Prova 3

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Il correre mi fortifica. È una sensazione strepitosa: i polmoni che si allargano ad ogni passo, il cuore che pulsa il sangue in giro per il mio mondo, il respiro che si affanna.
Lo scappare mi strugge. È una sensazione terribile: alla corsa si aggiunge l'orrenda emozione della morte, della fine.
Ne sento la puzza alle calcagna, adesso. Ma non ne ho paura.
Perchè quando sei già morta, che ti importa della fine? In fondo muori una volta sola.
Adesso sono un'anima come miliardi di altre, bianchissima.
Sinceramente, ho nel cuore,
aspetta non ho più un cuore, sinceramente ho,
da qualche parte,
ancora l'amarezza di quell'ultima volta nella realtà,
dolore.
Ricordo tanta delusione, perchè non sono a favore della vita ultraterrena, penso che quando muori, muori e basta, non vivi più,
sì che mi fa paura la morte, ma la vedo solo come un punto fermo, un'opportunità di riposo. Stanca della mia vita, adesso, voglio solo un pò di tempo per il mio nulla,
e invece, adesso,
sono,
esisto ancora e mi trovo qua e non da nessuna parte.
Non voglio bianca e pulita la mia anima e non credo in Dio, quindi, ora che mi trovo qui, davanti a lui, nel suo Regno dei Cieli, mi sento al posto sbagliato e ho bisogno del caos.
Lo rispetto, ma neanche troppo. So che non sono questo, non è ciò che merito, il mio cuore non ha questo peso e i miei peccati sono molto più sporchi e ingombenti. Che ci faccio qua? Sono piena di errori, delitti, furti, adulteri, piaceri della carne, bestemmie. Cos'è adesso quest'anima pura e fine?
Non mi appartiene ciò in cui sono ridotta. Non mi dispiace, non che non mi piace, anzi si sta davvero bene, ma purtroppo non sono niente di tutto questo, sono figlia del nulla, vivo nel caos, nel disordine mentale, ho continuo bisogno di trasgressione, ribellione e qui, ridotta ad un'anima bianca, in un regno di pace, mi sento in prigione. Ho bisogno di evasione, come sempre del resto.
Forse questa è la mia punizione divina.
Non si varcano che una sola misera volta i cancelli del Paradiso, che per molti sono un traguardo, ma per me, anima nera, sono un confine, una prigione.
Il cielo, adesso che lo vedo dal vivo, è un posto grandissimo, non ne trovo neanche l'orizzonte e mi trasmette libertà, mi immette una nuova aria nei polmoni, più vera, più viva, ora che non lo sono più.
Quello è il mio posto: il cielo.
Perchè un dono così infinito diviso in due recinti, è assurdo il Paradiso e l'Inferno, quando esiste una cosa così immensa come il cielo. È lì che vado. Il mio istinto fa da calamita e mi chiama:
corro.
Scavalco il grande cancello fatto di sogni, con gli occhi strabiliati di tutti fissi su di me.
-Per l'amor del cielo! Ma che fai, pecorella di Dio, smarrisci la strada, ora che sei nel suo cuore...
Voci amorevoli ovunque, mi dicono qual'è la retta via.
Quindi mi soffermo un attimo, li guardo con malizia, so che leggono la libertà nei miei occhi, so che vogliono la mia libertà, tutti quanti, ma non la cercano, non lo fanno per timore di Satana: preferiscono il loro gregge protetto e rinchiuso in una staccionata di oro e non osano, anche solo per un istante, perchè hanno troppa paura dell'Inferno.
So qual'è la retta via e per questo la devio.
La strada della perdizione è quella da cui provengo e adesso ho bisogno di casa: mi chiama.
Il cielo, qui, da fuori il confine, lo assaporo ancora meglio, le nuvole emanano un odore che sembra quasi zucchero filato, che soddisfazione. Il sole è più forte che mai, la luce è ovunque, peso così poco eppure così tanto.
Questa è casa mia.
Mi giro e ammiro la vastità che mi circonda, mi ingloba in sè e mi sento già parte del tutto, del mondo, del cielo, respiro quasi una nuova aria: questa è la vera pace dei sensi, questo è il posto a cui appartengo.
Intanto un folla cresce da dietro le sbarre, guardano e non fiatano: l'invida è una condanna a casa loro. Ma qualcuno chiama delle guardie, o qualcosa di simile, simile a non so cosa però, è questo essere grigio che non so cos'è e si leva dal Purgatorio, diretto verso di me, con smorfie fameliche, adesso corre. Corre lui e corro anche io.
Più veloce, perchè adesso che sono libera dalla vita, peso di meno.
Mi prende e mi rinchiude di nuovo in casa del Signore, me lo sento, lo vedo nel mio futuro.
Ma più alimento questi pensieri negativi, più divento pesante,
e più divento pesante, più sprofondo nel cielo, più decelero la corsa e più mi avvicino alla belva.
Smetto e corro già il doppio.
Non penso a nulla e mi sollevo quasi in aria.
Non penso a nulla.
Corro e mi libero dai pensieri, adesso, nella mia mente, non c'è neanche più nessuno che mi insegue,
sono libera anche da me stessa.

