Capitolo 33

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«Ciao mamma.» la saluto mentre rimango finalmente sola nella stanza, faccio lunghi respiri e le prendo la mano stringendola e accarezzandola con il pollice.

Mi sembra così pallida, penso, ma forse è solo perché l'ho vista raramente struccata. Le sue labbra sottili ora sembrano secche come se dovesse bere, i suoi capelli biondi che erano raccolti in uno chignon mal fatto, ora sono sparsi per il cuscino in modo scompigliato e disordinato. I raggi del sole penetrano dalla finestra illuminando il suo profilo ma sembrano trapanare la stanza, le cui pareti risaltano ancora meglio grazie al colore bianco ed irraggiato.

Mi alzo per abbassare un po' le persiane affinché il sole non disturbi mia madre. So che non può sentirne il calore sulla pelle, ma da qualche parte ho letto che in realtà lei è sveglia ma non può muoversi. Sono stata ore ed ore a guardare i siti internet che parlano del coma. Il risultato è la pazienza, la voglia di starle vicina, di parlarle, magari di farle sentire una canzone che le piace e di aspettare, semplicemente aspettare.

Il problema è che io non ne posso più di aspettare, rivoglio la mia mamma.

«Salut.» il medico entra per controllare la macchina di fianco a lei, quella dal rumore fastidioso e poi altre cose di cui non conosco la funzione.

«Buongiorno.» lo saluto con un debole sorriso.

«Tua madre sta migliorando di giorno in giorno, sai?» mi informa mentre è attento a leggere qualcosa in una cartella.

«Davvero? Si risveglierà?» chiedo impaziente di ricevere una risposta e mi alzo dalla scomoda sedia.

«Questo non lo possiamo dire con certezza ma diciamo che ci sono buone probabilità, visto come sta reagendo.» mi comunica rivolgendomi un'occhiata gentile.

Mi rimetto seduta ed osservo mia madre con un sorriso, riprendendo ad accarezzarle la mano.

«Hai sentito? Sei bravissima.» sussurro per farmi sentire solo da lei.

«Ci vediamo dopo.» si congeda con un cenno della mano il dottore prima di uscire, lasciando la porta socchiusa.

«Grazie per essere così forte.» le stringo la mano e poi appoggio la fronte alla sua spalla, sempre molto delicatamente, quasi come se potesse spezzarsi. «Grazie per essere sempre stata una roccia. Grazie per non esserti arresa quando papà ci ha abbandonate, per esserti rimboccata le maniche e aver fatto qualsiasi cosa per crescermi e per mantenermi. Tu sei stata tutto per me e io non ti ringrazierò mai abbastanza. È per questo che devi svegliarti mamma, perché non posso vivere senza di te. Come potrei vivere senza la tua voce squillante che mi rimprovera, che mi chiama quando sono in ritardo per la scuola e mi sgrida perché la mia camera è in disordine? E come faccio a rinunciare ai tuoi abbracci la domenica mattina, alle nostre passeggiate, allo shopping che mi costringi a fare con te? E voglio che mi pulisci il viso leccandoti il dito e poi bagnandomi la guancia... L'ho sempre odiato, ma voglio che tu lo faccia di nuovo.» la mia voce si spezza sempre di più finché si trasforma in singhiozzi.

Faccio un lungo respiro e le accarezzo il braccio delicatamente da sopra la stoffa del camice bianco che rimane abbottonato quasi fino al collo. Nonostante il suo viso pallido e le labbra secche rimane comunque bellissima, anche senza trucco e senza tutti quei gioielli che indossa di solito.

Una mano si posa sulla mia spalla. Non mi volto, so già che è Zayn che cerca di consolarmi e di farmi stare tranquilla. In questo momento ho proprio bisogno di lui, soltanto di lui. Ho bisogno delle sue parole, della sua comprensione più di quanto io riesca ad ammettere. Ho bisogno dei suoi piccoli gesti, avevo bisogno di questo braccialetto e della colazione, del suo sorriso e dei suoi occhi così profondi da potercisi perdere, che mi infondono fiducia e sicurezza.

Appoggio delicatamente la mano alla sua, ancora sulla mia spalla, e gliela accarezzo sussurrando: «Zayn, si risveglierà, vero?»

«Non sono Zayn.» riconosco immediatamente la voce ma inizialmente credo che sia solo una allucinazione.

«Cameron!» esclamo con stupore ed incertezza non appena mi volto.

Il suo sorriso smagliante si allarga davanti ai miei occhi mentre, incredula, mi alzo per abbracciarlo, non sono convinta di essere felice di vederlo, so solo che sono terribilmente confusa.

«Sono così contento di vederti!» mi tira a lui stringendomi con forza tra le sue braccia e io mi sento in colpa a pensare che vorrei essere abbracciata così da un altro ragazzo.

«A-anche io,» balbetto immobile, «ma cosa ci fai qua?»

«Sono venuto per te! Mi mancavi troppo e so che avevi bisogno di qualcuno in questo momento.» spiega per poi prendermi il viso tra le mani e baciarmi a stampo, premendo le sue labbra contro le mie. Ha iniziato ad accarezzarmi la schiena e a stringermi sempre più a lui, le nostre bocche ormai rimangono unite finché io indietreggio leggermente, staccandomi da lui.

«Cameron-» provo a dire imbarazzata, senza riuscire a guardarlo negli occhi.

«Hai ragione scusa.» mi interrompe e si guarda intorno, «Non è il luogo adatto. È solo che non vedevo l'ora di poterlo fare!» si giustifica prendendomi la mano.

«Sì ma-» cerco di dire ma non mi lascia parlare.

«Dove andiamo allora? Dove mi porti?» domanda con l'esaltazione di un bambino in gita.

«Dove ti porto?» ripeto io stranita e incrocio le braccia al petto inarcando un sopracciglio.

«Io andrei a visitare la Tour Eiffel, e poi Parigi è la città dell'amore e-» continua, ma io lo interrompo subito.

«Cameron,» alzo una mano davanti al suo viso per bloccarlo, «non fraintendere ma sono qua per mia madre, non per visitare la città insieme a te.» rispondo con un tono abbastanza freddo, quasi acido.

«Oh i-io... No certo, hai ragione.» balbetta lui con le mani nelle tasche del suo cappotto nero, «Scusa.» aggiunge facendomi sentire in colpa per avergli risposto male nonostante sia venuto fin qua per me.

«Magari possiamo uscire stasera.» mi sento dire senza volerlo davvero, mi mordo la lingua subito dopo.

«Perfetto! Non vedo l'ora!» mi bacia di nuovo a stampo velocemente prima di uscire dalla stanza.

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