02 [Justin]

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Quando alzai lo sguardo sul commissario Wilson fu troppo tardi: la mia graziosa e disponibile segretaria personale non fu in grado, in quell'occasione, di tirarlo via con sé. Non vi erano appuntamenti in vista quella mattina: avevo pregato di annullare incontri, interviste, tutto quello che avesse potuto distrarmi dai miei pensieri carichi di rabbia e tanta, fin troppa paura. 

«Mi dispiace signor Bieber, non sono riuscita a fermarlo» si scusò Alicia. Dopotutto, cosa avrebbe mai potuto un'esile ragazza di venticinque anni contro un uomo di mezza età disposto a tutto pur di estrapolare qualche parola dal sottoscritto? 

«Non preoccuparti Alicia, puoi andare. Lasciaci soli» le indicai la porta. La donna dai lunghi capelli ramati annuì e andò via in silenzio. 

Poggiai la penna nera sulla scrivania di vetro, perfettamente in ordine. Non un foglio fuori posto, non un solo post-it di intralcio o penna vagante. Sono sempre stato molto attento all'ordine, quasi ossessionato. Mi alzai dalla sedia nera in pelle e porsi la mano all'uomo dai capelli corvino brizzolati. Lui la strinse esitante.

«Si accomodi» gli indicai la sedia al suo fianco. Lui accolse la mia richiesta e si sedette, scrutandosi ben intorno. 

Tornai ad accomodarmi sulla mia comoda poltrona, fino a qualche giorno fa appartenente a mio padre. 

«Dello scotch?»  domandai voltandomi verso destra, là dove mio padre teneva i suoi whiskey pregiati e i bicchieri di cristallo.

«Non bevo quando sono in servizio, grazie comunque» declinò apertamente la mia proposta, decisi però di riempire per metà un solo bicchiere che avrei bevuto da solo. Ne avevo bisogno.

Il commissario Wilson si era mostrato un tipo piuttosto difficile da affrontare, sin da subito. Dal momento in cui aveva messo piede in casa mia, quando aveva semplicemente dato un'occhiata al cadavere e come se nulla fosse, ammesso che si trattava di omicidio a tutti gli effetti. La fede al dito, questo stava a significare che era sposato, non sapevo però se avesse figli. Sulla cinquantina, non un capello bianco e barba sottile sul mento. Niente baffi, ciglia folte, occhi neri come la pece. 

«Io non adotto questa pratica» dissi riferendomi alla sua precedente affermazione, sorridendo appena. Tornai con la sedia frontalmente alla sua figura. «Mi dica» lo incitai, poi bevvi un sorso e laccai via il residuo dalle labbra poggiando il bicchiere sulla scrivania, senza però sfilarlo via dalla mano.

«Credo che sappia il motivo per il quale sono qui» cominciò tranquillo. Ed era proprio quella sua tranquillità che mi mandava su tutte le furie.

«Vorrei sentirglielo dire» mi affrettai a controbattere. Ci sfidammo con lo sguardo per secondi che parvero infiniti, poi abbassò lo sguardo sul suo taccuino e sfilò dal cappotto nero una penna.

«Sono qui per porle delle domande su suo padre»

«Il mio legale non ne sarebbe felice» strinsi il bicchiere nella mano quanto più possibile, le nocche mi divennero bianche e lui se ne rese conto.

«Se non ha nulla da nascondere non dovrebbe preoccuparsi» mi sfidò, ancora una volta. Ma quello era il mio mondo, quello era il mio ufficio e uscirne vittorioso sarebbe stato difficile. Bevvi nuovamente.

«Sentiamo» 

Il commissario annuì e si affrettò a pormi la prima domanda, desideroso di ricevere risposte.

«In che rapporti era con suo padre?»

«Domanda personale, non sono tenuto a rispondere»

Rimase in silenzio, io intanto riempii nuovamente il bicchiere ormai vuoto. Sospirò amaramente e bagnò le labbra segnando qualcosa sul foglio bianco.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 30, 2017 ⏰

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