60 - L'imprevisto

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Ragazzi scusate ma questa storia mi sta dando solo problemi su problemi. Da oggi per me sarà "La Maledetta".

Come molti di voi sapranno, ho avuto più volte la tentazione di eliminarla e lanciare tutto all'aria. Se non lo faccio è solo per una questione di correttezza nei vostri confronti.

Credetemi, non vedo l'ora che finisca!!!!



Quella mattina, a differenza di tutte le altre, feci fatica a riaprire gli occhi. Rinunciai persino alla mia corsetta quotidiana per continuare a crogiolarmi tra le lenzuola che quella notte, su di me, avevano agito come una trappola.

Ero stanco, nervoso, teso, ma non potevo comunque concedermi un attimo in più di relax.

Mi alzai per raggiungere il bagno e fare una lunga doccia rigenerante nella speranza che riuscisse a calmare i miei nervi. Una volta finito scesi in sala dove trovai Andrea e Adriano nelle mie stesse condizioni.

Entrambi erano silenziosi e tesi come corde di violino e sotto gli occhi facevano sfoggio di occhiaie degne di nota.

Mi unii alla loro colazione senza fiatare. Ormai ci conoscevamo a menadito, nelle giornate come quelle tra noi non c'era davvero bisogno di parlare.

Tutti e tre avevamo i nervi a fior di pelle, sapevamo bene di andare incontro ad una sfida importante; una sfida da vincere principalmente con noi stessi.

Presto non ebbi più tempo di pensare ai nostri crucci, al campo d'allenamento ci aspettava il mister con la sua peggiore espressione tesa.

Era scuro in volto, irritabile ed aveva un diavolo per capello.

Subito ci mise al lavoro. Un allenamento blando di riscaldamento e ripasso tecnico si trasformò in un attimo in un campo di lavori forzati.

Due ore di esercizi svolti nel silenzio più totale ci portarono a raggiungere prima gli spogliatoi poi la sala comune per il pranzo.

Pranzo poi...

Del pollo lesso ed insapore che sembrava rispecchiare l'umore tetro che si respirava tutto intorno.

Quel giorno c'era qualcosa di strano, un'aria cupa che sembrava esser scesa su tutti noi, un qualcosa di agganciato alle nostre vite che non sembrava volerne sapere di scrollarsi di dosso.

Come ogni volta che ci trovavamo di fronte ad un match importante ci fu richiesto di rimanere in ritiro presso il centro sportivo. Mentre Adriano se ne stava chissà dove a scaricare la tensione io me ne tornai in quella che era stata per due anni la nostra piccola casa.

Quella stanza era vuota, non c'era più niente che ci apparteneva. Se non fosse per i nostri numeri di maglia impressi sulla targhetta ottonata posta sul battente della porta sarebbe stata una camera come tutte le altre.

In realtà per me non lo sarebbe mai stata una come tante; quelle quattro mura racchiudevano i migliori migliori ricordi della mia vita.

Mi distesi sul letto e presi a fissare il soffitto in cerca di chissà cosa. Avrei preferito dormire un po', chiudere gli occhi e far scorrere via la tensione ma non ci fu verso. Recuperai quindi il cellulare, era da quando avevo spento la sveglia che non lo controllavo. C'erano un paio di messaggi e delle chiamate perse.
Per prima cosa chiamai mamma, la sua voce sembrava un balsamo ricostituente, poi quasi rinvigorito da quella chiacchierata chiusi gli occhi e mi addormentai.

A svegliarmi fu il suono della sveglia che avevo precedentemente impostato per le 16. Avevo dormito mezz'ora circa ma mi sentivo più stanco di prima, più teso e nervoso che mai.

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