15 Maggio 1995
La casa era buia, illuminata a tratti dalla luce dei fulmini, che costeggiavano il cielo tinto di un profondo nero. Tra le mura di quell'abitazione regnava il silenzio, nessun respiro, nessun scricchiolio, niente. Con passo velato, il rumore dei suoi piedi che toccavano il pavimento in legno era impercettibile, come se volasse. Tirandosi i guanti in cuoio, che ricoprivano le sue grandi mani, si preparò a salire le scale, sempre con passo felpato.
Un gradino dopo l'altro.
Il suo respiro, lento e regolare, non produceva alcun suono.
Anche al secondo piano tutto era silenzioso, tutti dormivano profondamente.
Aveva scelto bene.
Il momento era perfetto.
Con passo felpato continuò a camminare. Nascosto nel buio. Illuminato solo a qualche tratto dai lampi provenienti da fuori. Sotto la maschera si formò un sorriso, inquietante, sinistro.
Eccolo. Entrò in camera.
La luce del comodino era ancora accesa, ed illuminava il letto a fianco, dove riposava un bambino. Un passo dopo l'altro si avvicinò.
Silenzioso. Impercettibile.
Le sue mani guantate accarezzarono la pelle del bambino. Ignaro della sua presenza. Avvicinò il volto al bimbo ed in quel momento il suo respiro si fece più intenso. Percettibile.
Appoggiò la fronte alla sua e rimase immobile. Connettendo la sua mente a quella del bambino.
Chiuse gli occhi.
Pensava. Ragionava. Immaginava. Ucciderlo o no. Il suo corpo fremeva all'idea di posare la lama fredda su quel candido faccino. L'eccitazione di strappargli quell'innocenza. Ma si bloccò. La frenesia si fermò in un istante. Prima di allontanarsi, gli sussurrò qualcosa all'orecchio, con un filo di voce. Spense la luce del comodino, indietreggiando verso la porta, fissando il bambino con quei suoi occhi sottili.
Lasciando quella stanza.
Inghiottito dall'oscurità.
Lungo il corridoio, i suoi passi felpati divennero più frequenti. I suoi movimenti, precisi, controllati. Ogni parte del suo corpo doveva essere in un posto preciso, in un istante preciso. Entrò in un altra stanza. Scura. Senza luce. Rimase sulla porta. La sua ombra riflessa al suolo. Il lungo coltello alla mano. Accarezzò la lama. Un piede di fronte all'altro entrò. Posizionandosi davanti al letto. Osservando la coppia che dormiva tranquilla. Un sorriso sinistro sulle labbra. I loro corpi avvinghiati l'un altro, sotto le calde coperte. Piano si avvicinò. Di più sempre di più. L'eccitazione. Eccola non poteva frenarla. La situazione lo eccitava. La mano scivolò verso il basso. La sotto. Toccandosi. Immaginandosi cosa sarebbe successo a quella coppia. Il sangue caldo. Le lenzuola sporche. La carne morbida che si staccava dai muscoli. Il calore dell'omicidio. Calmò l'entusiasmo, riportando la sua mente a quel momento. In quella stanza. Scivolò vicino all'uomo e cominciò.
Il suo lavoro.
La sua arte.
Prima lui. Poi lei. Prendendosi il tempo di contemplare quella magia. Quell'esperienza unica nel suo genere. Ogni taglio, ogni lacerazione aveva la sua giusta angolazione. La giusta profondità. Il flusso di sangue doveva seguire quella direzione. Non doveva sbagliare. Doveva essere tutto perfetto. Ogni dettaglio. Tutti loro dovevano capire la sua arte, in ogni particolare. Anche attraverso i guanti sentiva quei due corpi diventare freddi. Perdere il loro calore. Vide la vita scivolare via dai i loro corpi. I loro occhi diventare velati. Svuotati dal loro sangue. Poi preparò la scena. Li distese l'uno di fianco all'altro. La loro mani giunte. Un simbolo inciso sul ventre della donna. Contemplò quell'opera, a suo parere perfetta. Si inginocchiò di fronte al letto. Pregando. Sapeva che con quel sacrifico lui l'avrebbe ascoltato. Rimase in silenzio con le sue vittime. Poi finì ogni cosa.
Lasciò la stanza.
