Deep scars.

93 8 0
                                    

Dopo una settimana più tardi ci stavamo lasciando tutto alle spalle e cosa ci aspettava, questo non lo sapevamo ancora. Lo stavo facendo per non morire, perché in quella notte avevo gridato il suo nome, e lui il mio. Con la voce spezzata, carica di disperazione perché eravamo arrivati al limite.
Per tutto il viaggio in treno aveva dormito, mentre io pensavo alla nostra città, consapevole che cambiandola il passato mica smetteva di correrti dietro. Pensavo a mia madre e a come poteva cavarsela benissimo anche senza di me, che aveva capito quando le dissi che partivo, che: «l'amore è una cosa forte» rispose. Ma quale amore.Pensai alla madre di Kris e al suo modo pacato di fare che aveva sempre, spensierato e sereno. Aveva fatto una "brutta caduta", ed aiutarla ci sarebbe stata Nancy, la vicina che l'aiutava ogni giorno con la spesa, le medicine e la pulizia.
Pensai alla nostra orribile scuola che avrebbe cominciato a mancarmi, perché quando ci fai l'abitudine alle cose, ti diventa difficile cambiarle. 
Ero così stanca da non riuscire a chiudere occhio, anche per paura di trovarmi faccia a faccia con i miei pensieri più oscuri.
Dopo due ore «Svegliati, siamo arrivati» gli dissi, tirandogli un calcio sullo stinco. Non si mosse, quello, e «Kris, cazzo!» urlai, tirandoglielo più forte.
Aprì gli occhi lentamente, stirandosi.
«Ho capito, stronza» e si alzò a prendere la valigia. Io ero già in piedi con la mia, accanto, aspettando che questo maledetto treno si fermasse.
Dopo mezz'ora ci trovammo davanti a quella che sarebbe diventata per noi la nostra nuova casa per chissà quanto tempo: una struttura grandissima divisa in due edifici separati che non sembravano avere niente in comune se non fosse che erano circondati dalla stessa recinzione.
Quella dal colore marrone scuro erano i dormitori, mi disse Kris, dalle mille finestre piccole come puntini, e quella dal colore bianco sporco era in sé la scuola.
L'aria, poi, non tirava come nella nostra vecchia città.
Kris si entrò nella scuola e prese le chiavi in segreteria, mentre io me ne stavo ferma in disparte ad aspettarlo senza guardarmi in giro. Non me ne fregava un cazzo della scuola e di come era fatta.
Mi fece un cenno col capo e uscimmo per prendere la strada che portava alla struttura concava dei dormitori. Un sentiero di ghiaia che portava ad una impolverata porta vetrata, con qualche erbaccia che cresceva agli angoli. Era enorme la Columbine High School, tanto grandi erano le strutture quasi da oscurare il sole.
Solo su quello mi soffermai.

Quattro rampe di scale e un solo ascensore rotto. Già questa scuola mi dava sui nervi.
Affaticati, appoggiammo le valigie sul pavimento del quarto piano tappezzato da una sontuosa moquette.
E che casino avrei fatto con quelli della manutenzione.
Kris si continuò dritto fino ad arrivare alla 408. Girò la chiave nella serratura, due giri, e l'aprì.
Era una stanza normale, dalle pareti grigiastre, con la portafinestra che dava al balcone, un letto matrimoniale e un piccolo bagno dove facevi quasi fatica a muoverti. Erano queste le quattro mura che avremmo chiamato casa per i prossimi giorni e io non sapevo ancora se sarei riuscita ad abituarmi. E se ero qui, era solo per non morire.
Accese la luce perché s'era fatto il crepuscolo e un leggero chiarore opaco entrava dalla finestra.
Fissai il cielo imbrunire e pensai che la nostra fine sembrava avesse anche un tempo atmosferico e non importava in quale modo, con quale calamità naturale, ti avrebbe spazzato via e basta. E lo sento, il vento, che ulula il mio nome, le paure, le ombre e stava arrivando.
«Erin, ci sei?» mi sentii scuotere. Mi svegliai dai miei pensieri e scoprii di avere la tachicardia. «Tutto bene?» chiese e la sua stretta sulla mia spalla si fece più leggera, come se fossi una cosa fragile. Annuii e vederlo qui, Kris, in una camera sconosciuta, buia e fredda e non nella sua, famigliare e vissuta, a guardarmi, qualcosa si incrinò, si spezzò dentro di me.
«Sì» e andai diretta al balcone a fumare.

Erano passati due giorni e tutto era così assurdamente normale. Kris e io, in camera; Kris che andava a prendere da mangiare; Kris e io, e basta. Domani avremmo iniziato e la sveglia che avevo impostato la sera prima suonò precisa e a me sembrava che la notte non fosse neanche passata. Non avevo dormito niente, avevo chiuso occhio solo per due ore probabilmente. Non fu difficile alzarmi al contrario di Kris, che aveva il sonno profondo.

Cose preziose. kywDove le storie prendono vita. Scoprilo ora