Si dice che la notte di Halloween, a cavallo fra il 31 di ottobre ed il primo di novembre, sia un momento d'incontro e di passaggio: l'unico momento dell'anno nel quale i confini fra il mondo degli uomini e quello degli spiriti sono sottili come un filo.
Le anime dei morti emergono dall'ombra attraverso la Soglia per tornare, ancora una volta, nel mondo che a malincuore hanno dovuto lasciare. L'aria di Ottobre, umida e fredda, soffia accompagnando nella loro danza coloro i quali muovono i loro passi incerti - erano così avezzi al calpestare l'erba e gli acciotolati delle strade, una volta; ma ora hanno imparato a conoscere quel Mondo al di là, quel mondo altro, che non ricordano più come poggiare le loro membra in questo che hanno lasciato - dall'altra parte del velo.
È la notte più sacra dell'anno, durante la quale anche le cose più impensabili possono accadere.
Gli antichi Celti usavano chiamarla Samhain.
E qualcuno ancora la chiama in questo modo, in qualche remota parte dell'Irlanda, o in qualunque casa dove ci sia qualcuno che ha riscoperto le antiche vie della stregoneria e della comunione con il mondo invisibile.
Con questo pensiero in mente, la ragazza sistemò gli oggetti per il rituale sulla lastra di pietra, allineandoli per l'ennesima volta l'uno accanto all'altro. Osservò il cielo che si scuriva piano piano, la luce che lasciava il posto all'ombra misteriosa e benefica della sera; il giorno che declinava piano piano nel tramonto, il momento di passaggio per eccellenza dove non è più giorno ma non ancora notte e il sole sta fra i due nel mezzo - come sulla soglia della porta antica che fin dall'alba del mondo separa il dominio delle tenebre da quello della luce.
Il cadavere del ragazzo stava sotto la lastra, coperto da un telo.
Era riuscita a trafugarlo, non sapeva nemmeno lei come; lo aveva caricato in macchina ed era corsa a perdifiato in quel pezzo di campagna dimenticato da Dio - e, sperava, anche da qualunque altro essere umano, per tentare l'impensabile.
La Morte glielo aveva strappato via troppo presto. Era accaduto solo pochi giorni prima, c'era voluto un attimo: il suo piede era scivolato su una pietra traditrice, che lo aveva fatto precipitare per metri e metri dabbasso, senza che lei avesse potuto far nulla per impedirlo. Era stato così tremendo, così straziante.
Ed era stato lì, in quei giorni nei quali la disperazione aveva toccato il suo picco, che si era ricordata delle leggende che ammantavano la notte di Ognissanti: storie di streghe, di spiriti, di sangue che scorreva al contrario nel grande cerchio della vita. Di sortilegi ed incantesimi che facevano resuscitare i morti, se solo si pronunciavano le parole giuste.
E così, aveva deciso di tentare.
Aveva biascicato una scusa confusa ai suoi amici ("Non vengo alla festa stasera, ho da fare"), ed aveva ordinato che non si chiedesse di lei fino ai due giorni sucessivi.
"Ti prego, fà che vada bene".
Sperava, i nervi tesi come corde di violino; ogni fibra del suo essere e della sua volontà erano tese a quell'unico scopo, a quell'unico barlume di luce e di speranza cui restava aggrappata con tenacia quasi inumana.
Attese che l'ultima frangia di luce declinasse nei toni del rosso; chiuse gli occhi e respirò profondamente finchè non avvertì che la natura intorno a lei si era quietata, e che il respiro della sera aveva iniziato a sussurrare flebile ed ipnotico, soffiando fra gli alberi come una brezza che non appartiene a questo mondo; e quando finalmente si sentì pronta, iniziò.
"Dammi la forza per far sì che possa raggiungere il mio scopo".
Respirò ancora una volta.
Accese le candele, l'una dopo l'altra, tre: una candela nera per richiamare gli spiriti, una bianca per guidarli nel passaggio dall'altro mondo a quello fisico, una arancione per dar loro il benvenuto.
Le anime dei morti hanno necessità di essere guidate nel loro viaggio: per loro è come nascere di nuovo, e anche se sono destinate a restare fra noi per poco tempo; e chi li evoca è come una sapiente nutrice, che con pazienza e maestria, fà sì che la nuova vita - che fino a poco prima albergava nel grembo umido, caldo ed accogliente della madre - trovi la strada per il mondo degli uomini.
L'incenso, fumoso e denso, sparse il suo odore tutt'intorno, creando quasi un velo che separava lo spazio nel quale si compiva il rituale dal resto della campagna. Scoperse il cadavere e lasciò che la luce flebile dei lumini e del crepuscolo ne illuminassero il volto, ancora fresco e bello nonostante il pallore spettrale delle gote e il viola delle labbra. Lo osservò per un momento, trattenendo le lacrime.
