A chi ci crede ancora perché #nonsimollauncazzo .
A Claudio e Mario.Claudio non era mai stato un tipo da mancanze.
Che cosa stupida. Come ci si faceva a mancare se le persone erano comunque dentro di noi? Non aveva mai sentito la mancanza dei suoi genitori, perché erano sempre stati parte fondamentale della sua vita, anche se non si vedevano tutti i giorni. Erano la sua famiglia, erano parte di lui, vivevano dentro di lui. E non aveva neanche mai sentito la mancanza dei suoi amici, anzi qualche volta era davvero grato di restare da solo nel silenzio della sua casa.
Claudio non aveva mai compreso il significato di mancanza. Almeno fino a quando non aveva conosciuto Mario.
Mario, che con la sua bellezza e la sua semplicità, si era fatto spazio, prima pian piano, poi come una locomotiva impazzita, dentro al suo cuore e infine dentro alla sua vita. Mario con le sue facce buffe da gif, come gli piaceva chiamarle. Mario e quello smuovere quel suo nasino in una smorfia adorabile. Mario e le sue fossette che si formavano attorno alle labbra ogni qualvolta illuminava il suo volto con un sorriso. Mario e quei pozzi color dell'ebano che ogni volta lo incatenavano a se, quegli occhi in cui affogava ogni qualvolta i loro sguardi si incrociavano. Mario e quel suo neo proprio alla base del collo sul quale lasciava spesso un bacio umido. Mario e il profumo della sua pelle, un misto tra sole e salsedine che riusciva ancora a percepire tra le lenzuola, sul cuscino, la testiera del divano, dappertutto. Mario e il suo dermal dietro al collo, il suo più grande punto debole, che puntualmente leccava e mordeva tutte le volte che facevano l'amore. Mario e le sue dita grandi e affusolate, che riuscivano ad incastrarsi perfettamente alle sue, come due pezzi di un puzzle. Mario e la sua voce roca e profonda, quando sussurrava "ti amo" sulla sua pelle, e gli faceva scordare tutti i problemi e le incertezze. Mario e la sua testa di cazzo.
Si, perché Mario era una grandissima testa di cazzo, fumantina, orgogliosa, rancorosa. E adesso che non era lì con lui, in quel letto troppo vuoto, troppo bianco, troppo freddo, Claudio sentiva la sua mancanza. Come faceva a saperlo? Semplice. Le sue dita vagavano invano in cerca del fianco di Mario che avrebbe trovato leggermente scoperto, dove avrebbe lasciato un leggero pizzicotto che lo avrebbe fatto sussultare. I suoi polpacci non venivano a contatto coi piedi freddi di Mario, che puntualmente incastrava fra le sue gambe, facendolo rabbrividire. Il suo petto scolpito anelava la schiena più esile, ma comunque muscolosa del moro, il freddo delle lenzuola non riusciva appieno a scaldare il cuore di Claudio. Le sue labbra imploravano il contatto con la pelle nuda del collo di Mario, dove erano solite posarsi ogni notte, mentre con le braccia muscolose stringeva la cosa più preziosa che avesse mai avuto.
Ma più di tutto gli mancava l'aria, era come quando si affoga: i tuoi polmoni non attingono l'ossigeno e il tuo cervello ti urla di prendere fiato ma tu non puoi perché sei schiacciato dell'enorme quantità di acqua che ti tiene bloccato giù.
Claudio Sona non era mai stato tipo da mancanze. Eppure adesso, su quel letto, in quella stanza ormai così silenziosa e buia, fra quelle pareti che avevano assistito alle più belle notti d'amore, mentre si rigirava fra quelle lenzuola senza riuscire a prendere sonno, a Claudio Sona sentiva la mancanza del suo Mario Serpa.***
Claudio si rigirò ancora una volta nel letto e controllò di nuovo svogliatamente l'ora che la sveglia posta sul comodino segnava. Sbuffò, portandosi una mano a stropicciare piano gli occhi gonfi e stanchi. Puntò per l'ennesima volta lo sguardo al soffitto, se si sforzava, poteva riuscire a vedere ogni piccolissima crepa dell'intonaco, con grande fatica si imponeva di non rivolgere lo sguardo verso la cornice attaccata sulla parete antistante, ma invano. Una foto semplicissima, un attimo di vita vissuto: Mario stava ridendo sguaiatamente per una sua battuta, la fronte appoggiata sulla sua spalla nuda, Claudio lo guardava come se fosse la cosa più preziosa da proteggere, da difendere con le unghie e con i denti. Perché Claudio, in quell'esatto momento, aveva capito che avrebbe fatto di tutto pur di non vedere mai appassire quel sorriso che partiva dallo stomaco, passava per la bocca ed arrivava agli occhi.
