Stavo camminando per le strade della città che aveva assistito alla nascita, e alla morte, del nostro amore. Gli edifici, vestiti di buio, costellavano quel territorio ormai a me estraneo. Speravo di riconoscere un sorriso familiare nei volti di chi correva affannosamente per i marciapiedi, la gente si affrettava per tornare a casa dopo l'ennesima, estenuante giornata lavorativa.
Non uno sguardo a me noto, non un gesto conosciuto. La mia andatura era stanca, ogni passo incerto e timoroso, quasi avessi paura di rientrare in quel mondo che non mi apparteneva da troppi anni. Svoltai a destra, riguardando con gli occhi di una sedicenne quei luoghi pregni di memorie. Le foglie erano state già quasi tutte strappate via dalle folate invernali. Tra gli alberi spogli, di tanto in tanto compariva un lampione. Poche persone frequentavano quel viale, l'unico che pareva non essere stato contaminato dall'avanzare del tempo. Iniziai a scorgere un parco, anzi, quel parco: il nostro. Gli abeti si allungavano maestosi verso le stelle, proprio come nel lontano 1964. Un gruppetto di ragazzini, accompagnati dai loro zaini, sghignazzava davanti al cancello di una vecchia abitazione. Mi catapultarono improvvisamente a quando io e le mie amiche spendevamo intere ore fantasticando sul nostro futuro. Io ero sicura (e a tratti impaziente) di lasciare quella cittadina troppo contenuta per le mie aspirazioni, alla volta di una metropoli. E dopo innumerevoli sacrifici, ero riuscita ad esaudire il mio desiderio: con poche certezze ma molte aspettative, salii sul mio primo aereo per Parigi. Mentre decollava, il mare della Sardegna si spalmava sotto di me in un'infinità di sfumature smeraldine e nonostante quelle onde accompagnassero le passeggiate sin dalla mia nascita, da quella prospettiva mi sembrarono completamente rinnovate. Fissai la mia terra, finché non scomparì del tutto.
Dopo talmente tanto tempo passato altrove, l'aria parlava una lingua che io faticavo a ricordare.Tra i vialetti del parco, cercai con lo sguardo una panchina in particolare. La ricordavo dettagliatamente: le venature del legno non troppo pregiato, le varietà di fiori che la circondavano, la posizione che la Luna assumeva osservata da quell'angolazione. Mi sembrò di scorgerti seduto lì, la tua pelle candida descritta solo da un velo di luce, gli occhi distanti e le mani che tamburellavano sulle ginocchia.
La tua immagine era rimasta impressa nei miei ricordi per tutta la vita. Non rispecchiavi il canone di bellezza che andava di moda in quegli anni, con un retrogusto americaneggiante.
Eppure, per me, non c'era nulla che potesse eguagliare il fascino dei tuoi modi gentili.Passai le dita sul legno freddo e consumato di quella panchina. Accarezzai le reminiscenze che a poco a poco affioravano dalle tenebre dell'oblio. Con l'indice iniziai a girare uno dei miei ricci canuti che si appoggiavano sulle spalle esperte, soffermandomi a studiare le incisioni impresse su quel legno. Centinaia di nomi, nomi che avevano storie straordinarie e diverse dietro di loro.
Di quanti baci, litigi, pianti, addii, riconciliazioni era stato uno spettatore silenzioso quel parco? Gli amori sbocciavano anche d'inverno, proprio come quello nel quale eri riuscito a trascinarmi.
Faceva freddo fuori, ma soprattutto dentro di me. I ragazzini si avviarono verso il centro, lasciandomi definitivamente più sola di quanto già non lo fossi.
Sola con il mio passato, con i miei rimorsi e rimpianti.
Sola con tutto ciò che mi era rimasto di te, di noi: ricordi remoti e intangibili.
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Parlavo alla Luna
RomanceLa storia di un amore remoto, rivissuto attraverso le memorie affiorate grazie ad un ritorno in patria. Il ricordo del primo amore sbocciato sotto le stelle, accompagnate dal mormorio delle onde che accarezzavano la riva del mare sardo. La vita di L...