III CAPITOLO

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Un altra di quelle enormi goccie di pioggia cadde sull'ombrello di Mono. Quanto gli ricordava quel giorno quando mise per la prima volta piede a Kattes Town: quello che aveva sentito nel guardare quelle tristi case sulla strada acciottolata principale, la fontana allagata, l'atmosfera deprimente come la morte; il cielo era grigio come quel giorno, in cui, con il bagaglio in spalla, seguiva suo padre nella nuova abitazione. Quanto tempo era passato da quel giorno? 5 anni? 6?

Mono non riusciva a ricordare. Erano passate troppe cose dopo quel viaggio, che lui non ricordava nemmeno la sua prima impressione della villa. Tutto era passato in un batter d'occhio, così veloce e immediato da non potersi ricordare il vero motivo della sua partenza. Tutto era in confusione, tutto era stato cancellato, tranne l'atrio cittadino, dalla mente giovane del ragazzo. Tranne la sua infanzia in campagna. Era una ferita ancora aperta. E dolorosa

Tutto in quella città era bagnato dal triste pianto degli dèi. Su Kattes pioveva molte volte, ma nelle giornate di sole, tutta la città si trasformava. Era come se cambiasse la configurazione delle case, dell strade; tutto era magico in quelle rare giornate dove gli dèi si divertivano e ridevano, con le rondini e che svolazzavano sul giardino della Villa e tutte le persone avevano un animo meno grigio e oscuro. Ma in quel momento pioveva. E Mono non ci poteva fare niente.

Il rumore delle sue scarpe di cuoio ticchettava sulla strada irregolare e ciottolosa. Non c'era un anima in giro, non un animale; era completamente solo, al contrario di quando era in campagna. Guardandosi in giro, era come se ogni sguardo che sfoderava dai suoi occhi scuri e vispi era una lancia che si conficcava nel suo animo libero, vedendo solo pioggia e grigio. E vuoto.

Un'altra goccia di grandi dimensioni sbattè sull'ombrello del ragazzo e scivolò giù. L'umidità intorno a Mono era tale che, nonostante lui si fosse riparato per tutto il tragitto con il largo ombrello, i suoi vestiti erano zuppi d'acqua e lo opprimevano più di quanto non lo era già osservando il paesaggio circostante. A volte al ragazzo sembrava che qualcosa si muovesse; ma era solo una goccia che faceva oscillare un manifesto o alcuni residui del mercato che ci fu il giorno precedente, quando le nuvole non erano ancora sulla Città Nuova.

Mono si sentiva come quel topo che vide rintanarsi nel buco delle fognature: fradicio e infreddolito.
Voleva tornare a casa, ma i negozi erano tutti sulla piazza e la sua villa era tutta a nord, e richiedeva molto tempo per andare e tornare.

Mentre era immerso nei suoi ricordi, e si faceva cullare dal continuo scroscìo d'acqua tutto intorno a lui, inciampò e cadde in una pozzanghera davanti a lui. Si fece male al naso, che cominciò a sanguinare. La pozzanghera nella quale era caduto si tinse per un attimo di rosso, ma poi la pioggia cancellò i segni dell'incidente e loo specchio d'acqua tornò ad essere limpido.

Imprecando, Mono si mise una mano a coppa sotto al naso congelato come le sue dita e guardò indietro.

Tutto ciò che vide era una bambina che, pallida e ferma, lo fissava con i suoi occhi di ghiaccio. La pioggia scivolava sui suoi capelli color platino, ma lei non sembrava curarsene. La sua veste bianca aderiva al corpo smagrito e mostrava le costole in rilievo dulla pelle sottile e fragile.

Appena vide quella figura, Mono si arrestò e la osservò, come un fosse un angelo. Si tolse lentamente la mano dal naso sanguinante e mirò alla bimba spettrale, che non batteva ciglio. Sembrava quasi che non fosse lì, in quel momento, ma in un altro posto. Come una bambolina.
"Ti sei persa?" Chiese, dopo un po'di esitazione colma d'ansia, Mono. Non aveva mai visto uno spettro prima.
La bimba non gli rispose. Lo guardava, ma al contempo no; voleva dirgli qualcosa, ma stava zitta; voleva muoversi, ma stava ferma. Il ragazzo fece un passo incerto verso di lei.

E lei alzò una mano, lentamente, quasi impercettibilmente. E sbadigliò. "No...io non posso perdermi, sono già persa....come tutti voi, in fondo..." la sua voce, così cristallina e acuta, perforò il silenzio. Mono rimase sconcertato da quelle parole. Ebbe una scossa.

"In fondo, aprire quelle porte....è come spazzare la via alla Grande Fine...anzi, è proprio aprire le porte alla Grande Fine." Sorrise. "Quando tutti gli uomini non dovranno più pensare ai loro futili bisogni."

Un risolino uscì dalla sua piccola e bianca gola, mentre le sue dita sfioravano le labbra diafone. "E tu, Monoted...questo è il tuo nome, giusto? Ti sono grata per quello che hai fatto. Ma ora il tuo viaggio, già finito, giunge al vero termine. Anche tu verrai privato dei tuoi futili bisogni. Dovrai solo trovare l'indispensabile necessario per esistere." Si avvicinò al ragazzo che, come in un sogno, guardava nel vuoto.

La sua vista si stava appannando, tutta la città sembrava perdere più colori di quanti già pochi aveva...una intensa luce perforava l'aria, e la bimba lo prese per mano. Era così fredda.

"Andiamo, topolino. C'è tanta strada da percorrere ancora...corri..."

Un lampo bianco tramutò in vuoto tutto ciò che vi era intorno al ragazzo. La città, la bambina, lui stesso...non c'era più.

Finchè la testa di Monoted non sbattè contro la nuda pietra.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 22, 2017 ⏰

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