3.La leggenda di Mantova (MN-Lombardia)

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Viveva un tempo in Grecia una celebre indovina, chiamata Manto, che volle abbandonare la città nativa per cercarsi un angolo tranquillo, in quel paese meraviglioso detto Italia, di cui sentiva ogni giorno poarlare.

I Greci la lasciarono partir volentieri, perchè Manto era un'indovina orgogliosa e spesso crudele.

"Chissà" pensavano "forse il sole e l'azzurro cielo d'Italia la faranno diventar più buona e meno orgogliosa!".
Infatti, appena Manto ebbe posto piede sul lembo meridionale della nostra penisola, si sentì quasi mutata, ed ai bambini che le si facevano incontro, non sapeva fare che carezze; ai cacciatori che passavano, augurava buona fortuna.

Cammina, cammina, arrivò alle rive del fiume Tevere.
Qui incontrò un giovane dio, che aveva il palazzo sotto l'acqua, ma che godeva cacciare e cavalcare per i boschi vicini.

Manto aveva la chioma lunghissima e bionda e sapeva suonare molto bene la cetra e il flauto pastorale.

Il dio del fiume, forte e buono, la sposò.
Da quelle nozze nacque un bambino a cui misero nome Ocno Bianoro. Egli era come la madre, robusto e generoso come il padre.

Col passare degli anni, Ocno imparò molte cose: sapeva intonare melodie sulla cetra, sul flauto; sapeva cacciare i cinghiali per la foresta; costruire forti zattere; ed era così buono da aiutare tutti gli abitanti dei villaggi lacustri fabbricati lungo il Tevere, sicchè ben presto fu benvoluto da tutti.

In un giorno di tempesta, il dio del fiume fu assunto in cielo tra uno sfavillio di lampi.
Allora Manto ed Ocno pensarono di abbandonare quella terra di dolorosi ricordi e si misero in cammino alla ricerca di altre terre.

Dopo aver vagato qua e là per l'Italia, giunsero ad un fiume detto Mincio, che scorreva verde nella pianura, per allargarsi in tre laghi d'un color celeste pallido.

<<Guarda!>>disse Manto al figlio <<io vedo in mezzo all'acqua due isolette piene di canne>>.
<<Non potremmo rifugiarci in quell'angolo tranquillo e silenzioso ed ivi trascorrere la nostra esistenza seneramente?>>.

Ocno, per accontentare la madre, fece una zattera con la quale arrivarono fino alle isole del Mincio.
Si costruirono un palazzo di canne, davanti a cui fiorivano le ninfee stellate, bianche verso il cielo, verdi verso l'acqua, quell'acqua che rifletteva la volta azzurra del firmamento.

Ma, a poco a poco, i capelli d'oro di Manto si fecero d'argento, le sue gote ceree, e le sue mani bianche e fini ricaddero senza forza lungo la persona.

Pareva che la vita l'abbandonasse.

<<Che hai, madre mia?>>chiese un giorno Ocno.
<<Mi sento morire>>mormorò l'indovina con un sorriso<<Sii buono, figlio mio, e fai tutto il bene che io non ho potuto nè saputo fare: solo così potrai essere felice>>.

Dopo questa raccomandazione, Manto spirò tra le braccia del suo figliolo.

Ocno, profondamente addolorato, le fece una tomba nell'isola più bella e più fiorita, sulla quale spuntò, dopo qualche tempo, una pianta della foglie lunghe e argentee, come i capelli della povera morta.
Quella pianta fu detta salice e crebbe prospera per le isolette e per le rive del Mincio.

Ocno, memore della raccomandazione della madre, là dove la sua cara era spirata, costruì molte case, palazzi e ponti per unire le isole alle sponde.
Poi invitò i pastori dei dintorni ad abitare nella nuova città a cui, in onore di Manto, diede il nome di Mantova.

Non contento di tutto questo, insegnò ai pastori a suonare il flauto, perchè, a loro volta insegnassero ai figlioletti quelle agresti melodie.
Poi, divenuto vecchio con tanto di barba, si chiamò intorno, prima di morire, i suoi sudditi e disse loro:<<Non dimenticate le canzoni che vi ho insegnato e amate questo lembo di terra, come io l'ho amata!>>.

Come piansero i pastori sulla tomba di Ocno Bianoro!

<<Dormi in pace, o re! Noi e i nostri figli ti ricorderemo e ti obbediremo sempre!>>.

Per molti secoli i discendenti di quei pastori intonarono le canzoni del flauto celebrando la bellezza degli alberi, la gioia del grano maturo, la fedeltà degli animali domestici.

Un giorno nacque da contadini un fanciullo dai grandi occhi pensosi e sognati, al quale, crescendo, piacquero sempre più i canti dei pastori.

Quel giovinetto si chiamava Virgilio.

Egli imparò le note di Ocno Bianoro ache dai salici, dai pioppi, dalle canne, dalee onde.
E divenne il più grande poeta della Roma antica.

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