Capitolo I - L'inizio

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“No, ti prego... non farlo!”

Erano appena le otto e mezza di mattina, il sole splendeva in alto nel cielo blu, il cinguettio degli uccelli entravano nelle menti, penetrando e sotterrando ogni pensiero dentro di esse.
Mi ero appena svegliato, sbadigliando con estrema stanchezza, stiracchiando un po' le braccia, piene di dolori per come avevo passato la notte, ma sapevo già che quello che avremmo fatto dopo, sarebbe stato molto più stancante che svegliarsi presto. Io e la mia famiglia avremmo cambiato casa, di lì a poco, e ci toccava svegliarci presto per essere sul posto ad un orario decente. Mi alzai dal mio letto, attaccato al muro, strofinandomi piano gli occhi per evitare che mi facessi male e mi diressi verso il bagno. Ah, dimenticavo una cosa. Mi chiamo Marco ed ho quindici anni. Ho una madre, un padre... e una sorella di nome Anna di sei anni. Una famiglia normale, come tutte le altre. Arrivai al bagno, con un passo abbastanza lento, passando per il lungo corridoio di casa: era abbastanza inquietante. La mia sorellina, tempo fa, mi disse che vide un ombra camminare nel buio. Cercai di non pensarci. Arrivato al bagno, mi spogliai, entrai nella doccia ed ero in Paradiso. Acqua calda, acqua calda che scorreva sulle mie spalle, sulla mia schiena... un metodo abbastanza efficace per rilassarmi. Le piccole gocce scivolavano dai muri della doccia, lo specchio si appannava sempre più. Il rumore dell'acqua rumoreggiava forte nelle mie orecchie, nel silenzio di tutto il bagno. Dopo una mezz'ora, uscii dalla doccia con i capelli pieni d'acqua, pesanti come un mattone. Eh sì, ho i capelli lunghi, più o meno, solo il ciuffo. Il mio corpo tremava per il freddo, la pelle d'oca aumentava sempre più, le gocce d'acqua fredda rigavano la mia schiena. Mi misi un'asciugamano addosso ed accesi una piccola stufetta. Dopo essermi pulito per bene e pensando a cosa mettermi, vidi di lato dei vestiti: “Forse è stata la mamma?” pensai. Si chiama Annalisa, ha un'altezza sulla media ed ha dei bei riccioli rossi che pendono sempre sulle sue graziose e piccole spalle. Indossai tutto ciò che era poggiato lì ed uscì da quella camera di calore, dirigendomi verso la cucina: “Allora ti sei preparato, eh? Giovanotto” sentì una voce, mascolina e bassa, dietro di me.
Era mio padre. Riccardo, alto, magro, ma possente, capelli lisci scuri ed occhi chiari... da giovane veniva considerato il ragazzo perfetto per tutte. Mi voltai e gli sorrisi, lui ricambiò a sua volta. Ho un rapporto abbastanza normale con i miei genitori, né troppo chiassoso, né troppo tranquillo: c'erano i complimenti proprio come c'erano i rimproveri. Il mio naso fiutó un odore familiare e gustoso. Con curiosità e con un passo più veloce, scesi le scale. Quelle scale, quanti giochi su quelle scale: macchine giocattolo, impersonando un soldato che uccideva i nemici davanti a se, cercando di aiutare persone in difficoltà. Appena di scesi le scale, vidi mia madre che cucinava e mia sorella che beveva un po' di latte. Si girò verso di me e, appena mi vide, corse più veloce della luce, scendendo velocemente dalla sedia. Mi saltò addosso abbracciandomi fortemente​ ai fianchi. Amavo mia sorella: “Buongiorno fratellone! La mamma sta cucinando una cosa buonissima, ha detto che è una sorpresa!”. Aveva un bellissimo viso, con i suoi ricci rossicci che lo incorniciavano. Guanciotte rosse, sorriso smagliante e tanta felicità da condividere con gli altri. A differenza mia, lei era molto più sociale e solare di me, io ero solo un ragazzo con difficoltà a socializzare e con un carattere freddo, serio e molto riservato. “Anna, ma sei proprio bella​ stamattina!” le dissi, mostrandole il più bel sorriso che io potessi fare. “Grazie mille, fratellone!” mi rispose, saltellando con tanta gioia. “Vorrei tanto avere i tuoi capelli, sai?”