Ma fu solo un momento: si riscosse subito e recuperata la calma, chiuse gli occhi concentrando ogni fibra del suo essere, e recitò la formula senza tentennamenti, quelle parole che aveva ripetuto sottovoce per giorni e che ormai aveva imparato così bene: uscivano dalla sua bocca chiare e pulite come gocce di un liquido prezioso. "Anima errante che nel silenzio cammini, imbocca il sentiero, presentati alla soglia, sì che per una notte ed un giorno le vie mortali ti siano rivelate, e le strade di pietra possa tu calcare con passo leggero come il vento che stormisce le foglie nel bosco di Persefone".
Aprì gli occhi e scrutò il cadavere. Nulla.
Attese ancora, cercando di captare una minima variazione nella natura intorno, nel vento, nel corpo disteso davanti a lei. Cercò disperatamente di individuare un tremore, un battito di ciglia, un fiato che indicassero che il suo incantesimo aveva avuto effetto.
Nulla mutò.
Le fredde labbra del ragazzo rimasero serrate, le membra gelide non si mossero dal loro giaciglio di pietra, come se di pietra fossero diventate anch'esse, in quell'umida sera d'ottobre.
La disperazione si impadronì di lei, invadendole il corpo come un cancro che partiva dal cuore e le faceva compiere movimenti bruschi, le faceva ballare il corpo come se fosse impazzito, urtò le candele, gli incensi, le pietre accanto a sè.
Cosa aveva sbagliato, cosa?
La flebile speranza alla quale si era aggrappata era svanita.
Frustrazione. Dolore sordo.
Non lo avrebbe rivisto mai più.
Avrebbe dovuto capire che riporre fede in quei trucchi da contadini, in quelle superstizioni, non avrebbe portato a nulla di buono. Eppure, per un momento, aveva creduto...
Si mise a raccogliere i suoi utensili con rabbia e con le lacrime agli occhi: spezzò i bastoncini ancora fumanti d'incenso, ficcò le candele ancora calde nella borsa e si preparò a ricoprire il cadavere e a caricarlo in macchina, quando si accorse che aveva gli occhi aperti. E che quegli occhi, che in vita l'avevano guardata come solo un qualcosa originato da un pezzo del proprio stesso cuore si guarda, in quel momento erano fissi su di lei.
- Ha funzionato...-
Non si rese nemmeno conto di essersi accovacciata di nuovo e di star abbracciando quel corpo, a lei così caro, e di star biascicando fra lacrime di felicità tutte le cose che, in quei quattro giorni da quando era morto cadendo da un burrone, aveva pensato e ripensato, pentendosi non averle potute dire prima.
Si ricompose un poco e lo aiutò ad alzarsi.
Era sempre l'uomo che amava - la morte non ne aveva stravolto i lineamenti nonostante tutto. Solo, la sua pelle (un tempo rosea, morbida, elastica e calda) aveva ora un colorito marmoreo; uno sguardo attento e vorace divorava i particolari di quel mondo che mai avrebbe voluto lasciare, confrontandoli con quello che aveva imparato a conoscere una volta passato dall'altra parte.
La sensazione dell'aria fra i capelli, l'umidità, il rumore delle foglie e la luce tenue del tramonto: non riusciva a credere di starli provando veramente, di nuovo.
Passarono delle ore sdraiati nell'erba morbida, abbracciati, riprendendosi il tempo che era stato loro portato via.
- Mi sei mancato.
- Anche tu. Quando sono caduto, sei l'ultima cosa cui ho pensato. Mentre me ne andavo, mi chiedevo come sarei potuto sopravvivere senza di te accanto, come sarebbe stata vuota la mia eternità senza la tua voce che è la più bella delle musiche.
- Com'è lì?
- È un bosco, dove ci sono tutte le anime di coloro che hanno lasciato questo mondo. È uno spazio pacifico, dove il tempo non esiste e ogni cosa ci viene rivelata nella sua interezza, cosicchè ci accorgiamo di quanto la percezione degli uomini sia limitata rispetto alla reale portata dell'eternità.
- Hai idea di quanto il mio cuore sia vuoto ora che tu non ci sei? Ogni cosa mi pare fredda ed insignificante, come se la vita stessa avesse perso i suoi colori, e tutto mi pare grigio, come fatto di pietra.
- Non devi passare la tua vita a piangere, perchè anche se non sono presente, ci apparterremo sempre e ci ritroveremo.
Parlavano, mentre la notte arrivava silenziosa in punta di piedi, strisciando fra gli alberi ed ammantandoli di buio.
Si raccontavano le loro vite dopo l'Avvenimento, come erano andate avanti, e man mano che le parole si inanellavano come perle sul filo di una collana, susseguendosi veloci e cristalline, sembrava che non fossero mai sazi di sentire l'uno la voce dell'altro.
Ciò che in vita si ama, porta nella morte una traccia nell'anima.
Ed il loro amore nella morte non si era spento - traccia indelebile impressa col fuoco sopra la duttile superficie del cuore.
Il fuoco che avevano acceso crepitava nell'oscurità e si misero a guardarlo mentre lanciava le sue lingue lucenti verso il cielo stellato.
