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Il sole batteva violento contro le palpebre ancora chiuse del giovane tritone, il quale si trovava steso sulla riva della spiaggia accanto alla zattera che poco tempo prima aveva salvato la vita degli uomini della nave distrutta dalla tempesta.
Quei raggi risultarono come una sveglia e questo costrinse Ariel a coprirsi di scatto gli occhi con una mano, credendo che stessero andando a fuoco. Sbuffò sonoramente per quel risveglio non gradito, specialmente quando cominciò a sentire il calore sulla propria pelle che era insolitamente asciutta. La sua mente elaborò solo pochi minuti dopo tutti i dati appena ricevuti e questo lo portò a toccare il proprio "letto". Quando si ritrovò tra le dita della mano libera i granelli di sabbia che scendevano tra le sue dita, si costrinse a spostare la mano dai suoi occhi per aprirli.
Lui ci mise un po' per mettere a fuoco il cielo azzurro sopra di sé e, appena lo fece, sbarrò gli occhi per la sopresa. In un movimento quasi involontario si mise a sedere, mettendo le mani sulla parte inferiore del corpo mentre cercava di capire dove fosse. L'ambiente gli era familiare: una semplice e calda spiaggia con una piccola barchetta quasi completamente distrutta accanto a sè. Solo quel particolare lo portò a capire in quale spiaggia si trovasse. Era quella dove aveva visto e toccato quell'uomo.
A quel punto Ariel cercò di capire perché si fosse addormentato in quel luogo e si rispose da solo qualche istante dopo, ricordandosi dell'incantesimo. Il giovane non sentiva nulla di diverso, sentiva di avere tutto a posto, ma questo durò solo fin quando non posò i suoi occhi sulle gambe. Li sgranò lentamente, socchiudendo la bocca mentre le toccava delicatamente, come se avesse paura di romperle. Delle lacrime si formarono agli angoli dei suoi occhi e, sul punto di urlare la propria felicità, si rese conto che dalla propria bocca non usciva il minimo suono. Ariel amaramente si toccò la gola, ricordando a pieno l'incantesimo che aveva accettato. Aveva solo tre giorni per essere accettato dall'uomo ed il problema maggiore non era il non poter parlare: in quel momento non sapeva nè dove lui fosse e, specialmente, non sapeva camminare. Adesso lui si sentiva come un piccolo bambino umano.

Con un sospiro frustato ricominciò ad osservare ogni dettaglio delle gambe, specialmente la "cosa" penzolante che vi era nel mezzo. La toccò numerose volte non avendo idea di cosa fosse e, considerandolo di poco conto, decise che fosse l'ora di muovere quei nuovi pezzi di carne. Il ragazzo strisciò verso la barca e, facendo leva sulle braccia, provò a muovere una gamba che sembrava peró intorpidita. Ariel ci mise poco a capire che funzionava come un braccio, quindi cominciò a massaggiare i muscoli per cominciare a fare piccoli movimenti. Ci avrebbe impiegato secoli e ne era consapevole, ma ne valeva assolutamente la pena. Lui non si sarebbe fermato a causa di gambe intorpidite.

Accadde peró una cosa inaspettata.
Una strana creatura saltò sulle spalle del ragazzo e lo gettò nuovamente nella sabbia.
Ariel guardó terrorizzato la creatura enorme e ricca di un peli lunghi e bianchi che sembrava divertirsi nel saltare su di lui, tenendo fuori una lingua rosa e bagnata che sembrava abbastanza disgustosa. Il giovane cercò di allontanarlo ma in suo soccorso ci fu un fischio, il quale fece allontanare il cane verso la parte opposta della barca fatiscente. Ariel si ritrovò di nuovo disteso sulla sabbia, tremante per la paura, finché non sentì una potente voce, seguita dal verso della creatura. La voce si avvicinava sempre di più e l'ex tritone cadde nel panico, raggomitolandosi e portandosi al petto le ginocchia, nascondendosi sotto al legno della barca abbandonata. Lui pensava che la sua vita sulla terra ferma fosse già finita ma capì presto che era il contrario.
Alzando lo sguardo infatti, potè notare un paio di occhi posati su di sè, quelli dell'uomo che aveva salvato poco tempo prima. Per lo stupore alzò di poco la testa senza muoversi peró dalla posizione fetale assunta.

«Stai bene?», l'uomo allungò una mano verso di lui, gli occhi velati da uno strato di preoccupazione. Ariel osservò quella grande mano, rovinata probabilmente della vita di mare che conduceva, e decise dopo un istante di riluttanza di afferrarla. Il moro subito gli afferrò anche il braccio con l'altra mano e lo tirò in piedi. Il giovane tritone barcollò ma trovò un buon sostegno sulla mano che l'altro aveva ben salda sul proprio braccio.
Lui rrise a quel contatto e cominciò ad osservare il resto del suo fisico, partendo proprio dal suo muscoloso braccio, anche se poi ricordó della domanda che lui gli aveva fatto poco prima.
Ariel allora aprì la bocca e provò in ogni modo a far uscire anche un minimo suono, ma nulla. Si limitò a guardarlo dispiaciuto mentre l'uomo, squadrandolo meglio, si allontanò improvvisamente quando capì che il rosso era completamente nudo. A quel punto lui si assicurò che fosse ben piantato a terra e cominció a frugare nella barca accanto, trovando successivamente un lungo pezzo di tela.
«Sei nudo su una spiaggia e non puoi parlare. Ti è successo qualcosa di brutto, vero?». L'uomo si avvicinó e con cautela lo avvolse nella tela. Ariel lo lasciò fare, alzando le braccia per non essergli d'intralcio mentre scuoteva la testa come per negare quel che aveva detto. In realtà stava andando tutto alla grande, Ariel non poteva chiedere di meglio.
«Qualsiasi cosa ti sia successa non ti preoccupare, sarai al sicuro se vieni con me». Il suo caldo sorriso fece avvicinare a lui il piccolo tritone come se fosse una calamita e per risposta si limitò ad annuire, facendosi portare verso una passerella in legno mentre le gambe andavano avanti a stento, inciampando e perdendo spesso l'equilibrio. L'uomo lo condusse lungo una stradina in pietra circondata da piccole case colorate. Il giovane guardò tutto, ogni particolare, volendo fare all'altro tantissime domande ma dovette reprimersi, non potendo fare ciò, e si limitò a guardare ammaliato tutto sotto gli occhi divertiti del moro.
«Il mio nome è Eric», si giró sorridendo. «E il tuo? Puoi scriverlo o deve rimanere un mistero?».
Ariel fu tentato dal fargli capire che voleva scegliere la seconda per puro divertimento ma con le mani finse di scrivere con una penna in aria il proprio nome, "scrivendo" nel modo più semplice ogni parola.  L'uomo di nome Eric ci mise molto tempo per capire e, quando comprese, si inchinò per fargli un baciamano.
«Ariel, piacere di conoscerti», ridendo si tirò su e ricominciò a trascinarlo lungo la strada, finché non arrivarono ad un alto cancello in ferro. Quel soffice bacio fece battere velocemente il cuore del tritone che mai si aspettava un gesto del genere.
Ariel si guardò attorno, trovando quell'ambiente familiare. Un'attenta occhiata all'interno lo portò a capire che quello fosse un castello e, a quel punto, guardò meravigliato il suo accompagnatore. Cominciò infatti a chiedersi se non fosse un principe come lui.

The little tritonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora