Parigi (quartier Pigalle) - XVIII Sec.
Fa freddo, tanto. Tremo forte.
Voglio che la mamma mi scaldi, ma lei è a lavorare.
Anche io sono a lavorare. Fará freddo anche per lei? Credo di si, era vestita meno di me quando è uscita.
Mi fanno male i piedi: cammino tanto, tutti i giorni. Charles me lo fa fare.
Forse mamma è con un uomo ora, a lei non fanno mai male i piedi, solo la sera tardi si lamenta, dopo aver ballato.
Lei durante il giorno non cammina, deve stare ferma.
Mi ha spiegato.
Gli uomini vanno da lei e la pagano, non mi ha mai detto per cosa.
Voglio tornare a casa, ho sonno.
Sento le campane suonare: uno, due, tre, quattro, cinque.
Sono le cinque, è ancora buio.
Mi siedo sulle scale della chiesa dove mamma va sempre dopo il lavoro.
Va a pregare. Lei dice che pregando tutti i giorni Dio prima o poi ci aiuterà.
Spero che l'alba arrivi presto, ho paura del buio.
Charles dice che non devo averla.
"Regarde les affiches" dice. Secondo lui se guardo i manifesti la paura passa.
Li guardo: sono belli, il mulino mi fa stare bene.
È rosso, il mio colore preferito.
Attacco il manifesto alla casa vicina alla chiesa e torno sulle scale, prego come fa la mamma e poi ricomincio a camminare.
I piedi fanno sempre più male.
Attacco un altro manifesto, vicino al negozio del signore degli orologi. Il buio sta andando via e vedo arrivare il signore degli orologi, con i suoi baffetti e il suo pancione.
Entra nel suo negozio e io guardo gli orologi dal vetro. Mi conosce e mi dice che sono più o meno le sei. Ho pregato un po' a lungo stamattina.
"Au revoir Yves" mi dice.
"Au revoir monsieur" gli rispondo, e me ne vado.
Sento suonare le campane di nuovo e le conto come prima, sì, sono proprio le sei.Sono sul divano dove dormo di solito. Mamma è tornata e si sta lavando; ogni volta che torna dal lavoro si lava, non capisco il perchè.
"Yves, prends le pain" Corro giù dal divano e la raggiungo. Mamma è tanto bella, mi sorride, ha i capelli bagnati. Mi dá il pane e lo mangio, anche se è duro, come se fosse la cosa più buona del mondo.
"Il n'y a que le pain?" Chiedo, vorrei mangiare altro.
La mamma mi guarda e poi mi dá uno schiaffo in piena guancia: mi salgono le lacrime, e a lei anche. Perchè piange? Sono io che ho sentito dolore.
"Non, mon amour". Si inginocchia e mi abbraccia, piangendo.
Non so perché mamma ha pianto.
Si è vestita e si è truccata di fretta, Charles la chiamava.
Sento la musica, e tanti passi: mamma sta ballando con le sue amiche.
Io dovrei dormire.
Vedo Charles che mi viene vicino: lui pensa che sto dormendo.
Appoggia i manifesti in fondo al divano dove dormo, e se ne va.
Mi fa paura al buio, sembra diverso...
Appena se ne va prendo i manifesti e li guardo.
Sono tanto belli.
"Yves... réveillez-vous!" Charles mi urla contro, mi sveglio con le lacrime agli occhi, lui mi guarda male.
Mi vesto ed esco, come dice lui.
Non ho nemmeno salutato la mamma.
Sono di nuovo sulle stesse strade di sempre: Parigi è sempre uguale, la mattina presto fa paura.
Mi fanno male i piedi, guardo le scarpe, sono rotte sotto, e i piedi sono sporchi di terra e cenere.
Il vicolo fa paura, ci saranno sicuramente dei mostri, pronti a farmi del male appena non li guardo, uscendo dai tombini, da sotto le pietre del vicolo, o dai tubi che scendono dai tetti.
Entro, attacco il manifesto ed esco di corsa, vedendo due signore poco vestite passarmi accanto; anche mamma é vestita così quando torna al mulino per ballare.
Il mulino, è lì che viviamo.
Lo stesso mulino dei manifesti.
Ma io non l'ho mai visto il mulino, perché quando esco o entro lo faccio attraverso una porta sul retro. E non posso guardarlo nemmeno quando ci passo di fronte.
È colpa di Charles, lui dice sempre che devo guardare in
basso quando cammino, e quindi non ho mai guardato in alto verso il mulino.
Ancora mi fanno male i piedi.
Sono al mercato, sono le sei, ho contato le campane.
Oggi non ho pregato molto, ho fatto presto, perché mi piace guardare le mele, quelle rosse. Anche le ciliegie sono belle.
Cammino e lascio qualche manifesto, come mi ha detto di fare Charles.
Una donna viene verso di me: è bella, ma poco vestita.
Ha le calze di mamma, quelle che sembrano le reti che usano i pescatori.
"Qu'est-ce que fait ici bébé?" Mi chiede
"Je mets autour les affiches" Rispondo.
È ciò che faccio sempre. Metto in giro i manifesti, perché Charles vuole che tutti sappiano del mulino.
La signora vestita con le reti da pesca se ne va portandosi un manifesto con se.
Cammino ancora.
Mi fermo perché ora mi fanno male tutte le gambe, non solo i piedi.
Mi si avvicina una signora del mercato, e mi dà una mela, poi sorride.
È rossa, come il mulino; rispondo al sorriso della signora con un piccolo inchino di gratitudine, e poi guardo la mela. Si, è proprio bella.
Non so perchè Charles vuole che si sappia dove vivo.
Voglio vedere il mulino, ma non oggi, non voglio far arrabbiare Charles.
La mela l'ho data alla mamma quando è tornata; aveva le stesse calze della donna, e le ha messe anche per ballare. Quando balla fa vedere le gambe.
A me ha sempre detto di non farle vedere a nessuno.
Poi indossa i tacchi; le piacciono tanto: li indossa sempre, anche quando fa l'altro lavoro.
La mela l'ha divisa con me, era deliziosa. Il pane non è così buono a confronto, ma insieme alla mela abbiamo potuto mangiare solo quello.
Solo Charles mangia cose buone, una volta l'ho visto mangiare della carne, aveva un odore buonissimo.Andò avanti allo stesso modo per anni, e quando finalmente alzai la testa per vedere il mulino, capii molte più cose, aprii gli occhi.
Mia madre aveva sempre lavorato come prostituta oltre che come ballerina al mulino. Passava le mattine presto e le sere in cui il mulino era chiuso, sulle strade parigine, nella speranza di guadagnare il necessario per il giorno successivo.
Non avevo mai capito tutto questo, una bambina non può capirlo.
Eravamo povere, troppo per permetterci una casa, e ora capisco anche gli interminabili giorni passati ad appendere manifesti: Charles avrebbe pagato di più la mamma se grazie a me si fosse incrementata la clientela. Ma i piani sono comunque saltati: mia madre ora è morente sul divanetto dove dormivo, a causa delle malattie che ha preso.
E io, al posto suo, a ballare e a prostituirmi per portare il pane a casa.
Il rosso adesso non è più il mio colore preferito.
Per me, ora, è il colore di ciò che ho perduto alla tenera etá di tredici anni, di una casa che ha rovinato me e mia madre; per me ora é il colore di una vita infelice e piena di dolori.
Rimpiango solo la mia infanzia: l'infanzia di una bambina ingenua che non capiva la situazione che stava vivendo, e che, se potesse, tornerebbe indietro e cercerebbe di cambiare le cose.
Ma non si torna indietro, e ora sono qui, con lo sguardo puntato verso il mulino, le calze della mamma strappate, una gonna fin troppo corta, e il seno poco coperto, mentre avanzo per andare a prepararmi per il prossimo ballo, con una lacrima che corre lungo la guancia, per poi cadere a terra e impregnarsi anch'essa della luce rossa del mulino.
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Rouge
Short StoryIl mondo, le occasioni, le emozioni, e gli eventi sono la tavolozza, ammirali ed usali per fare della vita il tuo quadro più bello. Una raccolta di storie brevi che compongono la tavolozza perfetta dalla quale attingere. Il primo colore: Il rosso; n...