. I miei capelli erano semplici, lisci e neri. Solo che avevo un grande ciuffo che mi copriva quasi metà faccia. Chi mi vedeva, pensava subito che ero un metallaro. Infatti lo ero. Solo che alcuni di loro associavano il mio stile ad essere un satanico che lodava il diavolo: mi avevano perfino chiesto se facevo dei riti. “I tuoi sono più belli!” le dissi sorridendo. Le presi la mano e la portai di nuovo al tavolo, così che finisse il suo latte. Per la stanchezza, a stento riuscii a dire un 'buongiorno' calmo e assonnato.
Era tutto così tranquillo...
“Tesoro, indovina che cosa ti sto preparando?" mi domandò con voce radiosa mia madre. Anche lei, come mia sorella, era sempre molto allegra e socievole con gli altri, piena di autostima e molto ottimista. Non sapevo riconoscerne l'odore, mi avvicinai affianco a lei, per vedere cosa stesse cucinando. “Pancake!” esclamai. Non ne mangiavo spesso, solo in qualche festa di qualche "amico" a scuola. Ero davvero fomentato! “Lì, sul tavolo, c'è tutto: Nutella, cioccolato, fragole, panna... decidi tu!” si girò e mi poggiò di fronte due bei pancake pronti per farsi mangiare. “Grazie mamma, davvero​!” le dissi con un dolce sorriso. Lei rispose altrettanto e andò a pulire tutta la cucina. Dopo una decina di minuti a gustarmi quelle prelibatezze, lavai e posai tutto quanto. Eravamo tutti pronti. Ognuno prese le proprie valige, due a testa, e ci dirigemmo tutti verso la macchina davanti al giardino, accanto al marciapiede: avremmo preso le cose restanti più tardi. Salimmo nell'auto e partimmo, in direzione della nostra nuova casa. A dir la verità, l'idea un po' mi preoccupava. “E se non mi piacesse? Se la mia stanza fosse piccola?”. Iniziai a farmi mille domande, preoccupandomi di tutto ciò che potesse andare storto. Cercando di distrarmi, misi le cuffie alle orecchie ed iniziai ad ascoltare il mio mondo: il metal. Ascoltavo altri generi, come pop, rock, rap o la dubstep, ma il metal era il genere che amavo ed ascoltavo di più. Partì una canzone degli Hollywood Undead, 'Day of the Dead', praticamente 'Giorno dei morti'. Queste cose terrificanti le adoravo, come canzoni che parlano di morte, assassini, sangue e uccisioni. Iniziai ad immaginare tutto ciò che la mia immaginazione malefica potesse mai fare, fino a quando la canzone finì. In seguito, iniziò “Castle of Glass” dei Linkin Park. Adoro questa canzone, una delle poche canzoni che mi fa emozionare veramente. Ascoltai tanta di quella musica da farmi male le orecchie, fino a quando la nostra macchina si fermò. Non era un guasto o un qualcosa di simile, eravamo semplicemente arrivati alla nostra nuova casa. Scendemmo tutti dall'auto e osservammo, aggiungo con stupore, la nostra nuova casa. Non era male, dai, lo ammetto. Era abbastanza grande per noi quattro, quindi immaginai che stanza spaziosa potessi mai avere. “Che bella casa!” esclamò mia sorella stupefatta. Vedevo i suoi occhi brillare più del diamante, il suo sorriso a trentadue denti... la felicità prendeva possesso del suo corpo.
Era così felice...
Io ero come sempre, serio e tranquillo. Iniziai a camminare verso la porta d'ingresso, a passo lento. “Come sarà dentro? Spaziosa? Piccola?” mi domandai continuamente in testa. Stavo percorrendo una piccola stradina con accanto due bei giardini, dove in futuro venivano piantati recinti e giochi. Vidi mia sorella sprizzare felicità da tutti i pori, mentre correva verso la porta d'ingresso, con ancora le sue due valigie in mano.
Era così energica...
Solo vedendola felice, iniziai a sorridere, cercando di essere come lei, allegra e spensierata, per godermi di più la mia nuova casa. In fondo... cosa poteva mai andare storto?

The Doll - La BambolaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora