2 - Olivia

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- Stai bene? - chiede qualcuno, mettendomi una mano sulla schiena.

Mi rialzo, imbarazzata.

Non mi era mai successo di avere un mancamento del genere... un mancamento tanto forte da cadere della sedia.

Metà della classe mi sta guardando, compresa la professoressa, e, in più (come se non bastasse) il ragazzo che mi ha chiesto se stavo bene è Edward, il famoso Edward.

Il che raddoppia le occhiate verso di me.

- Si, sì. - borbotto. - Sto bene. -

Lui stacca la mano dalla mia schiena, finalmente, ed io mi rimetto a sedere.

Prendo la matita in mano, ma non riesco a concentrarmi abbastanza per disegnare: non mi piace stare al centro dell'attenzione, e mi sento le guance bollenti.

Aspetto con trepidazione che suoni la campanella della fine dell'ora, così da potermela squagliare. Per fortuna, dopo ho la pausa pranzo.

- Olivia. - mi chiama la professoressa. - Va tutto bene? -

Non faccio in tempo a rispondere, che finisce l'ora. Annuisco alla professoressa, e, velocemente, prendo il mio blocco da disegno, il mio astuccio e li infilo nella borsa.

Poi mi alzo, e scivolo fuori.

Respirando a pieni polmoni l'aria autunnale che entra dalle finestre aperte del corridoio, mi sento subito meglio: mi aggiusto la borsa a tracolla, avviandomi con calma verso la mensa, schivando gli altri ragazzi.

Poco prima di arrivare al mio armadietto, mi raggiunge Edward, il ragazzo di Arte.

- Ehi. - dice.

Sta parlando con me?

Mi guardo intorno, ma non vedo nessuso a cui potrebbe rivolgersi.

Sì, sta parlando con me.

- Ehi. - rispondo, alzando lo sguardo verso di lui. Arrosisco, e non ho il coraggio di guardarlo negli occhi.

- Va davvero tutto bene? - chiede.

- Sì. - dico.

Mi aspetto che se ne vada, ma lui non si muove.

Si guarda i piedi, si passa una mano tra i capelli e la posa sull'armadietto accanto al mio.

- Senti... - dice. Fa per dire qualcosa, poi cambia idea.

- Io sono Edward. Springfield. - si presenta, alla fine.

Mi stupisce. Lo guardo negli occhi per un istante, due chiari occhi azzurri. Distolgo immediatamente lo sguardo.

- Olivia Corder. - rispondo.

Mi porge la mano, e gliela stringo in modo impacciato.

Dio, che imbarazzo.

Aspetto che dica qualcosa, ma ancora non dice niente.

Lancio un'occhiata all'orologio.

- Io dovrei andare a mensa... - mormoro.

- Oh, giusto. - dice lui. - Ti accompagno. -

Ci avviamo verso la mensa in un silenzio imbarazzante, uno accanto all'altra.

Quando spalanca la porte, il rumore ci investe, e (finalmente) ci separiamo. Mi saluta con un cenno del capo, e io raggiungo il più velocemente possibile il mio tavolo.

- Olivia Rebecca Corder! - esclama Norah quando passo accanto a lei.

Sussulto.

L'ultima volta che Norah ha pronunciato il mio nome (completo, per di più) in questo modo, mi ha spillato 200 dollari con la promessa di ridarmeli.

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