I CAPITOLO

18 1 0
                                    

Pioveva. Le giornate di pioggia, si sa, non portano buone cose. I raccolti si irrigano, ma possono anche rovinarsi; i ciottoli della strada di bagnano diventando sdrucciodevoli; ognuno sta a casa sua a godersi il focolare e a fare quello che il tempo gli richiedeva di fare, e che non hanno mai potuto compiere a causa della loro vita movimentata fuori casa. Le giornate di pioggia sono pericolose per i viaggi, a causa della nebbia non si vede il sentiero e si rischia di sbucare da qualche altra parte in capo al mondo.

"No, no! Non ci voglio andare, papà! Tutto ma non questo!!"

Seduto sulla sedia di vimini, a fissare il vuoto con aria imbronciata, Mono protestava la richiesta del padre.

"Mono, non farmelo ripetere. Dobbiamo trasferirci, se tu vuoi andare a scuola e io avere più terre e prestigio. Ora smettila e vieni."

Nonostante tutto, Mono non cedeva. Si teneva stretto alla sedia, come se quel gesto sarebbe stato abbastanza per evitare il trasferimento. Proprio non ci voleva andare.

"Mono, non farmi ripetere. Ti ho dato dei motivi più che validi, e abbiamo già preparato i bagagli. Vedrai, nella Città Nuova ti troverai bene."

Ma Mono non era convinto. Voleva rimanere lì, in mezzo a tutto quel verde, così libero e vitale, gioioso anche nelle giornate buie; nonnin una città, dove ti giri e vedi solo pietra e legno, grigio, fumo. E soprattutto, cosa avrebbero detto gli amici di lì? Sparire così, senza dire una parola a nessuno, era inaccettabile per il ragazzo.

Ma il padre era irremovibile. La pioggia fuori batteva sui vetri della casa e il vento ululava nello spiraglio della porta semichiusa. Non era  sicuramente tempo da viaggio, soprattutto se sulla diligenza c'era un bambino come Mono, ancora indifeso e senza la conoscenza del mondo.

"Ascolta, figliolo" disse suo padre con un tono calmo e paziente "andare a scuola ti farà diventare intelligente e diverrai un importante uomo d'affari. Vuoi continuare a rimanere nell'ignoranza?"

"Se rimanerci significa rimanere amico di tutti, sì!" Mono era ancora piccolo, ma sapeva come rispondere.

Dopo di ciò, suo padre si alzò dalla sua sedia du legno intagliato con un motivo a draghi che, reciprocamente, si divoravano le loro code.

"Ti voglio fuori di qui tra 5 minuti" disse, e con questo prese la giacca inpermeabile e le sue valigie e uscì nella tempesta.

Intanto, uno scalpiccìo di zoccoli avvisava che la diligenza era arrivata e che era tempo di andare. Mono rimase avvilito. Non poteva lasciare i suoi amici, ma non poteva nemmeno stare da solo, così piccolo, in quella landa selvaggia.

Così prese a sua volta il suo piccolo bagaglio, con pochi giocattoli, una piuma di fagiano che aveva trovato con un suo amico nel bosco, delle monetine di latta e un libretto per gli appunti.

Diede un ultimo sguardo al focolare spento, ancora fumante, alla sua seggiolina di vimini, alle lanterne e ai soprammobili con i quali trascorse la sua infanzia, e ancora trascorreva, e diede una piccola carezza a Jingo, il suo gattino da un giorno, che aveva trovato con i suoi compagni d'avventure ferito nel bosco.

Fatto questo, uscì sotto la pioggia e raggiunse la diligenza. Poi, sistematosi nella cabina, chiese a suo padre:

"Potrò mai tornare qui a salutare i miei amici?"

Ma suo padre non rispose.

Monoted: Vita da TopiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora