchina, con bottiglie in mano già di prima mattina, ma da noi era così. Mi avvicinai rapida e gli diedi una ginocchiata sulla schiena, non me ne fregava di quelli e di cosa potessero dire o pensare.
«Cazzo fai? Bruci per stare con questi a rincoglionirti ancora di più?» sbottai. Lo sentii sospirare piano, per calmarsi.
Si voltò con un lampo di rabbia nello sguardo, che si cancellò poco dopo ritornando al suo solito, inespressivo.
«Che cazzo vuoi Erin? Non dovresti essere a scuola?» chiese seccato.
«Anche tu dovresti» puntualizzai velenosa.
«Ma non rompere» e la buttò nel dirupo, quella canna.
Tutti si girarono a guadarci. Li sentivo sulla pelle quegli sguardi spenti. Ridacchiavano, mi guardavano, parlavano. Kris si voltò verso di loro.
Mi prese per il polso e mi trascinò via, facendomi male, ma non glielo avrei mai detto. Ero troppo orgogliosa.
Ci ritrovammo di nuovo a casa sua e non mi parlò da quando eravamo partiti. Ma io ero ancora incazzata, con la rabbia addosso e la voglia di ammazzarlo.
«Devi smetterla di starmi addosso» sbottò d'un tratto.
«Moriresti».
Lo sentivo, io, che stava per impazzire quanto me, ma che diventi più pazzo di quanto non lo sia già. A me che mi frega, non mi ci butto questa volta insieme a lui.
Mi infilai nel letto che era diventato un po' mio. Non volevo guardarlo, così chiusi gli occhi.
Lo sentii sdraiarsi accanto a me, con il suo braccio che mi circondava a lui. Il suo respiro sul collo, la pelle calda e «Erin» la sua voce roca. Mi voltai verso di lui e mi guardò solamente, in silenzio, faceva sempre così quando sapeva di aver sbagliato e io avevo bisogno di lui e lui di me, per scappare da qui dovevamo essere interi, però. Non eravamo niente, ma eravamo tutto.
In quella mattina d'inverno ci macchiammo di nuovo dei nostri peccati.
Kris era fatto così. Con le sue poche parole e i suoi sguardi struggenti, capaci di scavarti fino all'anima, di divorarla. Lo aveva fatto con me, e da allora non smettemmo mai di camminare insieme.
Dove c'era lui c'ero anche io, dove c'ero io c'era lui. Non esistevamo senza l'altro. Vivevamo in simbiosi e questo non piaceva a nessuno dei due.
Odiavamo il fatto che dipendessimo dall'altro. Ci dominavamo, ci sbranavamo e a volte finivamo a fare l'amore per distruggerci completamente. Facevamo l'amore per farci male, per patire più forte la nostra lenta distruzione, come un'agonia. Ti lacerava la pelle, ti scorticava, un'amore come il nostro. Le nostre pelli a contatto bruciavano come benzina e fuoco insieme, come un'esplosione e chi sarebbe diventato per primo cenere, quello, non volevamo saperlo.
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Cose preziose. kyw
FanfictionKris e Erin sono due ragazzi della periferia. Un rapporto come il loro è raro da trovare, sancito col loro sangue e dalle loro paure, dal bisogno e dall'odio che provano reciprocamente per l'altro. Si sono ormai fusi come il metallo, hanno il cuore...