Capitolo unico

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La luce del sole cominciò a filtrare attraverso la finestra della camera di Flavio e accarezzò il suo viso burbero e segnato dal tempo.
L'uomo aprì i suoi occhi grigi e si mise a meditare, meditava su un sogno che aveva appena fatto. Non gli capitava quasi mai di ricordare i propri sogni, ma questo gli rimase impresso.
Era chiuso in una piccola gabbia, larga appena da permettergli di stare seduto e fuori c'era un bambino che correva: quel bambino era il piccolo Flavio. Poi, all'improvviso, il bimbo si trasformò in un uccello e volò via, lontano, mentre la gabbia intorno al vecchio si restringeva sempre più.
Era in una gabbia, anche nella realtà e questa gabbia gli aveva impedito di vivere per decine di anni, per la maggior parte della sua esistenza.
Si rigirò con fatica su un fianco e lentamente si sollevò e si alzò in piedi. Con tutte le ossa doloranti, si sentiva come una vecchia bicicletta arrugginita. Ma quella bicicletta non correva da troppo tempo, era rimasta chiusa nel seminterrato e aveva percorso, di tanto in tanto, diligenti tragitti lungo le strade lisce e sicure della città. Non si era azzardata quasi mai a scorrazzare per le campagne e le strade dissestate in cui crescono fiori e foglie d'erba.
Andò in cucina e prese il latte, lo versò in una ciotola e vi aggiunse una manciata di cereali. Aveva ripetuto quei movimenti migliaia di volte, aveva ripetuto la stessa giornata migliaia di volte.
Mentre masticava, continuò a pensare. Stava acquistando una nuova consapevolezza: i suoi giorni stavano terminando. Avrebbe trascorso la propria esistenza scoprendo con orrore, in punto di morte, di non aver vissuto. Aveva letto questa frase molto tempo addietro, su un libro di scuola. Forse era di Thoreau, a quei tempi non vi diede molta importanza. Ora acquistava un forte significato.
Si era acceso un impulso in lui che lo chiamava a vivere.
Si alzò in piedi e cominciò a camminare.
'Quand'è che ho smesso di vivere?' Si chiedeva. Era una cosa che era accaduta gradualmente, man mano che si era reso un piccolo fattore di un grande sistema matematico. Man mano che si era fatto appiattire dagli obblighi della società, che si era fatto assorbire dalla routine e che si era fatto schiavo del denaro e delle opinioni altrui.
Uscì di casa, assorto nelle sue riflessioni. Era da tanto che non faceva riflessioni così profonde, forse il pensare lo stava riportando alla vita, forse il pensare era parte della vita stessa.
Perché il grande spettacolo continua e tu puoi contribuire con un verso. Quale sarà il tuo verso?
Queste parole di Whitman gli solleticavano la mente. Qual era il suo verso?
Nel profondo sapeva qual era il verso che era destinato a scrivere.
Correre.
Lui voleva correre, era il suo sogno.
Da ragazzino passava ore sfrecciando per l'erba, la pista e le strade. Avrebbe voluto diventare un atleta professionista, ma gli adulti glielo sconsigliavano, lo indirizzavano verso una via più sicura e diventò un avvocato, suo malgrado. Lavorava diligentemente e otteneva il suo proficuo guadagno costantemente. Tutto molto sicuro.
Smise di correre per i troppi impegni accademici e lavorativi.
Si fermò nella sua camminata, era in una strada deserta. Poi, portò la gamba destra indietro, contrasse i suoi vecchi muscoli e cominciò a correre. Con andatura lenta e maldestra, ma stava correndo.
Si fermò dopo poco con il fiatone e si mise a ridere di una risata genuina.
Nel suo fiatone, stava respirando vita a pieni polmoni.

Vivi | L'attimo fuggenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora