3. Ti rendo il favore

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Canzone per il capitolo:

Sing me to sleep – Alan Walker

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«Si può sapere perché parli in questo modo del cazzo? Stai biascicando e non si capisce niente.»

Alzai gli occhi al cielo e spostai il rossetto dalle labbra per poter parlare senza ostacoli. «Mi sto mettendo il rossetto, Emilie.»

Ero china sul lavandino del bagno degli uffici mentre cercavo di aggiustarmi il trucco nel riflesso dello specchio, e nel frattempo intrattenevo la mia migliore amica durante una delle solite chiamate che avevano preso da tempo una cadenza quasi giornaliera. A causa del lavoro, faticavamo a vederci spesso, così cercavamo di recuperare con telefonate che duravano delle ore. «Se tu la smettessi una buona volta di chiamarmi nei momenti meno opportuni. Sembra che tu lo faccia apposta: ogni volta che mi chiami, io sono chiusa in bagno. Mi controlli con una microspia?»

Sbuffò senza darsi pena di farlo in silenzio. A giudicare dalle voci e dai rumori di piatti e bicchieri che tintinnavano in sottofondo, immaginai che fosse al lavoro nel diner situato nell'Upper East Side in cui avevamo lavorato entrambe durante gli anni dell'università come cameriere.

«E se tu la smettessi di dar retta a quel cretino di tuo marito, allora potremmo sentirci quando ci pare», fu la sua risposta immediata, il tono che come al solito si inacidiva quando finivamo per parlare di Michael.

Infilai il rossetto in borsa e controllai l'ora; erano le otto e mezzo di sera, gli uffici si erano ormai svuotati, ma io dovevo ancora terminare di visionare alcuni report e mettere un paio di firme sui documenti da consegnare la mattina seguente, e poi sarei potuta tornare a casa. Anche se a volte ero l'ultima ad arrivare a lavoro la mattina, di certo ero anche l'ultima a uscire la sera. «Guarda che Michael non mi impedisce di parlare con te.»

Emilie irruppe in una risata sarcastica e la sentii muoversi per il locale fino a che il rumore di sottofondo non si placò del tutto, segno che fosse uscita fuori per fumare una sigaretta. «Oh no, ci mancherebbe ancora: verrei lì e gli strapperei i gingilli dorati con cui ti piace tanto giocare la notte. Però, il caso vuole che ogni volta in cui sei al telefono con me, lui ti fa sempre mille domande e sei costretta a riattaccare prima del tempo. Non a caso ci parliamo sempre la sera quando resti in ufficio da sola. Oppure la mattina quando sei in taxi. O il più delle volte quando sei seduta sulla tazza del cesso.»

Presi un respiro profondo e mi appoggiai con la schiena alla parete. «Non dire così. A Michael stai molto simpatica.»

«Layla...», iniziò con tono di ammonimento, «sii seria per un minuto.»

Ridacchiai del suo tono e della piccola bugia che avevo appena detto. «Ok, scherzavo... ma lo sai com'è fatto Michael: è solo un po' geloso. Tu sei single, sa bene quello che combinavamo durante l'università, e ogni volta che io e te usciamo insieme, non perdi l'occasione per raccattare uomini in giro anche per me per farci offrire da bere.»

«Certo che se tu non glielo raccontassi tutte le volte...»

«Emilie, ne abbiamo già parlato. Io a Michael racconto sempre tutto, e così lui fa con me.»

«Che palle, Layla. Non ti chiedo mica di portarteli a letto tutti quanti. So che ami tuo marito, so che siete adorabili, so che siete fottutamente e immensamente felici... ma che noia. Mi manca la mia amica», quasi gemette sul finale.

«Ma io ci sono sempre per te. Non è Michael che mi impedisce di vederti: è il lavoro che mi occupa tutta la giornata.»

Quella piccola arpia assunse il suo solito tono contrito e abbattuto: il tono che sapeva sempre suscitarmi tenerezza nel cuore perché potevo chiaramente immaginarmi i suoi occhioni verdi e il suo visino angelico che mi pregavano tra le righe. «Lui è il tuo datore di lavoro, no? Quindi, la colpa è tutta sua. Cattivo e antipatico Michael... E poi, forse, la verità è che non mi vuoi più bene come un tempo.»

UNFAITHFUL - Vincitore WATTY AWARDS 2019Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora