Act Fourth /The Bond.

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( Perdonatemi l'immenso ritardo nell'aggiornamento omg ;-; )

"Yifan," sussurra, carezzandogli il viso e i capelli. "Yifan, Yifan, Yifan."
Sembra una ninnananna dolce e malinconica, melodiosa nella sua triste musica soffice. Le labbra di Zitao si increspano in un sorriso, ma Yifan non lo vede. Ha gli occhi chiusi, le palpebre rilassate, si sente in pace tra le braccia del ragazzo accanto a lui, con il capo sulle sue gambe e le sue dita sulla pelle.
"Non ci sarà mai un posto per noi," dice. "Noi non apparteniamo a questo mondo."
Yifan apre gli occhi e osserva il profilo assorto di Zitao, mentre egli guarda lontano, un punto impreciso all'orizzonte, senza vederlo davvero.
"La percepiamo tutti sulla pelle, la differenza. L'incomprensione," torna a volgere lo sguardo in basso, incontra il suo e lì si ferma, immobile. "La solitudine più profonda."
Yifan si alza senza interrompere il contatto visivo e si siede accanto all'altro, all'ombra di quell'albero dalle foglie vivaci scosse dal vento. Pensa a tutte le volte che si è sentito estraneo al cerchio della vita di cui faceva parte, pensa al passo estremo che avrebbe compiuto se solo Zitao non fosse arrivato al momento giusto. Pensa alla vita che scorreva sotto di lui e al profondo senso di smarrimento.
"Zitao, ferma ancora il tempo."
"Perché dovrei?"
Yifan è serio. Si china in avanti e lascia un bacio veloce sulla fronte di Zitao, stringendogli la mano con la propria.
Grazie a te, ho trovato me stesso. Ho ricucito insieme tutti i piccoli brandelli che una volta erano la mia persona. Vorrei restare così per sempre. Solo, con te.

Una dopo l'altra, tutte le persone che Jongdae conosceva gli voltarono le spalle. Giorno dopo giorno, Jongdae si rese sempre più conto di quanto effimeri fossero i rapporti su cui si era retto per tutto quel tempo. Era bastato perdersi più spesso nei propri pensieri per restare solo, senza più nessuno accanto.
Se n'erano andati tutti, ma Jongdae non sentiva nulla. Non percepiva dolore, solitudine, sofferenza, frustrazione, amarezza. Non sentiva nulla.
"Minseok," forse perché, in quel posto impreciso tra vita e morte, veglia e sonno, realtà e fantasia, sentiva di aver trovato tutto ciò che gli era mancato per tutta la vita. "Minseok, perché devo continuare a vederti solo qui?"
L'altro ragazzo non gli rispondeva mai. Si limitava a stringerlo forte, a baciargli la spalla, a fare disegni immaginari con le dita sul suo petto, sotto la stoffa della maglietta.
"Minseok," gli aveva detto un giorno. "E se tu fossi solo un sogno, il delirio di un ragazzo che soffre di solitudine e mancanze, una fantasia creata inconsciamente nel sonno?"
Minseok si era sollevato e lo aveva guardato negli occhi con una serietà che non gli apparteneva.
"Jongdae," la voce era ferma. "Non restare ad Almaty. Vai a Berlino. Lì avrai tutte le risposte che cerchi."
"Come faccio a crederti?"
Minseok si era chinato su di lui, ad un soffio dalle sue labbra.
"Ciò che ci unisce va oltre la logica, oltre la concezione umana. È qualcosa di più profondo persino di un legame di sangue. Lo senti."
Non era una domanda. Non aveva ragione di esserlo.

Sehun tiene Luhan per mano e lo trascina senza sforzo lungo le strade secondarie di Edimburgo, lontano dalla scuola, lontano dalla vita frenetica della città.
"Sehun," si ferma, costringendolo a voltarsi nella sua direzione. "Sehun, da cosa stiamo scappando?"
L'altro ragazzo resta inespressivo, non risponde.
Dopo qualche secondo, stringe nuovamente la presa sulla mano di Luhan e riprende la corsa senza meta di poco prima.

"Se mi concentro, riesco ancora a sentirle. Le urla disperate di chi, prima di me, era in possesso del dono."
Kyungsoo parla piano, sono quasi piccoli sussurri le sue parole.
"Le senti?" aggiunge, lanciando una timida occhiata alla sua sinistra e incontrando lo sguardo serio di Jongin.
"Ciò che tu hai visto nei tuoi incubi," dice, abbracciandolo. "Non erano i precedenti possessori dei doni," continua, incastrando il viso nell'incavo della sua spalla.
"Siamo noi," il corpo di Kyungsoo è scosso da un brivido di terrore.
"Quelle," Jongin sembra tranquillo, sussurra. "Quelle sono le nostre urla."

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