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SALVE.  Ehm... se avete letto la trama sapete cosa state andando a leggere. Se è il contrario leggete la trama :D
In questo mini spazio volevo solo dire che il nome "Ariel" è sia maschile che femminile quindi non l'ho modificato. Inoltre ringrazio Book_MCW  per la copertina! Detto questo buona lettura.

"SVEGLIA SIGNORINO"
Il pesciolino giallo ormai dava il tormento alle orecchie dello sfortunato addormentato che tentava in ogni modo di scacciarlo, volendo tornare al suo amato mondo dei sogni. Dopo l'ennesimo sassolino schivato, il pesce scattò verso di lui e cominciò ad agitare la coda sul viso del ragazzo, in una specie di schiaffo o come una scopa troppo agitata. A quel punto il giovane fu costretto ad alzarsi e, dopo aver afferrato il pesciolino, lo scagliò fuori la finestra che chiuse velocemente subito dopo. Era la sveglia peggiore al mondo.
Lui assò una mano fra i capelli rossi, nel tentativo di fermarli in una posizione ordinatama l'acqua li smuoveva continuamente, rendendo inutile quell'azione e facendo in modo che lui si arrendesse. Nuotando a scatti per il sonno e battendo spesso la testa contro le mura della camera, riuscì ad uscire dalla piccola stanza di quell'enorme palazzo. Lui aveva sempre preferito stare lontano dalle sorelle impiccione. Troppe urla, troppi litigi e, soprattutto, troppe domande riguardo le "umanerie". Aveva sempre odiato quel termine, come le domande che facevano al riguardo. Ariel era sempre stato affascinato dal mondo esterno, oltre l'acqua blu e limpida; da quel mondo che si muoveva sotto il cielo azzurro e quell'enorme sfera lucente che aveva sentito chiamarsi "Sole". Lo amava, voleva anche lui sdraiarsi sulla sabbia per sentire il suo calore come i ragazzini che spesso vedeva sulla spiaggia più vicina, quando loro giocavano con una palla o a nascondino, riempiendo l'aria con le loro risate. Ma questo non era il suo destino. Doveva diventare re, il re dei sette Mari, come diceva suo padre. Questo era peró l'ultima cosa che voleva fare nella sua vita.
Ariel preferiva raccogliere i rifiuti caduti dalle navi a vita piuttosto. Lui raccoglieva ogni oggetto che cadeva dal cielo fino all'acqua, tenendo solo quelli più strani e curiosi che luj conservava gelosamente in un posto che lui credeva fosse abbastanza segreto.

Il ragazzo dalla coda di pesce si nascose dietro un muro ed estrasse dalla bisaccia di uno strano tessuto, che lui portava sempre al collo, una forchetta. Solo grazie ad un vecchio granchio aveva scoperto il nome di quello strano oggetto ma la sua utilità gli era ancora sconosciuta. Spinse un dito contro le punte, trovando piacevole la sensazione che quasi gli solleticava la pelle e subito dopo passò l'oggetto tra i capelli, come le spazzole che le sorelle usavano tanto. Non era davvero sicuro che la "forchetta" servisse a questo ma lui aveva da subito notato che gli rendeva i capelli più lisci, sinuosi.
«Sto diventando come loro», lui sussurrò e nuotò via quando sentì la porta venire aperta da qualcuno. Lui doveva tornare in superficie per prendere alcuni oggetti da un suo amico gabbiano, ma non poteva farsi scoprire, sarebbe stata una tragedia. Tutti gli abitanti del mare guardavano la terra ferma con disprezzo. Essendo il futuro re del mare, lui non poteva rovinare la propria reputazione mostrando interesse per le cose terrestri ma la curiosità era così tanta che lo spinse a nuotare velocemente fino alla superficie cristallina di quell'immenso mare. Quando i suoi occhi incontrarono il sole, il ragazzo si trovò costretto a coprirseli con un braccio per non rimanerne abbaiato. Svariati minuti dopo lui riuscì a vedere meglio ciò che lo circondava: un piccolo scoglio sul quale erano poggiate varie "umanerie" e, in lontananza, si stagliava la figura della nave più grande che avesse mai visto.

Messo il candelabro e l'ennesima forchetta nella borsa, lui ritornò sott'acqua per avvicinarsi lentamente a quell'enorme ammasso di legno galleggiante dalla quale provenivano musiche, urla e schiamazzi che avrebbero portato chiunque a coprirsi le orecchie con le mani per non rimanerne assordato. Ariel fece proprio questo ma per poco. Era troppo attratto da quelle voci, da quei suoni nuovi così diversi da quelli che sentiva nel mare. Doveva vedere da chi provenissero.
Il tritone già aveva visto esseri umani in passato ma sempre da lontano e, nonostante ciò, ne rimase affascinato. I loro movimenti, il loro aspetto... le loro gambe! Era tutto così nuovo per un giovane principe dalla curiosità infinita.