Ma poi un dardo, un dardo che un dardo non è, mi si conficca al tallone, tallone di Achille e sparisce in un istante. Tutto intorno è un bruciore allucinante, dolore estremo mi supplica l'arresa, inutile richiesta che non concedo al mio strazio: uno spirito libero non si ferma mai. Neanche quando i dardi si fanno tre e poi sette, tra tallone, caviglia e polpaccio. Non mi fermo. Non mi arrendo.
Non ci torno in Paradiso.
Corro.
Corro perchè è l'unica soluzione che ho.
Da lontano, poi, si scorge già il Regno di Lucifero e non so perchè, non so come, ma adesso, mentre scappo da una belva su nel cielo,
quello mi sembra l'unico posto pronto all'accoglienza, alla meschina ospitalità.
Corro più veloce,
le gambe non reggono più, le ginocchia si spezzano a momenti, le caviglie saltano via, il bruciore è nelle mie vene, circola nel mio sangue, si dirama coi capillari e rallenta la mia avanzata: adesso ho la belva alle calcagna. Non mi volto, corro, mi trascino tra le nuvole, ma non mi fermo: sono così leggera.
-Gambe, non lasciatemi qui, mancano pochi passi, ce la facciamo, arriviamo presto, corriamo ancora, ma non ci lasciamo, arriviamo alla libertà, è un attimo, su.

Mi ascoltano, e in risposta bruciano più di prima, adesso danno il via anche a spasmi e contrazioni,
la belva ormai mi sfiora.
Non mi arrendo.
-Andiamo avanti, non la sentite anche voi questa libertà, eh? Quanta forza imprime in noi. E quest'aria nei polmoni, è nuova, non siamo morti, siamo rinati, non ci fermiamo adesso. Aiutatemi!

Ma gli spasmi quasi mi fermano e adesso un dardo infiammato, dritto dentro al cuore.
Non respiro, soffoco e il cuore si sgretola, sempre se ne ho ancora uno.
Non mi fermo.
Corro.
Tac.
Le caviglie si spezzano, le sento,
le caviglie si spezzano con un suono meccanico dal resto delle gambe, i piedi vagano per conto loro e la corsa si fa sempre più storta.
L'Inferno è qua, a due passi.
-Piedi, non abbandonatemi ora. Portatemi al traguardo, sento il mio cuore spezzarsi ad ogni passo che faccio. Ma spero che una volta arrivata ai cancelli del regno malvagio, ritorna la libertà e l'aria che sa di nuovo.

I piedi stavolta rispondono a dovere, corrono più veloce della mia voglia di cielo. Ce la facciamo, me lo sento.

Merda.

Se ho un cuore, adesso sono sicura di non averlo più.
Un altro ultimo dardo.
Il cuore si spezza.
Crollo per terra e mentre crollo le mie gambe continuano instancabilmente: corrono ancora. Allungo un braccio, ormai senza forze, tocco il cancello infuocato.
Finisce.
Tutto.

Anzi, no, rimane ancora un pò di fiato in me, a terra, senza vita, senza cuore, senza gambe, nè piedi, nè caviglie. La bestia si avvicina, mi esamina.
Ho ancora un pò di fiato da qualche parte, la gola raschia, formulo qualcosa, prendo aria, poi la ributto dentro.

Uno spirito libero e ribelle steso nei cieli, morto, quasi, ma libero. Libero sempre.
Questo spirito ha ancora qualcosa, ma questo qualcosa non gli esce di gola. Raschia.

Che scena triste, queste sono davvero le mie ultime parole, ma non escono dalla mia gola.
-Merda.
Penso. No aspetta, dico proprio "merda". Escono le parole. Ecco, sprecate, sprecato il fiato per un semplicissimo, banalissimo "merda", che finale poetico.
Aspetta... ci riesco, guardo fisso la bestia e stavolta urlo:
-LIBERTÀ...
Poi il fiato si esaurisce.
Libertà.
Chiudo gli occhi. Sono libera.
La bestia mi prende in braccio, forse ha compassione, una belva di uno spirito libero.
Mi porta da qualche parte.
Libertà.
Sembra quasi un calore materno, sembra quasi familiare.
Mi culla e non sento più dolore.
Non è morte, questo,
non è morte questo senso di libertà, questa gioia, questa stanchezza, questa voglia di urla e corse, questo spirito, questa belva, questa ninna nanna, questa luce, questa passeggiata sulle nuvole, nel cielo. Non è morte questo senso di appartenenza, questa voce calda, questo calore quasi materno, questa serenità,
non è morte,
è vita.
Apro gli occhi e vedo i suoi, in un letto di ospedale.
Mamma.
Mio padre accanto.
Sono viva, ancora.
Sono libera dalla morte, ancora.
Vinco la mia vita, di nuovo e per sempre.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 19, 2017 ⏰

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