II. Ricordi persi

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La vita è fatta di attimi.
Alcuni attimi restano piú impressi di altri, imprigionati nei meandri piú oscuri della nostra mente.
Gli attimi scandiscono i ricordi, sono la ninfa della vita.
Ci troviamo a rincorrerli, a conservarli, a non volerli dimenticare o semplicemente, ce ne sbarazziamo.
A volte ce ne sbarazziamo in modo semplice, altre volte dobbiamo faticare.
Tutto capita in... un attimo, alle volte.

Mi sono persa.
Mi sono persa in un giardino profumato, in una giornata di sole.
Mi sono persa in un bacio, il primo.
Mi sono persa a rincorrere una lucciola; i miei capelli volano, sono leggeri come me.
C'è silenzio, non ne ho mai sentito tanto.
Il mio cuore batte forte, io sono libera.
Sento peró un peso su di esso, di quelli che ti aspetti da un momento all'altro uno spavento.
Guardo le mie scarpe rosa, hanno gli strappi.
Sono io, sono piccola, sono coraggiosa, ma anche incosciente.
Una luce dall'alto, una luce che passa attraverso le foglie, una luce da cui salgono piccoli diamanti.
Dietro l'albero un ruscello, mi nascondo.
Poi corro, corro forte.
Rido, rido sempre di piú.
Arrivo davanti all'acqua e mi ci specchio.
Ma non sono io... quella bambina, non sono io.

Aprire gli occhi sembra una cosa impossibile.
Qualcuno urla, urla troppo forte e io voglio solo dormire.

"Come si permette di giudicarla una scelta sbagliata?! Lei cosa ne sa dottore, lei cosa vuole saperne?!" urla una voce femminile, mozzata.

"Ha mai visto morire suo figlio dottore?!" continua iniziando a piangere "le rispondo io: no! Lei non ha mai dovuto decidere se suo figlio dovesse vivere o morire. Lei non ha mai aspettato un anno chiuso dentro una camera di ospedale, quel maledetto momento in cui suo figlio avrebbe aperto gli occhi. Lei non ha mai pregato ogni notte che suo figlio si svegliasse, lei non ha mai fatto nulla di tutto questo".

Riesco a socchiudere gli occhi, ma non ad aprirli completamente.
Vedo una donna al fianco del mio letto.
Ha i capelli neri corti; è molto magra...

"Dobbiamo farlo, dobbiamo staccare la spina e lei, ripeto LEI non deve giudicarmi. Ha capito?! Non deve farlo! Lei non è nessuno. Mi guarda con pietà dal giorno in cui ho messo piede in questo ospedale. Lei sapeva già... sapeva e non mi ha detto. Non si sveglierà mai, non è cosí?! MAI giusto?!".

Non conosco la donna che sta urlando.
Non conosco il dottore con cui sta parlando.
Non conosco il letto in cui mi trovo e non so come ci sono finita.
Sento solo le urla fredde e singhiozzanti di una madre qualunque.
Vedo solo la flebo attaccata al mio braccio.
Sento solo un fortissimo dolore alla gamba destra; sulla sinistra nulla.
Cerco di parlare ma non ci riesco.
Cerco di muovermi e anche quello mi viene impossibile.

"Deve solo firmare le carte per darci l'autorizzazione a staccare i fili" dice il dottore, con tono neutro.

"Si" dice la signora voltandosi verso di me.

Il suo viso bagnato di lacrime resta immobile.
Il suo respiro si ferma, i suoi occhi strabuzzano fuori dalle orbite.
Si è accorta che la sto guardando.

"Sirya..." dice da prima piano "Sirya!" continua poi urlando e piangendo allo stesso tempo.

Non capisco.
Non capisco chi sia Sirya, non capisco cosa voglia questa donna, non...
Mi sento debole, mi gira la testa, non resisto...

"Signorina mi guardi!" urla il medico davanti a me.

"Alzate le gambe, alzate le gambe, dobbiamo tenerla sveglia! Fate uscire la madre, fate uscire quella donna!" urla a delle persone che io non vedo.
Nero, vedo solo nero.
La testa gira, le voci rallentano, si allontanano, diventano piccole, insigificanti.

Ricordati di meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora