Come sarebbe andata se...

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Aprii gli occhi di scatto, come se avessi una strana sensazione. Allungai la mano sul letto per cercare la sua, ma non la trovai: Donato non era a letto con me.

«Amore?» farfugliai ancora un po' assonnato, poi mi alzai con la schiena e mi strofinai gli occhi. «Donà?» lo chiamai ancora nella speranza che fosse nel bagno della nostra stanza, ma non c'era.

Poggiai i piedi a terra e, senza infilare le pantofole, andai alla ricerca del mio fidanzato: quella strana sensazione che mi aveva svegliato mi suggeriva che Donato non era a letto non perché era in bagno, ma per qualche altro motivo. E infatti, quando arrivai in cucina, lo trovai nella penombra seduto sulla sedia accanto al tavolo a fissare il vuoto.

«Donato?» lo chiamai lentamente e sussurrando. Lui alzò la testa e incrociò il mio sguardo. «Ehi» rispose sorridendo leggermente.

«Va tutto bene?» gli chiesi sedendomi accanto a lui. «Che stavi facendo?»

Donato scosse la testa debolmente e guardò da un'altra parte. «Niente, pensavo.»

«A cosa?»

«A mio padre» disse.

Deglutii. Sapevo che quell'argomento era abbastanza delicato per Donato, e sapevo che non dovevo azzardarmi a essere troppo frettoloso nel sapere cosa gli passava per la testa e perché proprio in quel momento stava pensando al padre.

«E a mia madre,» aggiunse dopo un po',«e a come sarebbe la mia vita, la nostra vita, se fossero ancora vivi.»

Sospirai, poi mi avvicinai con la sedia a lui. «E come pensi che sarebbe stata?» chiesi.

Donato mi guardò, poi alzò le spalle e ritornò a fissare il vuoto. «Tu non ci saresti» disse amaramente.

Donato pensava che, se il padre fosse ancora vivo, io e lui non saremmo mai stati insieme perché avrebbe provato in tutti i modi a dividerci.

«Io ci sarei eccome» gli dissi e lui si girò a guardarmi sorpreso. Gli diedi un bacio sulla guancia. «Avrei smosso mari e monti per stare con te» asserii e lui sorrise imbarazzato.

«Sul serio?» chiese e per un attimo mi apparve come il bambino spaurito di cui mi ero innamorato tredici anni prima.

Annuii. «Certo.» Gli diedi ancora un bacio sulla guancia, poi un altro sul collo. «Perché non torni a letto?» gli dissi baciandolo dietro l'orecchio e lui rabbrividì. «Così magari ti mostro quanto tengo a te...» lasciai sospesa volontariamente la frase e alzai un sopracciglio maliziosamente.

«Oh...» commentò Donato arrossendo, poi mi baciò sulle labbra e mi accarezzò il volto.

«Adoro quando arrossisci» gli dissi baciandolo ancora; lui gemette nella mia bocca. «Ma i tuoi fratelli lo sanno che tra di noi comando io?» gli chiesi e lui ridacchiò sommessamente arrossendo ancora un po'.

«Scemo» mi ammonì. «Tra un minuto. Vengo tra un minuto.»

«Tra un minuto?» chiesi per essere certo di ciò che mi aveva detto.

Annuì. «Sì, tra un minuto» disse.

Mi morsi il labbro e finsi di averci creduto perché sapevo che quel "tra un minuto" significava che non sarebbe venuto affatto. E infatti, quando ritornai nella nostra stanza, lo sentii uscire da casa.

***

Quando vidi Donato arrivare verso di noi, non mi sorpresi affatto. Io, Corrado e Giovanni eravamo seduti nell'erba con lo sguardo rivolto alle lapidi dei nostri genitori, era notte fonda ed eravamo entrati nel cimitero scavalcando il cancello. Non era certo la prima volta che lo facevamo, ero sicuro che, nonostante ci fosse scritto, non c'era nessuno a sorvegliare il cimitero. Chi è che aveva voglia di fare un lavoro simile e soprattutto per tutta la notte?

Io e i miei sette fratelli maggiori - In revisioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora