Ogni tanto, Maggie si uccideva.

178 21 19
                                    

Ogni tanto, Maggie si uccideva.

Tornava a casa da scuola, gettava il suo zaino in un angolo e si avviava verso la camera da letto. Passava almeno due ore a legare insieme tutti i lacci delle sue scarpe, creando una sorta di lungo verme multicolore. Le fibre, diverse fra loro, dovevano essere annodate a seconda della grandezza del tessuto. Maggie in questo era estremamente precisa.

Fissava poi la lunga corda al soffitto, e infilava nel piccolo cappio il collo sottile. Dopo essere salita sulla poltroncina rosa di sua sorella (che aveva l'altezza ideale per l'operazione), si dava una piccola spinta in modo da scalciarsela da sotto i piedi.
E dondolava. Dondolava anche per ore talvolta. Ma non riusciva a morire.
Al che, memore degli insuccessi passati, si tirava fuori dalla tasca un paio di forbici e tagliava quella corda di fortuna.

Aprendo il cassetto, era solita tirar fuori la sua sciarpa verde acido, in modo che coprisse le ecchimosi tremende che portava all'altezza della collanina.

Oppure, nel tardo pomeriggio, riempiva la vasca da bagno fino all'orlo, e vi si immergeva completamente vestita (aveva sempre avuto questo senso spiccato per l'ordine, le avrebbe dato fastidio pensare alla squadra di soccorso che estraeva il suo corpo completamente nudo per l'autopsia). Si recideva entrambi i polsi con una lametta del padre, e aspettava. L'acqua si colorava di rosso, tingendole capelli e vestiti di un rubino vivace. Ma niente, Maggie non riusciva a morire neanche così. Puliva allora la vasca, in modo accurato, si sciaquava i capelli, metteva a bagno il vestito in una bacinella, disinfettava la lametta e si applicava delle fasciature ai polsi.

Talvolta comprava del cibo fresco e lo lasciava marcire dentro l'armadio. Quando il livello di decomposizione era tale da non sopportarne più l'odore, Maggie lo tirava fuori e lo osservava. Le larve che brulicavano e il profondo verde della muffa erano un incentivo a mangiare. La speranza (anch'essa, come le altre, vana) era di poter morire per avvelenamento o intossicazione alimentare. Ma il risultato era sconcertante nel suo opposto : Maggie si sentiva meglio, addirittura sazia. Non tentò più di uccidersi con questo metodo, dati anche gli effetti collaterali e i costi eccessivi che comportava ogni volta ripulire l'armadio e spruzzare il deodorante per ambienti sui vestiti.

Maggie non parlava. Il silenzio era un'attitudine che la differenziava dal resto del mondo, e che la rendeva sola. Ed era attraverso la solitudine che trovava la libertà di agire e provare sempre nuovi metodi di annullarsi. Non aveva amici, perchè non era attenta. Camminava al centro della carreggiata in piena ora di punta, con il rumore assordante dei clacson che le sfrecciavano nelle orecchie. Prendeva l'autobus e si allontanava di parecchi chilometri da casa sua, e cominciava a vagare per strade che non conosceva. Capitava di rado che lei potesse contare sulla disattenzione altrui, e due o tre volte ebbe la fortuna di essere investita da automobili guidate da uomini in giacca e cravatta. Sentiva le ossa sbriciolarglisi all'interno del corpo sottile, e il calore dell'emorragia massiva irradiarsi velocemente. Ma era un attimo senza dolore : subito era in grado di mettersi in piedi e constatare per l'ennesima volta i suoi fallimenti.

Aveva però un'unica accortezza nell'attraversare la strada : evitare di essere investita dalle utilitarie. Maggie aveva maturato la profonda convinzione di non provare sentimenti, e di essere totalmente anaffettiva. Ma qualcosa le si smuoveva dentro quando vedeva avvicinarsi le utilitarie. Il suo cervello cominciava a pulsare, e lei cominciava ad immaginare : vedeva chiaramente delle madri, contornate da sacchetti per la spesa, e i loro bambini sul sedile posteriore, terrorizzati dal corpo martoriato di Maggie spalmato sull'asfalto. C'era qualcosa in quell groviglio di pianto e scatole di cereali che tendeva a farla indugiare davanti alle utilitarie. Non seppe mai spiegarsene il motivo.

Erano operazioni che le portavano via almeno tre giorni a settimana. Era rassegnata nel non saper morire. Era solo un'altra delle altre cose che non era in grado di portare a termine.

Ma un giorno si innamorò. Sull'autobus, accanto a lei, si sedette un ragazzo dall'aria smunta, smagrito e dal colorito perlaceo. Guardava dritto davanti a sè con occhi spenti, e intanto si rigirava un accendino tra le mani. A Maggie non interessavano i rapporti interpersonali. Certo, si era documentata riguardo le morti per via di malattie sessualmente trasmissibili, ma le era parso un processo estremamente macchinoso e fin troppo sfiancante. Così aveva accantonato da subito l'ipotesi.

Il ragazzo si voltò verso Maggie e le chiese che ore erano. Istintivamente, la ragazza fece per guardarsi il polso, scoprendo le sue cicatrici profonde. Lui la fissò a lungo, poi le sorrise. La prese per mano e la fece scendere alla fermata successiva. Per tutto il tragitto, lei non proferì parola, e altrettanto fece lui. La portò in un fast food, e lei mangiò (cosa che da molto tempo non era più solita fare, sperando di poter morire per denutrizione). Lasciarono il locale nel pomeriggio, senza mai scambiare una parola. Lui le chiese dove abitasse, lei le indicò la via. Con la bocca serrata, Maggie osservava il passo dinoccolato del ragazzo. Cominciarono a pulsarle forte le tempie, e percepì un fastidioso bruciore agli occhi. Accadde in quel momento un fatto davvero singolare: invece di incentivare quei dolori ed ampliarne la forma, sperò di poterli rimandare per godersi quel momento.

Il ragazzo si accese una sigaretta e la osservò a lungo. La accompagnò a casa e, sotto il portico, le diede un piccolo bacio sulle labbra. Non dissero nulla, non si salutarono nemmeno. Maggie scrisse su un pezzo di carta il suo numero di telefono e lo porse allo sconosciuto.

Si sentiva malissimo. Era felice all'inverosimile, ma il suo corpo stava reagendo in modo criptico. Fece appena in tempo a varcare la soglia di casa, e diede di stomaco. Aveva dei crampi che non la lasciavano camminare in modo eretto. Si trascinò faticosamente in camera sua, desiderosa di un letto, che non trovò (poichè l'aveva eliminato mesi prima, sperando di poter morire per la privazione del sonno). Si accasciò sul pavimento, allontanando da lei la corda con la quale usualmente provava a suicidarsi. Improvvisamente, si sentiva malata. Con dolori indicibili, lancinanti, strazianti. Rotolò sino in bagno, e sul pavimento c'era ancora la bacinella con dentro il suo vestito tinto di rosso lasciato a smacchiare. Voleva chiamare qualcuno per chiedere aiuto, ma si ricordò di non avere amici, perchè non ne aveva mai voluti. Fece per cercare una medicina che potesse aiutarla, ma tutto ciò che Maggie possedeva erano dei sonniferi (che puntualmente mandava giù a grandi manciate, sperando che avessero un effetto letale).Pianse lacrime grandi e tonde.

Alla fine la morte l'aveva trovata.

Ma lei non voleva morire, adesso.

Era innamorata, e finalmente sapeva per cosa aveva vissuto fino ad allora.

Per il calore che aveva provato stringendo la mano di qualcuno a cui sembrava che importasse di lei. Per quella speranza, che non era nient'altro che fede nell'essere umano e nelle sue possibilità. Nella profonda fede per la vita, che da sempre aveva evitato come la peste e maledetto come il peggiore dei mali, e che adesso la stava davvero abbandonando come da tempo si era augurata.

Prima non aveva nulla per cui morire. Non aveva niente. Non aveva speranza, la speranza che qualcosa potesse realmente cambiare la sua esistenza. Non credeva, e non credeva di poterci riuscire.

E invece la morte era lì con lei.

L'ultima cosa che riuscì a sentire fu lo squillo di un sms che arrivava sul suo cellulare.

E poi morì.


Maggie - la ragazza che voleva morireDove le storie prendono vita. Scoprilo ora