Baby Wolf

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Derek aveva aiutato lo sceriffo nella riserva per ore. Nei giorni precedenti erano state trovate tracce insolite, a cui erano seguiti i soliti fatti inspiegabili che non facevano presagire nulla di buono. I due avevano scandagliato i boschi in lungo e in largo fin dalle prime ore del mattino, costantemente, senza trovare assolutamente nulla di utile e alla bellezza delle sette di sera, mentre il cigolante ascensore del fabbricato lo riportava al loft, Derek non desiderava altro che farsi una doccia e crollare addormentato con Stiles ben stretto tra le braccia. Non che le ore di ricerche lo avessero stremato fisicamente, era più la fatica mentale che lo tormentava.

Da quando lui e Stiles si erano decisi ad ammettere i rispettivi sentimenti, e persino a fare il tentativo della convivenza, ogni possibile minaccia verso quel piccolo irritante logorroico riusciva a sfiancarlo, come un piccolo tarlo che pian piano lo mangiava dentro. Anche se, dopo, Derek si mangiava le mani per essersi lasciato trasportare da tanta iperprotettività e accettava in silenzio tutte le ramanzine di Stiles, era certo che sarebbe successo di nuovo, e di nuovo.

Il cigolio rallentò fino a smettere del tutto e le porte dell’ascensore si aprirono sul piano del loft. Man mano che si avvicinava al portellone d’ingresso, Derek iniziò a percepire suoni strani, fino anche piccole urla. Bloccarsi in mezzo al corridoio, sbiancare e poi iniziare a correre fu questione di un istante; quando aprì il portellone Derek aveva già gli artigli estesi. Ciò che vide lo lasciò stupito e sconcertato oltre ogni dire.

Al centro del loft, disteso a pancia in su sopra a un buffo tappeto a fiori che decisamente non era stato lì quando Derek era uscito quella mattina, c’era Stiles in tutto il suo splendore… ma non era solo. Seduto sulla sua pancia, un minuscolo cucciolo d’uomo lanciava quelli che, ora Derek li riconosceva, erano degli inconfondibili urletti di bambino, saltellando e tirando la maglia della sua divertita vittima.

Non solo c’era un bambino che non aveva mai visto, ma era anche munito di quella che sembrava, a tutti gli effetti, una cuffia – o era una sciarpa? – di pelo nero con tanto di orecchie. Un inconfondibile lupacchiotto made in Stiles, su quello non aveva dubbi. Sospirò rassegnato, chinò il capo e fece un passo avanti, per poi chiudere il portellone dietro di sé.

«Ehi, ragazzone! Sei tornato.»

«Così pare.»

Stiles si limitò a ridacchiare e ad emettere un verso spaventato quando il bimbo ringhiò, o se non altro parve provarci. Derek alzò un sopracciglio.

«Non c’è niente che devi dirmi, per caso?»

Stiles tese la testa all’indietro sul tappeto e lo guardò con uno di quei sorrisi che gli prendevano tutto il viso e che erano la sua arma letale. «Abbiamo un ospite.»

«Lo vedo,» commentò Derek ironico facendosi più vicino. Occhieggiò quel piccolo finto lupacchiotto, così preso dai suoi stessi urletti, come se fosse una bomba innescata e si fermò a ridosso del tappeto. Distanza di sicurezza. «Pensi di spiegarmi anche come mai un neonato è nostro ospite?»

«Non è un neonato, avrà… mmh…» Stiles sembrò studiare il piccolo per dargli un’età e a Derek vennero i brividi. Chi diavolo era quel bambino se Stiles non ne conosceva nemmeno l’età? «Credo abbia due anni, o giù di lì. Che importanza vuoi che abbia, guarda che guanciotte! Sono più che certo che da piccolo eri uguale.»

«Stiles.»

«No, davvero, tu hai degli zigomi che a volte mi viene voglia di mordicchiarteli, ora guarda queste guanciotte: non ti viene voglia di morderle? Parola mia, eri uguale da piccolo!»

«Stiles!»

Stiles ebbe la buona grazia di distogliere lo sguardo, e anche se non era un buon segno se non altro significava che si sentiva almeno un po’ in colpa.

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