Capitolo 2

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Riprese a camminare con gli occhi spenti, sotto lampioni d'una luce arancione, mentre qualche cono di luce si interrompeva, il flusso di pensieri continuava a scorrere e scorreva sempre uguale, vorticoso, vertiginoso, centrato su di sé. Cercava il punto di non ritorno in quel suo incubo, a cui forse ancora non credeva e che forse non accettava. Quel momento della sua storia da cui non sarebbe stato più possibile tornare indietro. Eppure non riusciva a pensare che avrebbe rifatto tutto nello stesso modo. Le sue scelte nel lavoro, come in tutto il resto, erano state lente e mai veri salti nel vuoto. "Profitti... esubero... perdite".
Intanto i suoi passi continuavano inesorabili, su quei sampietrini sempre muti, in quell'aria sempre sospesa, solo un po' più fredda. Solo quando una luce diversa ruppe quell'armonia, creata dai lampioni e dalle ombre che vi si interponevano, allora si creò un buco anche in quell'armatura di pensieri che aveva allontanato Paolo dal tempo. Fu l'insegna d'un bar a farlo trasalire da quel vortice buoi della sua mente. Qualcosa lo spinse ad entrare, sentì quasi un'esigenza, quel mettere piede su un pavimento bianco gli diede come un senso di quiete.

All'interno del bar c'era solo un ragazzo che puliva. Non si sentiva nulla se non un ronzio fastidioso, forse il motore del frigo aperto che il ragazzo stava pulendo.

«Salve» disse entrando. Il ragazzo mise la testa fuori dal frigo e guardò l'uomo. Aveva le mani in tasca ed il volto stanco. Indossava una giacca tutta stropicciata. Il ragazzo ebbe un brivido nel sentire quel secco salve: a quell'ora poteva significare una qualsiasi forma di guai, ma la vista di quella figura lo rasserenò. Mentre si pulì le mani con uno straccio, rispose al saluto e aggiunse che stava per chiudere ormai: «Non posso farle nemmeno un caffè perché ho appena pulito la macchina, mi dispiace».

Paolo disse solo «Ah», annuendo con la testa, poi dando un sguardo in giro si avvicinò ad una vetrina praticamente vuota se non per quelli che sembravano due calzoni. Da quando erano stati piazzati in quella teca d'osservazione, ancora fumanti, avevano purtroppo visto troppi volti. «Prendo uno di questi calzoni. E una bottiglina d'acqua» disse mettendo mano al portafogli.
Il ragazzo allora gli sorrise. Entrambi sembravano più sereni di quel che erano stati qualche attimo prima. «Dato che non posso farle un caffè, glieli do entrambi 'sti calzoncini» disse poi il ragazzo mentre apriva la teca.
«No no, me ne dia uno solo» disse Paolo di pronta risposta, «Gliene ho chiesto uno solo» aggiunse quasi irritato.
«Non si preoccupi me ne pagha solo uno, l'altro glielo regalo».
«No guardi lasci stare».
«Oh senta, io glieli do tutti e due, tanto o se li prende lei oppure li butto, tanto li dovevo buttare» sentenziò il ragazzo mentre mise quei calzoni su un piattino. «Glieli riscaldo perché sono un po' secchi. Questo posso farlo tanto abbiamo il microonde». Paolo non aggiunse più nulla. Chiuso e programmato il fornetto, il ragazzo cominciò a guardare Paolo nuovamente da capo a piedi. Leggermente infastidito per le noie di prima disse «Posso chiederle una cosa?».
«Non ho tanta voglia di chiacchierare» rispose Paolo, ma il ragazzo continuò «Lei non è di qui. Vero?». Paolo allungò una banconota sul bancone e senza guardare il ragazzo rispose «No non sono di qui. Sono di Urbino».
«Infatti, si sente nella voce che non è di qui. Cos'è in Toscana?»
«Ma cosa?» disse scocciato Paolo.
«Urbino dico, non è in Toscana? È in Abruzzo?»
«Nelle Marche» disse Paolo storcendo gl'occhi. «Insomma sono pronti? Su li tiri fuori» continuò Paolo, ma il ragazzo appoggiatosi alla macchinetta del caffè incrociò le braccia, quasi a dire "Voglio scocciarla ancora", rispose «Manca un altro po'. Che cosa ci fa qui?»
«Eh cosa ci faccio. Ci lavoro. Almeno per ora».
«Di che cosa si occupa?» chiese continuando quella sorta di messa al muro.
«Sono responsabile di una agenzia che offre servizi finanziari, e consulenza aziendale. Insomma mi dia questi calzoni e il mio resto».
«Deve essere un momento difficile per voi, con tutto quello che si sente in tv. Le borse bruciano milioni e miliardi». A queste parole un po' ingenue del ragazzo, Paolo rispose con uno sbuffo d'ironia. "Cosa vuoi che ne sappia un ragazzo come te di quello che sta succedendo. Ti sputano addosso notizie e sentenze, paroloni e formule che non sapresti nemmeno pronunciare".
«Parlano tutti quanti di questa crisi. In questo bar insomma caffè continuo a farne tutte le mattine e gente ne vedo in giro. I soldi sono sempre quelli, ma qui i soldi ed il lavoro sono sempre mancati, quindi non posso dire nulla su questa crisi». Detto questo il ragazzo cacciò fuori i calzoni dal microonde, li mise in una bustina, prese poi una bottiglina d'acqua ed il resto e lo passo a Paolo.
Prendendo il tutto disse «C'è l'ha davanti qualcosa da dire sulla crisi, Paolo Corboli, quarantotto anni, due figli piccoli, una moglie e nessun futuro. Sono stato praticamente licenziato, dopo anni di lavoro in cui mi sono distinto come un leader di riferimento per tutti i miei colleghi. Avevo un pacchetto clienti da far invidia e muovevo fino ad un anno fa centinaia di migliaia di euro ogni settimana. Ero un simbolo di affidabilità. Mi sono impegnato e messo in gioco ancora una volta, ho fatto il grande passo e mi sono caricato il peso d'una intera sezione, creata praticamente da me, su un territorio difficile, dove finanza, politica e malavita sono una cosa sola; questo primo anno sembrava andare bene, con poco sono riuscito a creare molto. Ma a quanto pare questo numericamente non significa nulla. Paolo Corboli è solo un nome e i nomi possono essere cancellati con un clic». Il ragazzo restò fisso con gli occhi su quell'uomo, che in un attimo assunse un colore ed una figura ben precisa. Il peso di tutta quella storia si impose sul giovane come un macigno e con un senso di oppressione lo tenne immobile.
«Buona notte» disse Paolo uscendo dal bar ricominciando a camminare.

Per aspera sic itur ad astraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora