1 Giugno, 1989

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Diario,

Sarebbe da dire che è un giovedì come un altro, se non fosse per il caldo afoso e la tristezza che mi sento addosso.

Come mi ero ripromessa, sono andata da Alem dopo scuola (dove ovviamente lui non c'era).

Sono dovuta andare a piedi, perché l'unica auto che avevamo è anche quella che si è portato via papà. Ma non fa nulla, per fortuna abbiamo il supermercato vicino casa, che è l'indispensabile.

I pettegolezzi secondo cui fosse figlio di un milionario non sono campati in aria, vista la casa enorme che ho trovato esattamente sotto l'indirizzo datomi dal coordinatore.

Una villa imponente, in stile moderno, dai colori freddi della neve. Era immersa nell'erba Inglese più verde che io abbia mai visto e dava spazio ad un porticato enorme, sollevato da due sole colonne, dove sotto stava parcheggiata un'auto da favola (non me ne intendo molto, ma sicuramente era costosa). A finire il bellissimo contorno esterno era la piscina lunga, stretta e terribilmente attraente viste le temperature di oggi! Avrei voluto farci subito un tuffo.

A interrompere la mia contemplazione è stata una piccola donna di mezz'età, vestita come una di quelle colf che si vedono solo nei film o negli hotel di lusso. Penso stesse buttando la spazzatura.

Mi ha chiesto se necessitavo aiuto e io le ho subito mostrato il foglietto sciupato con l'indirizzo, come per avere conferma che fossi al posto giusto. «Sei una compagna del signorino Alem?» ha domandato con voce così dolce da farmi sciogliere il cuore. Avevo quell'irrefrenabile voglia di prenderle le guance paffute e stringerle tra le mani (un po' come faceva la nonna a me).

Solo dopo essermi calmata mentalmente ho percepito la parola "signorino". Caspita, sta messo davvero bene Alem!

«Sì, salve sono Dana Dockin una compagna di Alem...» mi fermo un attimo per leggere il suo cognome sul foglio e realizzo solo dopo di chi diavolo sono la compagna «... Villard!?». La Villard&co. è una tra le multinazionali più conosciute al mondo, ma che dico, in tutto l'universo! Non può essere una coincidenza, giusto?! OMG! «Prego da questa parte» continuava la donna mentre mi scrutava con fare divertito.

Se da fuori la casa era bellissima, beh, dentro era da sogno. Pareti altissime, completamente bianche e spoglie. Nessun quadro, nessuna foto, solo mille piccole luci che sembravano far risplendere quel Paradiso. Ero morta senza rendermene conto?

Le stanze erano tutte collegate tra loro, senza porte (a parte un paio che penso fossero i bagni) e questo dava un senso di smisurato oltraggioso. Dall'ampio atrio si poteva scorgere buona parte della casa. La prima fessura a sinistra lasciava intravedere la sala da pranzo con un lungo tavolo in vetro, ospitante all'incirca una dozzina di posti, mentre a destra si apriva quello che doveva essere uno studio, ma sembrava più una biblioteca futuristica. Proseguendo c'erano cucina (da ristorante) e nella parte opposta un... Aveva una piscina interna con bar!? Ma porca-! Wow!

Per mia sfortuna non sono riuscita a vedere oltre visto il passo svelto della mia accompagnatrice. Ci siamo fermate di fronte all'enorme scalinata color latte.

«Chiamo il signorino da lei. Solo un attimo».

La vedo salire, e appena sparisco dal suo raggio visivo, ne approfitto per assaporare l'ultima stanza che avevo intravisto. Faccio due passi indietro (forse un po' di più) e la osservo in tutto il suo splendore. L'acqua risplendeva di mille luci a intermittenza. Prima azzurra, poi verde, poi gialla, è così via seguendo i colori dell'arcobaleno. Il bar poi... Ah il bar. Credo di essermi innamorata di lui (perdonami Alem). Nero, così nero da contrastare con tutto il resto. Nei banconi in granito si riflettevano le luci della piscina, come nel soffitto i tenui movimenti dell'acqua. Splendido!

Stavo per chiudere gli occhi e assaporare quella meraviglia, quando vengo strattonata fuori dalla stanza (ma esattamente quando c'ero entrata?). «Che cazzo ci fai qui, Dana!?» grida irritato Alem mentre stringe ancora forte il mio polso. «Non c'eri a scuola e così sono venuta a vedere come stavi. Mi preoccupo anche io sai?» «You see me? Bene! Sto bene! Just leave now!» sbotta con occhi furenti! Ma che aveva!?

Mi stava accompagnando fuori, quando ho impiantato i piedi a terra e ho incrociato le braccia al petto. Voleva fare l'isterico? Beh, non sarei rimasta lì a subire e basta.

«Non mi muovo da qui!» «Come on Dana! Non fare così!» diceva con tono più lieve ma sempre severo.

Lo vedo più e più volte guardarsi in giro, come se cercasse qualcuno. «Ripeto, non mi muovo da qui!» ribadisco autoritaria.

Butta lo sguardo ancora intorno a sé, scrutando ogni angolo, poi sbuffa un paio di volte. «Shit! è così che la metti? Come sei testarda!» borbotta prima di prendermi le gambe e sollevarmi come un sacco di patate sulle spalle!

Mi dimeno un paio di volte ma è tutto inutile, non si smuove di un solo centimetro. Per un attimo temo anche di cadere, vista la fretta con cui fa le scale.

Finalmente, dopo aver osservato i suoi piedi per tutto il tempo, mi mette a sedere (anche se sarebbe più corretto dire che mi ha lanciata sul letto).

La stanza era sicuramente​la sua. Tutta scura: dalle pareti grigie, al pavimento nero, con il mobilio sulle stesse tonalità. Non sembrava nemmeno far parte della stessa casa. Ma che mi fregava? ERO NELLA CAMERA DA LETTO DI ALEM!

«So... Cosa devo fare per farti andare via?» ha chiesto piuttosto nervoso mentre si scompigliava i capelli. «Dirmi perché non vieni più a scuola. E perché ogni volta hai quei lividi?».

Non ricevo risposta, se non dal suo corpo, che iniziava a mostrarsi sempre più irrequieto. Metteva e toglieva le mani dalle tasche, per poi strofinare affannosamente i capelli e mordicchiarsi le labbra... Aaaaah, quelle sue labbra tremendamente sexy!

«Dana, I beg you. Vai a casa. Non è un buon momento» «E allora quando lo sarebbe?!» «Non lo so, ma non ora! Please, leave!».

Supplicava e sbraitava così tanto che non ho insistito oltre. Anche se, forse, in fondo in fondo, speravo che si sarebbe aperto a me come io ho fatto qualche giorno fa con lui. «I'm sorry» «No, non lo sei. Conosco l'uscita. Ciao».

Sentivo la rabbia salirmi in corpo, e la sento tutt'ora al solo pensarci, ma mi sono limitata ad uscire dalla stanza e da quella casa (dannatamente stupenda!).

Maledizione, Alem! Non ho mai provato tanta rabbia per qualcuno. Perché semplicemente non ti apri un pochino?!

Sono davvero, davvero... Triste.

Dopo la tempesta, l'arcobalenoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora