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ALESSANDRO

La sveglia inizia a trillare come un'indemoniata, facendomi sbarrare gli occhi per lo spavento.

Odio sentire questo suono la mattina, dovrebbero abolirlo oppure renderlo illegale; ma purtroppo per me se non esistesse, non scenderei dal letto nemmeno con una cannonata. Perché restare sotto le coperte fino a tardi, è da sempre il mio guilty pleasure, l'unica cosa che non è mai cambiata nei miei trentuno anni di vita.

Mi allungo quel tanto che basta per spegnere la dannatissima sveglia che come ogni giorno, finisce per frantumarsi sul pavimento; di questo passo dovrò fare un abbonamento con il negozio giù all'angolo.

A gran fatica metto giù i piedi, avvicinandomi a passi lenti e strascicati alla finestra per permettere al sole di entrare e illuminare la stanza, lasciando che il suo calore naturale mi entri sotto pelle.

L'irritazione per essermi dovuto svegliare tanto presto, però viene ripagata da una vista da mozzare il fiato. Vivo in un appartamento che affaccia sul Golfo di Salerno e ogni mattina mi meraviglio come se fosse la prima volta di tutta la bellezza che mi riempie la vista.

Rimango per qualche minuto perso con gli occhi all'orizzonte, mentre una leggera brezza mi accarezza il viso dandomi il buongiorno. Là fuori il mondo ha già iniziato la sua giornata, specie i pescatori di cui scovo una piccola imbarcazione a largo e altre che sono in procinto di rientrare al porto dopo una battuta di pesca; spero per loro sia stata fruttuosa.

Controvoglia mi stacco dal balconcino: devo prepararmi o farò tardi sul serio. L'acqua ghiacciata è l'unico rimedio, dopo quella vista, per rimettermi al mondo anche se non altrettanto piacevole.

Sistemo quella massa informe di capelli che mi ritrovo; una spruzzata di profumo e corro a vestirmi controllando l'orologio. Ho giusto il tempo di un caffè al bar prima di correre in ufficio.

Infilo una camicia azzurra sopra a un paio di pantaloni blu notte, poi le mie sneakers bianche. Zaino in spalla e sono pronto per uscire.

«Dottò, il solito caffè?» domanda il ragazzo al di là del bancone, non appena metto piede nel mio bar di fiducia.

«Michele, con questo dottore!» lo ammonisco divertito, «lo conosci il mio nome.»

«Vabbuò Alessà, espresso in arrivo!»

Butto un'occhiata distratta attorno a me mentre attendo; il locale non è troppo affollato, per lo più la gente entra, prende qualcosa di fretta e poi scappa via.

«Il vostro caffè rigorosamente amaro, dottò» mi richiama il titolare, piazzandomi la tazzina sotto il naso.

Alzo gli occhi al cielo, ma non controbatto ormai la guerra è persa in partenza. Ci ho provato a non farmi chiamare con quell'appellativo, ma come ho detto, è una partita persa.

Bevo il liquido in un sorso, sentendolo scorrere caldo lungo l'esofago.

«I soldi, Michele!» informo lasciando la monetina accanto alla tazza, «devo scappare.»

«Il lavoro chiama» lo sento dire mentre lascio il locale mosso da una leggera fretta. Non è molta la strada che devo percorrere, ma preferisco comunque non prenderla con troppa calma.

Amo restare a letto, ma odio profondamente l'essere in ritardo. La puntualità è una mia prerogativa, specie nel lavoro.

Faccio per prendere il telefono dalla tasca dei pantaloni, quando mi accorgo di non averlo con me. Mi blocco al centro del marciapiedi facendo mente locale su dove possa averlo lasciato, rendendomi conto di averlo scordato a casa.

«Merda!» impreco facendo dietrofront.

Avverto il cambio di rotta della mia giornata.

«LARGO!» urla qualcuno.

Alzo la testa di scatto giusto in tempo, notando una bicicletta venire nella mia direzione; siamo talmente vicini, che l'impatto è inevitabile. Riesco a schivarla di poco, facendo però perdere l'equilibrio al conducente.

«Ma guarda dove vai!» ringhia l'uomo rimettendosi in sella, stretto nella sua tutina da professionista.

«Marciapiede significa che vi possono marciare i piedi non le biciclette, altrimenti lo avrebbero chiamato marcia-bici!» ribatto, scuotendo la testa infastidito.

«Tu guarda questo stronzo!» sputa indispettito. È nel torto e vuole pure avere ragione, purtroppo per lui non ha trovato pane per i suoi denti.

«Senti scusa, ma non ho tempo da perdere con un coglione come te!»

Lo sento borbottare alle mie spalle, ma non ho tempo da dedicargli perché sono ormai giunto davanti al condominio. Corro su per le scale bruciando i gradini, apro la porta alla rinfusa ed entro andando a colpo sicuro verso il tavolo, dove trovo il cellulare; dopodiché mi precipito di nuovo in strada facendomi largo fra la gente e guardando di tanto in tanto l'orologio.

Tra pochi minuti ho un importante incontro con un cliente, e se farò tardi Erica mi ammazzerà.

Quando arrivo nei pressi dell'edificio, tiro un sospiro di sollievo perché forse riesco a evitarmi un ritardo, ma non appena svolto l'angolo un corpo mi piomba addosso, che sono costretto a fare appello a tutta la mia stabilità per rimanere in piedi evitando a chiunque si tratti, di cadere.

Una fragranza femminile mi solletica l'olfatto e sto per ribattere qualcosa indispettito per l'accaduto perché a quanto pare, oggi hanno tutti deciso di venirmi a sbattere contro, quando l'ossigeno mi rimane incastrato nei polmoni e perdo qualsiasi facoltà di formulare una frase di senso compiuto.

Non può essere!

Apro e chiudo gli occhi per capire se si tratta di un sogno o meno, quando il calore del suo corpo ancora troppo vicino al mio, mi suggerisce che non è così. È tutto reale, lei è qui di fronte a me.

«Alessandro?» mormora incredula.

«Asia?» chiedo, a mia volta stupito.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 03, 2023 ⏰

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