La casa.
Il luogo della sua opera. Senza lasciare nessun segno della sua presenza. Della sua stessa esistenza, come se niente fosse successo. Impalato in giardino, si voltò. Percepiva ancora quella sensazione.
Quell'innocenza.
Quel bambino. Inspirò sorridendo svanendo nel buio di quella notte.James si destò di colpo. Il fiato corto, il sudore scendeva dalla fronte. Qualcosa lo aveva svegliato.
Una sensazione.
Si accorse subito che la luce era spenta. Il buio lo assalì, e lui si precipitò sull'interruttore. Strano che la luce fosse spenta, i suoi la lasciavano sempre accesa, per facilitargli il sonno.
- Mamma - chiamò a bassa voce, alzandosi dal letto, affacciandosi al corridoio non sentii niente. C'era solo il silenzio. Era assonnato ma aveva capito che qualcosa non andava. Indeciso avanzò nell'oscurità. Il suo corpo tremava. " Andiamo, sei un'uomo, non fartela sotto! " . Passo passo si avvicinò alla stanza dei suoi genitori.
- Mamma - niente. Non gli rispose. Strano, lei aveva il sonno leggero, sentiva sempre quando lui la chiamava. Nuovamente una sensazione sgradevole gli attanaglio lo stomaco. Sapeva che dentro quella stanza avrebbe trovato qualcosa di brutto. Era terrorizzato, le gambe gli tremavano, ma pian piano si fece avanti. Affacciandosi alla loro porta. La mano scivolò verso l'interruttore. Si bloccò per un attimo, la sua mano tremante non riuscì a spingere quel bottone. - Mamma - chiamò nuovamente il bambino. Senza risposta. Deglutì e accumulando tutto il suo coraggio, schiaccio il pulsante. Illuminando la stanza, accecando i suoi occhi, la luce al led era forte. Quando la sua vista si abituò a quella luce lo vide. Uno spettacolo raccapricciante. Tinto di un rosso, acceso, violento, che ricopriva ogni parte di quella stanza. I suoi genitori stesi sul letto, immobili.
Con timore avanzò verso di loro. Le gambe tremavano come foglie.
- Mamma ... papà - in piedi davanti al letto. I suoi occhi fissi su di loro, sui loro corpi. Senza vita, senza respiro. Il suo corpo cedette, le gambe non tennero il peso del suo corpo e lui cadde a terra. I muscoli paralizzati, le lacrime incontrollabili scendevano lungo il suo viso, bagnandogli le guance. Il suo respiro discontinuo, il cuore batteva a mille.
Il panico.
Il dolore insopportabile nel petto.
- Mamma! Papà!Poco dopo la polizia era arrivata sul luogo. Con le forze che era riuscito a raccogliere James aveva chiamato aiuto. Lo avevano fatto sedere fuori, sul portico. Una coperta poggiata sulle spalle, era in stato di shock. Lo sguardo fisso in un punto. I suoni distorti intono a lui lo fecero sentire come in una bolla. Dalla porta di casa sua, poliziotti, medici andavano e venivano. Comportandosi come se lui non ci fosse. Uno di loro si chinò verso di lui. Gli poggiò una mano sulla spalla, cercando di consolarlo.
- Va tutto bene, ragazzo - gli disse. Lo sguardo del bimbo vuoto, afflitto dalla sofferenza. Traumatizzato. - Lo prenderemo di sicuro, la tua famiglia avrà giustizia.
L'agente di polizia lo abbracciò, stringendolo tra le sue braccia. Riscaldandolo. James rimase immobile, stretto in quell'abbraccio. Il suo corpo era lì ma la sua mente era inchiodata dentro quella stanza, davanti a quei corpi, martoriati. Nella sua testa si incisero a fuoco delle domande, a cui cercava una risposta:Perché era successo quello? I suoi genitori erano morti e lui no. Perché?Perché loro si.
Perché a me?
STAI LEGGENDO
Why me
Mystery / ThrillerLa vita di James Wright (James McAvoy) da sempre era focalizzata su un'unico obiettivo: trovare l'assassino dei suoi genitori. Un'ossessione radicata dentro di lui, che pian piano contagierà ogni parte del suo cuore, corrodendo il suo animo. - In qu...