CAPITOLO PRIMO

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“Stavo decidendo quale delle due fosse meglio portare in camera da letto quando è uscita una terza che, amici miei, non potete neppure immaginare. Aveva due... porca miseria! Il mio stivale sta andando a fuoco!”  
Il piede dell’uomo che sta parlando prende fuoco all’improvviso e questo è costretto a smettere di parlare delle sue conquiste in uno dei villaggi presi poco tempo prima. Cammino lentamente dietro di lui e scorgo un ragazzo che cerca di vedere sotto il mio cappuccio, gli sorrido con fare superiore mentre proseguo a fianco di mia sorella e delle dieci guardie che ci accompagnano. Le tende nel campo sono risposte in modo regolare e i loro colori variano a seconda dell’ importanza di chi vi risiede, lo deduco dal mio passaggio: il grigio è il colore dei soldati semplici, il verde dei medici, il rosso dei capi delle legioni e il nero della tenda del re. Gli uomini ci ignorano mentre ci muoviamo leggere sul terreno bagnato, sembra che non abbiano alcun interesse in quelle due figure incappucciate dirette verso la tenda dei loro sovrani. Alzo lo sguardo verso le nuvole grigie sulla mia testa mentre sento ancora il peso delle manette pesare sui polsi, i segni di quelle stupide assi di legno chiuse intorno alle mie braccia è ancora chiaramente visibile e il dolore che mi hanno procurato negli ultimi cinque anni è ancora vivo nella mia mente. Aprono la porta della tenda principale spingendomici dentro con un calcio ben assestato sulla schiena, mia sorella mi segue sospettosa dentro la stanza arredata con mobili d’ebano e tende di velluto nero con ornamenti d’oro.
“ Non ci uccideranno mai qui dentro, non credo che vogliano macchiare con sangue silvano queste stoffe preziose.” dico a mia sorella rialzandomi, tolgo la mantella mentre lei sistema la sua su un piccolo tavolo. Le guardie ci guardano, so perfettamente che non hanno capito nulla di ciò che ho detto perché la lingua che ho usato è il neela, la lingua tipica della mia gente, e me ne compiaccio. Faccio un giro passando davanti ad uno specchio, sotto quegli strati di sporco, fango e sangue secco si nasconde la vera me che ormai è riconoscibile solo dagli occhi verdi e brillanti. Dopo qualche minuto che mi trovo a girovagare osservando oggetti particolari, come una piuma di fenice, e mappe con piani di battaglia, che appunto mentalmente, la guardia mi intima di tornare accanto all’altra prigioniera. Altre due guardie armate di tutto punto fanno un entrata trionfale nella stanza disponendosi ai lati della porta e li seguono tre persone che riconosco subito: il re e i due nipoti. Il sovrano si siede con movimenti decisi sulla sedia davanti ad un tavolo, ai fianchi si accomodano i due eredi che ci stanno guardando da quando sono entrati e d'altronde non posso fargliene una colpa, siamo ridotte ad un cumulo di ossa e fango. Il re alza lo sguardo e silenziosamente invita le nostre dieci guardie a lasciare i loro posti, i suoi occhi sembrano gialli nella luce delle lampade e gelano il sangue nelle mie vene. Sento che se volesse potrebbe alzare un dito e sarei morta, percepisco la presenza di un mago appena fuori da quella stanza e so che non gli è stato detto di addormentarci in caso cercassimo di scappare. Non posso concentrare la mia attenzione sull’assassino che sento fuori da quella stanza, ma mi ti prometto che prima o poi lo farò.
“ Quindi perché ci avete portate qui?” domando raccogliendo il coraggio che ho. Il re alza un poco gli angoli della bocca in una sorta di sorriso che ha l’effetto di farmi tremare le ginocchia, mi sta scrutando attentamente dal luogo in cui è e forse ha già capito quali sono i miei doni. Afferra un piccolo fascicolo e  davanti ai miei occhi lo sfoglia con noia.
“ Raven e Dafne, soldati presi nella seconda guerra di Akame come prigionieri dopo una perdita di circa duecento uomini. Segni particolari: silvani addestrati alla guerra. Note disciplinari...” alza per un secondo lo sguardo fino a fissarlo nei miei, è un silenzio voluto per sottolineare che lui è sempre rimasto un passo avanti, pronto ad afferrarmi dopo ogni fuga. “Forse non è il caso di rileggere gli innumerevoli rapporti che riguardano le vostre tentate fughe dal carcere.”
La sua voce è profonda, cavernosa, e mentre parla assume toni caldi che contrastano con il suo stesso essere. Sostengo il suo sguardo mentre mia sorella indietreggia di un passo, sento la sua stessa paura ma non ho intenzione di mostrarla davanti a quello stupido re che ha fatto tanta strada solo perché ricco e di famiglia nobile. Se vuole uccidermi che lo faccia pure, non ho intenzione di abbassare lo sguardo ancora una volta e neppure di dargli la soddisfazione di vedermi tremante. Hanno ucciso il mio popolo in guerra, hanno chiuso me e mia sorella in una prigione dimenticata da tutti dove ci hanno spogliato d’ogni abito e ci hanno dato degli stracci per coprirci, mi hanno costretto a scavare nella terra per trovare la loro stupida Pietra del sole e mi hanno frustato ogni sera per un tempo infinito; eppure io non mi piegherò alla loro volontà. Nessuno di quegli stupidi eletri saprà mai come usare la magia, neppure quella più inutile e banale che potrebbero imparare anche i sassi.
“ Sarete liberate dalle vostre catene e avrete libero accesso a tutti i sette regni se vincerete la gara per diventare paladine dell’Unione.”
La mia sicurezza barcolla per un secondo, come se mi fossi preparata a scontrarmi con un muro e mi fossi trovata davanti un precipizio. Rimango stupita nel sentire il suono di quella parola, assaporò il profumo della libertà ancor prima di rendermi conto che la richiesta è ben più ampia.

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