L'aria, ormai diventata gelida e pungente, sollevava le foglie morte dell'autunno che ballavano in cerchio come spiriti in festa, una danza sfrenata, un baccanale festoso e chiassosso come solo nei miti e nelle leggende, che ne hanno tenuto nota, si può ammirare.
- Li senti?- le disse, con gli occhi rivolti nel vuoto. Ed in effetti, l'eco di risa lontane si perdeva fra gli alberi della campagna.
-Allora non sono tutte storie- replicò lei.
- Non ti è bastato avermi riportato dal mondo di sotto? Di cosa altro hai bisogno, per credere all'esistenza di qualcosa oltre ciò che puoi vedere? Vieni, dobbiamo festeggiare- e le prese la mano mentre lo diceva, trascinandola con sè attorno al fuoco. Dapprima, faticò un poco ad assecondare i movimenti di lui, ma quando riuscì a riprendersi dalla sorpresa, lasciò che la conducesse in quel girotondo strano eppure, così liberatorio. Ballarono intorno al fuoco ridendo, come avevano fatto sovente nelle notti chiare d'estate, quando in riva al mare celebravano la vita al suono di una chitarra e del riso della compagnia di una vita.
Corsero e si rotolarono sull'erba come bambini. Tornarono alla macchina e si spogliarono lentamente, sfidando il freddo che nonostante tutto entrava nell'abitacolo.
Accarezzò il corpo livido di lui con voracità, cercando di memorizzare quanto più poteva prima di doverlo lasciar andare definitivamente. Era ancora liscio, forte, morbido come lo ricordava. Posava le sue labbra sulla pelle marmorea e fredda, quasi a volervi imprimere quel sapore conosciuto eppure, insieme, completamente nuovo. Vi era, in quel corpo senza vita, più vita di quanto non avesse mai sentito in nessun altro essere umano.
Per quella notte, smise di pensare e di ricordare.L'alba è il sollievo dalle tenebre, che solitamente, sono così invise all'uomo, così temute.
Il buio nasconde gli intenti, porta alla luce la parte più segreta delle persone, favorisce gli incontri altrimenti proibiti: per questo è così inafferrabile e, proprio per ciò, venerato con timore, come un dio iracondo del quale si temono le rappresaglie.
Eppure, per i due ragazzi che si erano svegliati da poco, la calda aurora non era un balsamo rigenerante quanto un doloroso veleno che stillava le sue gocce mortifere, lasciando presagire l'addio sempre più vicino.
Quando si riporta in vita uno spirito dal mondo dei morti, vi è un tempo massimo nel quale questo può restare dall'altra parte del velo. È come quando un pesce guizza fuori dall'acqua: resta fuori giusto il tempo di un respiro, e poi torna ad immergersi. Così, il corpo del ragazzo iniziava a risentire la mancanza del suo elemento d'origine: lei lo aveva visto, svegliandosi per prima: dai tagli, presenti sul corpo a causa della caduta, stillavano piccoli rivoli di sangue nero pece. Lo aveva guardato con apprensione, con dolore: aveva capito, ma non osava pensarci. Ricacciava quel pensiero come si scaccerebbe una mosca molesta.
Nel toccare uno di quei rivoli, non si accorse che il ragazzo si era svegliato e la osservava.
-A quanto pare, è quasi ora.
In uno scatto gli prese il braccio, spaventata.
-Ti prego, no. Resta ancora un po', controllerò nel mio libro se c'è qualche metodo per prolungare il tempo...
Il ragazzo sorrise con dolcezza. Un sorriso sghembo ed allegro, ombreggiato da un velo di tristezza.
-Non si può, e lo sai. Le regole del mondo di sotto sono chiare.
Il terrore si impadronì di lei, di nuovo. Non poteva, non voleva. Mai come in quel momento aveva dato tanto valore al tempo.
Lo seguì fuori dall'abitacolo, gli posò una mano sulla spalla mentre lui guardava i primi brani di luce farsi spazio in mezzo alle tenebre notturne. Ed in quel momento, impercettibilmente dapprima, poi sempre più velocemente, il suo corpo cominciò a rompersi in piccoli pezzi, frammenti polverosi e svolazzanti come cenere che danzavano nell'ultimo vento prima dell'alba.
Lo guardò dissolversi, piano piano. Guardò il suo amore ritornare cenere, e confondersi con il terreno umido e con le sue lacrime, finchè non fu scomparso completamente, dissolto nell'aria e nella luce dell'alba, per sempre.
Le restava una piccola manciata di cenere in mano: lasciò che il vento si portasse via anche quegli ultimi resti.
Guardò l'alba appena nata ancora per un momento, lasciando che la tiepida luce del mattino scaldasse il freddo che si portava nel cuore.
Sulla pelle, aveva ancora la sensazione del suo corpo, ancora il suo sapore sulle labbra.
Risalì in macchina e si diresse verso casa.
Il cancello del mondo di sotto si era chiuso e, lei ne era certa, lui la stava guardando.
La avrebbe attesa per tutta la vita, ed oltre.