Quando John Watson, ex medico militare in congedo, si alzò dal letto quella mattina, ebbe da subito il presentimento che quella giornata sarebbe stata orribile: anche se non avrebbe saputo dire esattamente il perché.
Forse aveva fatto qualche incubo di cui non conservava completamente il ricordo, ma che aveva lasciato nella sua mente qualche spiacevole traccia...
Nonostante ciò, spense l'irritante radiosveglia con uno sbuffo, e si preparò per andare al lavoro.
Dopotutto, aveva ben poco da lamentarsi: dopo il suo rientro dall'Afghanistan, doveva solo essere grato di averlo trovato un lavoro. Le prime settimane dopo il congedo, infatti, le aveva passate girovagando apaticamente per Londra, o steso sul letto a fissare per ore il soffitto del suo microscopico monolocale; il quale, tra l'altro, stava diventando troppo caro per le sue magre finanze.Ma, paradossalmente, era stato proprio durante uno di quei girovagare senza scopo che aveva incrociato Mike Stamford, suo vecchio amico e compagno di studi, che era riuscito a trovargli un buon lavoro in un ospedale della zona.
Non solo: quando aveva scoperto che era anche in cerca di un appartamento meno oneroso per le sue tasche, Mike gli aveva presentato un suo amico, un uomo di nome Sherlock Holmes, che, casualmente, cercava un coinquilino.
Da quel giorno, la vita di John era completamente cambiata.
Oltre al suo lavoro di medico, si ritrovò a correre per le strade di Londra con quello strano individuo dai capelli ricci neri e i penetranti occhi azzurri, che lo aveva trascinato in ogni sorta di straordinarie avventure, in lotta contro criminali di ogni genere.
"Consulente investigatore", si era definito, asserendo di aver inventato lui stesso quella professione; una sorta di collaboratore non ufficiale di Scotland Yard. Anche se lui non aveva usato esattamente queste parole...
Per quanto quell'uomo gli fosse sembrato, fin dal primo momento, decisamente fuori dal comune-tanto per dirne una, la prima volta che l'aveva visto era intento a frustare dei cadaveri con un frustino-ne era, però, rimasto subito colpito: specialmente dopo che aveva dedotto quasi tutta la sua vita dopo un solo sguardo.
Ed era stato proprio grazie a lui che, dopo la guerra, John si era sentito finalmente di nuovo vivo.
Ancora ricordava il caso del tassista, il primo svolto insieme a lui. L'adrenalina provata durante la caccia di quel misterioso serial killer, il sangue che pulsava nelle vene durante la corsa rocambolesca per le vie di Londra, del tutto dimentico della sua zoppia psicosomatica, tanto da fargli addirittura abbandonare, senza neppure rendersene conto, la stampella che gli aveva tenuto compagnia sin da dopo l'Afghanistan... Era come essere tornato, ancora una volta, sul campo di battaglia.
Si poteva dunque concludere che, nonostante Sherlock Holmes fosse un individuo assolutamente bizzarro, gli avesse, senza ombra di dubbio, completamente cambiato la vita.C'erano, in verità, tante cose a cui non riusciva a dare una spiegazione, riguardo al detective: non solo la sua straordinaria capacità di dedurre tutto di una persona con una sola occhiata.
C'era anche altro.
Il suo ricordarsi praticamente ogni cosa grazie al suo Palazzo Mentale... Il suo non parlare per ore di fila... oppure, al contrario, il parlare con un teschio che teneva sul camino...
Ma forse la più inspiegabile era questa: ogni giorno, passate le dieci di sera, Sherlock usciva, da solo, senza dire a nessuno dove andasse, per poi fare ritorno solo dopo un paio d'ore o più. Anzi, in certe occasioni, era rimasto fuori tutta la notte, e John non lo vedeva fino alla mattina seguente. Nemmeno la signora Hudson, la loro padrona di casa, sapeva dove si recasse: sembrava però già essere abituata a quell'uscita serale.Una volta entrati più in confidenza, John si era più volte offerto di accompagnarlo, o per lo meno che lo rendesse partecipe di quello che stava combinando. Ma l'altro rispondeva invariabilmente: "Non è ancora il momento, John. Ma lo sarà presto", gli assicurava, con un sorriso enigmatico.
Ma ormai erano passati almeno due anni e mezzo da quando erano coinquilini, e ancora nulla.
Durante quel periodo, la loro amicizia si era sempre più consolidata, andando oltre il semplice rapporto di convivenza; avevano infatti affrontato insieme diverse situazioni di vita o di morte, guardandosi le spalle a vicenda, confidando l'uno nell'altro, arrivando addirittura a capirsi con poche parole o gesti. E anche se John aveva preso a frequentare Mary Morstarn- un'affascinante collega di lavoro- aveva continuato a vivere e a a collaborare ai casi con lui.
Aveva dunque pure il diritto di sapere, o no??
Scosse la testa e, sbuffando, scese le scale; il 221B di Baker Street era immerso nel silenzio, ma una tazza di tè vuota era abbandonata sul tavolo della cucina, in mezzo alle solite provette e strumenti chimici: Sherlock, a quanto pareva, era uscito subito dopo colazione, lasciando però, come sempre, un terribile disordine; a cui, di solito, doveva porre lui rimedio.
A volte era la loro stessa padrona di casa, ad occuparsene: ribadendo però, ogni volta, che "Non era la loro governante!".
Trattenne un sorriso.
Forse Lestrade, l'ispettore di Scotland Yard, l'aveva convocato per qualche caso: trovò strano, però, che il detective non l'avesse almeno svegliato per informarlo, come faceva sempre in quelle occasioni.
Dopo aver gettato un'ultima occhiata all'appartamento silenzioso, aprì la porta, e uscì in strada, la mente ancora però piena di pensieri.
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Back Sherlock
Fanfiction~#347 Fantascienza~ ~#222 Fantascienza~ John Watson sapeva perfettamente che Sherlock Holmes, oltre ad essere l'unico consulente detective al mondo, amava anche fare esperimenti. Teste mozzate nel frigorifero e provette contenenti sostanze di ogni s...