Deciso nel voler rivedere ancora gli uomini, lui decise di arrampicarsi lungo la lunga rete che pendeva sul fianco della nave. Un colpo di fortuna, pensò. Grazie alla rete, Ariel riuscí ad arrivare stremato su una sporgenza in legno, dalla quale si poteva vedere tutto quello che accadeva nella nave mentre, precedentemente, aveva notato grosse nuvole nere che si avvicinavano minacciose. Lui non se ne curò particolarmente poiché era impegnato a trovare le fonti della confusione che si sentiva dall'acqua. Vide dei vecchi ubriachi dalla lunga barba che suonavano le fisarmoniche, uomini massicci e ricoperti di tatuaggi che parlavano animatamente con le donne dalle lunghe gonne e capelli intrecciati presenti a bordo. Infine notò lui. Ariel allargó lentamente gli occhi mentre guardava ogni particolare di quel giovane uomo: i suoi capelli neri, i suoi grandi occhi azzurri pieni di vita e soprattutto quel sorriso spensierato che animava il suo volto. Il suo volto perfetto era unito ad un corpo armonioso e proporzionato in tutte le sue parti e, agli occhi del giovane tritone, quell'uomo apparve come l'incarnazione della perfezione. Mai aveva visto tale bellezza in mare, non sarebbe potuto esistere in quel luogo oscuro quali erano gli abissi.

Ariel dovette aggrapparsi saldamente alla corda anche con la lunga pinna verde per non sbilanciarsi e cadere. Voleva correre su quel legno, con delle vere gambe umane, raggiungere quel giovane e toccare quel volto anche solo per constatare che fosse vero e non un'illusione, come le oasi nel mezzo di un deserto.
Un sorriso apparve sul volto del giovane tritone quando l'uomo sembrò guardare nella sua direzione ma l'atmosfera generale cambiò radicalmente quando scoppiò un potente tuono che fece quasi tremare la nave. Il vento si alzò e d'un tratto cominciò a piovere a dirotto, così pesantemente che sembrava che qualcuno stesse lanciando pietre piccole e dolorose.
Dalla nave le voci vivaci e gioiose diventarono urla e ordini dettati selvaggiamente. Ariel voltò per cercare ancora l'uomo ma non lo trovò e. per questa distrazione, perse l'appiglio e fu scaraventato in mare dai movimenti bruschi della nave.
Lui non voleva tornare in superficie, aveva paura di quella pericolosa pioggia ma allo stesso tempo il pensiero fisso di quell'uomo lo spinse a nuotare nuovamente in alto anche se dovette fermarsi subito. La pioggia divenne più violenta e, dopo un tuono, la nave venne distrutta in una singola e potente esplosione.
Pezzi di legno appuntiti, barili, armi, uomini e quant'altro annegarono nel mare che ormai era diventato nero come la pece. Ariel si allontanò spaventato dagli uomini che venivano catapultati con forza in mare, anche se era tentato dal volere aiutare almeno alcuni di loro. Dopo pochi secondi di indecisione, strinse i pugni e nuotò ad occhi chiusi verso un uomo, portandolo in superficie. Nonostante avesse poi aperto gli occhi non si fermò a guardarlo poiché cominciò ad avvicinare alcune scialuppe salve a gruppi di uomini che tentavano di non annegare.
Anche se stremato decise di non poter abbandonare l'uomo che aveva fra le braccia e lui decise di portarlo in riva, sperando che gli uomini sulle barche di fortuna lo avrebbero seguito in qualche disperato modo.
Ariel nuotò con tutte le sue forze, anche se non sentiva più la coda a causa della stanchezza, come se fosse totalmente intorpidita. Il peso dell'altro era eccessivo ma dopo un tempo che parve infinito riuscì a toccare finalmente la sabbia umida della riva. Lui si trascinò a stento lungo la sabbia lontana dall'acqua mentre portava a fatica l'uomo. Voltandosi verso il mare, notò che gli altri non l'avevano seguito e sul suo volto si formò un'espressione delusa. Aveva lasciato morire tutti quegli uomini, era stata colpa sua! Anche se pochi istanti dopo lui si ricordò di quello che aveva salvato e, finalmente, lo guardò.
Potè sentire il cuore fermarsi quando capì che si trovava accanto all'uomo che aveva tanto ammirato da lontano. Quel volto felice peró era adesso sofferente e i suoi occhi serrati. Ariel cominciò ad andare nel panico. Scostando la coda si piegò sull'uomo e, con grande gioia e preoccupazione, gli accarezzò il viso. La reazione dell'altro fu quella di muovere di lato la testa e il tritone, sollevato del fatto che fosse vivo, si sporse e cominciò a toccargli ogni curva di quel viso perfetto che poteva appartenere solo ad una divinità. Socchiuse la bocca, ammaliato, ma ritrasse subito la mano quando gli occhi dell'uomo cominciarono lentamente ad aprirsi.
Ariel, colmo di gioia per il poter vedere quegli occhi azzurri da vicino, dovette scappare in mare quando sentì le stesse voci della nave che si avvicinavano.
Il tritone si mise ad osservarli da lontano. Gli uomini soccorsero subito colui che aveva portato in salvo, abbracciandolo e riempiendolo di parole di conforto. A quel punto lui capí di essere attratto dall'uomo sbagliato, colui che gli fece capire in pochi attimi che il proprio destino gli imponeva di rimanere in mare anche se il suo cuore già apparteneva al mondo terrestre.

The little tritonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora