Kid of this world (estratto)

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Era cominciato con un tranquillo, caldo e letargico pomeriggio d'estate.

Io odiavo l'estate. Troppo calda. L'aria diventava pesante e densa. Irrespirabile. Detestavo sentire la mia pelle chiara friggere sotto il sole, specialmente quando, come quel giorno, non c'era nemmeno un soffio di vento a dare per lo meno l'illusione di un po' di fresco.

Eravamo veramente una località marina? Il mare c'era eccome, certo, ma la costa era completamente invasa dalla struttura decadente del porto e di qualche vecchia industria sparpagliata qua e là. Le spiagge di una volta, di quelle ritratte nelle foto sbiadite e scolorite dei tempi di mia bisnonna, erano ormai praticamente state divorate o dal tempo o da qualche imbecille con la smania di costruire dove capitava. Di vento nei mesi caldi ce n'era ben poco, almeno nella mia zona, sicuramente per via di tutti gli ostacoli portuali in ferro e cemento che si frapponevano tra il mare e la città, impedendo alle fresche brezze marine di raggiungere me e il mio torrido quartiere. In compenso, d'inverno veri e propri spifferi ghiacciati serpeggiavano ad una velocità mostruosa tra i condomini. Dio, quanti ombrelli avevo sacrificato negli anni, in onor della nobile causa di "uscire e far finta di essere viva" come amava chiamarla mia madre?

Mi stavo rigirando pigramente sul divano della sala. Ecopelle grigia e fresca contro la mia povera schiena accaldata. Le tapparelle opportunamente abbassate, schermandomi ancora di più dai raggi del sole e lasciandomi immersa in una piacevole fresca penombra. La televisione, la più grande e piatta di casa e , paradossalmente, la meno utilizzata, era accesa, riproducendo non-stop le puntate di tutte le serie di anime che avevo deciso di rispolverare e rivedere. In riproduzione c'era una puntata di Moby Psycho 100, grande animazione e personaggi ben caratterizzati, poteri psichici, nonché gag spassose, ma in qual momento mi appariva noioso, ripetitivo e pesante. Dio che caldo.

Soffocai un grugnito in un cuscino.

Non avrebbe avuto senso smorzare il volume del mio malcontento: mamma era uscita lasciando a casa me, troppo scombussolata da tutto quel caldo per anche solo immaginare un viaggio in macchina più lungo di tre ore, con la promessa di tornare dopodomani sera. Si era andata a godere "il sole della campagna" e io mi godevo "l'ombra della casa vuota". Ugh... che nausea. Dovevo bere qualcosa di fresco.

Mi alzai di scatto e barcollai qualche passo in avanti. La vista mi si annebbiò per soli pochi secondi, per poi tornare nitida. Dannata pressione. Allontanai gli occhiali dal mio naso di qualche centimetro, giusto per assicurarmi che non vi fossero delle fastidiose macchie sulle lenti, poi ripresi la mia marcia verso la cucina. Il tragitto fu relativamente lungo e piacevole: la casa era grande e vuota e il pavimento, sotto i miei piedi scalzi, era piacevolmente fresco.

Il frigo si rivelò, come sempre, pieno e dominato dal caos. Dovevo decidermi a svuotarlo e liberarlo dai barattoli più vecchi di due anni, ma poi chi avrebbe dovuto sopportare le lamentele di mia madre? Ovviamente io.

Afferrai la bottiglia di acqua fredda e mi ci attaccai, decisa a scolarmela fino all'ultima goccia.

Superai camera mia, mentre una vocina nella mia testa mi ricordava con astio le storie lasciate in sospeso. Le mani mi prudettero ed un senso di colpa opprimente mi strinse il cuore. Sarebbe stato tanto semplice spegnere la TV ed immergersi per un pomeriggio intero sul computer e dare sfogo alla mia fantasia, ma... superai la stanza, mordendomi le labbra.

Troppo presto. Dovevo pensarci ancora un po'. Forse domani. Sì. Domani mi ci sarei messa davvero. Il tempo di abituarmi a tutto quel silenzio e radunare bene le idee.

Una voce sadica e velenosa nella mia testa rise di me e di quella bugia.

Accelerai, rientrando in sala con urgenza.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 27, 2017 ⏰

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