Aveva fallito.
Non aveva lottato abbastanza. Il loro amore non era bastato.
Con un sospiro, cacciò dalla mente quell'ultimo, furibondo, litigio, quelle parole forti che ancora gli rimbombavano in testa "Magari non ti amo abbastanza". Rimanevano li tutto il giorno, come un ronzio costante di sottofondo, scandiva le ore del giorno e, soprattutto, della notte.
Sbuffò ancora una volta, infilò le dita fra i capelli e si aggiustò metodicamente il ciuffo. Si mise a sedere di scatto, le gambe incrociate sotto di se, la schiena dritta, e afferrò deciso il cellulare. Scorse le chat fino a trovare quella che gli interessava e digitò velocemente un messaggio, torturandosi il labbro inferiore con i denti.
Sei una testa di cazzo e mi manchi. Da morire Mario.Lanciò il telefono dall'altra parte del materasso, sconfitto. Si alzò svogliatamente dal letto e con passo lento attraversò il corridoio fino ad arrivare in cucina, dove prese un bicchiere d'acqua che trangugiò in un colpo solo.
Erano le 4 e 13 di notte di un mercoledì come tanti altri, quando accadde. Non seppe mai il come, o il perché, gli piaceva pensare che il suo corpo avesse reagito alla vicinanza dell'altro, come due calamite dai poli opposti che si attraggono. Un formicolio alla base della nuca e il flebile suono di un un cuore che batte all'impazzata, lo bloccarono sul posto, incapace di muoversi. Pensò di essere pazzo, che fosse addirittura tutto frutto della sua immaginazione, ma il suo cuore lo sapeva. Lo aveva sempre saputo, da quel lontano 26 agosto, quando si era sincronizzato con quello di un romano dagli occhi color del petrolio, e non era più riuscito a farlo battere per nessun altro. Si avvicinò con uno scatto alla porta d'ingresso e appoggiò prima la fronte e poi una mano sul legno bianco. Chiuse gli occhi e "Mario" sospirò contro quell'inutile muro che li separava. Non sapeva che dall'altra parte, esattamente come lui, il moro piangeva contro quella stessa parete che entrambi avrebbero voluto buttare giù. "Mario lo so che sei là dietro, parlami" poco più di un sussurro, ma rimbombò nelle orecchie di entrambi. Un singhiozzo soffocato e Claudio capì che avrebbe potuto finalmente buttare giù quel cazzo di muro che li separava da sedici fottutissimi giorni.
Fece girare la chiave nella toppa e il rumore metallico della serratura che si apriva rimbombò su tutto il pianerottolo. Claudio perse un battito. Forse due. No, decisamente, quattro o cinque o dieci. Mario, il suo Mario, era lì davanti a lui, il borsone nero sulle spalle e gli occhi pieni di lacrime. Il Veronese sbattè le palpebre una o più volte e si pizzicò un braccio, per essere sicuro di non star sognando. "Sono un coglione Clà. Sono una testa di cazzo di merda e non le so affrontare queste situazioni del cazzo, non ho mai saputo niente dell'amore, conosco solo te, e pensavo che non fosse abbastanza per te, che potessi avere di meglio di un insicuro del cazzo che si lascia condizionare dalle situazioni di merda che ci circondano. Non so un sacco di cose Claudio, l'unica cosa che so è che ti amo da morire e, ti giuro, sto impazzendo senza di te. Ti prego, perdonami ".
Lo disse tutto d'un fiato, fissandolo negli occhi chiari, scompigliandosi i capelli sulla nuca. E Claudio, finalmente, cominciò a respirare di nuovo. Inclinò la testa di lato, le dita affondate nei capelli, torturandosi in modo spropositato il labbro inferiore, un sorriso a fior di labbra e "Ti amo anche io, testa di cazzo". Il moro sorrise fra le lacrime, un sorriso che avrebbe illuminato il mondo intero. A Claudio bastava che illuminasse il suo. Allungò le braccia e lo prese per il colletto della giacca di pelle, strattonandoselo addosso, Mario affondò la testa nell'incavo del suo collo, le braccia a circondargli il busto in una presa salda.
Finalmente era tornato a casa.
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Di quando mi mancavi da morire e non respiravo più
Historia CortaL'amore può bastare??