L'istante

73 7 0
                                    

Non potevo crederci. Nel pallido mattino c'era solo una cosa che avrebbe potuto mozzarmi il fiato più della bellezza del lago o della rosa rossa al suolo. Il ragazzo che il giorno prima aveva sconvolto e torturato la mia anima e i miei pensieri era proprio lì, con i soliti occhiali scuri, un cappello nero e un giubbotto in pelle, in una posa che avrebbe fatto arretrare il più coraggioso dei paladini. Mi teneva il gomito sulla gola ben premuto, non respiravo e mi sentii come se mi stesse alzando da terra. Non riuscivo a realizzare, vedevo tutto a rallentatore. Mollò all'improvviso la presa, e io crollai giù in ginocchio, ma mi rialzai subito. Mi prese la mano, la girò velocemente e mi guardò la ferita. "N-non è niente" balbettai cercando di trovare una spiegazione al suo gesto. Ma si avvicinò e leccò il sangue sul mio dito. Un brivido si estese lungo tutta la colonna vertebrale. Non sapevo se fosse psicopatico, o se cercasse solo di spaventarmi, ma quella azione in quel momento mi sembrò normale, come se nel mio DNA ci fossero delle informazioni che reagivano diffondendo tranquillizzanti a ogni suo movimento. Io ritrassi la mano e lo guardai cercando di intravedere i suoi occhi. Poi si girò, puntando verso la boscaglia. Rividi la scena del giorno prima, ripensai a tutti i rimorsi, a tutte le domande, e a me, ferma nel corridoio, col fiato corto, ancora barcollante. "Fermati!" Strillai facendolo girare di scatto. "... Per favore". Successe una cosa incredibile: tirò fuori un sorriso. Non bello come lo immaginavo, né angelico, avrei detto di scherno piuttosto, in ogni caso mi fece tremare. "Come ti chiami?" E nonostante la volontà di mantenere un tono fermo uscì più come un sospiro, tanto da farmi temere non mi sentisse. Lui tornò a gran passi verso di me e mentre abbassava lo sguardo verso la mia testa, di molti centimetri più in basso della sua, posò la mano sul tronco alle mie spalle. Aveva le braccia così lunghe che non c'era bisogno nemmeno di una torsione. Poi sentii di nuovo quello squarcio, stavolta più in fondo, sentii quasi il rumore. Si tolse gli occhiali. Due stupende gemme mi trapassarono e traforarono l'animo. Io lo guardai e affondai nell'infinità che c'era dentro. Era come se dalla tranquillità del mio cuore, lago ghiacciato, con un terremoto si fosse aperto un varco e mi avesse accolto il mare in tempesta, l'oceano più sconfinato che variava dal colore dell'acciaio al cobalto, dal ceruleo al celeste, dal ghiaccio all'azzurro. Più mi muovevo in quella vasta distesa d'acqua più mi sentivo affondare, come fossi nelle sabbie mobili. Erano occhi che raccontavano, un bellissimo quadro non da guardare ma da vivere. Vedevo la bramosia, il fremito, la frustrazione. Ma più di tutto vedevo la tristezza, il dolore, sentivo che c'era un peso così grande al loro interno che fui presa dalla compassione. Erano lacerati dalla vacuità, scossi dal silenzioso gemito dovuto all'afflizione per le pene e dolorante a causa delle ferite lancinanti, turbati dall'impossibilità di parlare, straziati più di qualsiasi altra cosa dalla solitudine. Erano solo queste terribili sensazione a renderli cupi.
Non mi capacitavo di come Rue avesse potuto dire che fossero inquietanti. Io non vedevo altro che splendore, incanto, e l'unica sensazione oltre che alla superficiale ammirazione, era compatimento, era tristezza. Quello sguardo mi spezzava in due e mi faceva desiderare di poter aprire quel cuore, che ero certa fosse blindato. "Sono Ray Mahfud" gorgheggiò con voce roca, così profonda da farmi vibrare lo sterno e così melodiosa da sembrare un canto. Io rimasi zitta, incapace di ricordarmi come si respirasse. "Sono meravigliosi..." mormorai pentendomi già dopo la prima sillaba. Lui aggrottò le sopracciglia e si ritrasse, e per un secondo mi parve che la sua espressione cambiasse. Poi tornò serio. Cercai di spostare la sua attenzione altrove "Il mio nome è Eryn Ruby". Rise, e poi guardandomi, ma senza farlo davvero "Ci avrei giurato. In pochi emanano quest'aura. Stavo per andarmene, ma ora che ci penso forse, quando non sarai più inconsapevole, sarà difficile. Devo affrettarmi ora che sei così ingenua e sola". Quelle parole non riuscivano ad acquisire senso nella mia mente, ma man mano che cercavo un significato mi sentivo sempre peggio. A quel punto si svolse ogni cosa in un istante così breve da non lasciarmi il tempo di capire ma dandomene abbastanza da ricordare per sempre.
Lui mi aprì la ferita sul dito, sentii dolore, vidi sangue sulla neve, sentii il battito d'ali di un uccello, vidi delle piume scendere dal cielo, Ray fu sbalzato a metri di distanza con una sola spinta e giunse sull'orlo del lago, sdraiato con la testa sollevata a pelo d'acqua, c'era una massa nera che lo sovrastava e una punta infilata nella sua spalla che macchiava l'acqua di un liquido nero. Sentii le mie gambe correre automaticamente verso di lui, poi un improvviso calore, infine il buio.
Aprii gli occhi pian piano, e ancora sfocate vidi le facce apprensive della mia nuova famiglia tutte sporte a guardarmi. Mi ricordai di cosa fosse accaduto, subito scattai in piedi, ma non ero ancora stabile e finii di nuovo sul letto. "Piano" disse Mary "hai ripreso conoscenza da poco, rimettiti a sedere". Così dopo il suo avvertimento mi sforzai di vedere il laghetto dalla finestra della mia camera, ma anche quando lo misi a fuoco gli occhi non mi permettevano di vedere dettagli. Mary mi guardò comprensiva e mi abbracciò "È tutto a posto, sei al sicuro". Prima ricambiai l'abbraccio e mi stavo per lasciare andare al pianto, ma proprio in quel momento capii che qualcosa non andava. "Come fai a sapere che è successo?" Sbottai. Mary fece segno con il capo di liberare la stanza e poi guardò Jade. Quella prese una scatola da un cassetto sotto il letto chiuso a chiave, lo consegnò alla madre e uscendo chiuse la porta. Mary mi guardò negli occhi e sospirò, poi aprì la scatola e cominciò a parlare. "Sai Eryn, ci sono così tante cose che ancora non sai e che nessuno poteva dirti. So che per te sarà difficile recepire tutto ciò che ti dirò in una sola volta, perciò ti lascerò il tempo che ti serve e potrai farmi tutte le domande che ti interessano" poi riprese fiato e mi fece vedere una foto di un uomo e una donna dal viso gentile, che stringevano forte un pargolo. Rimasi impietrita quasi come se già avessi sentito le parole che Mary stava per dire. "Questi sono i tuoi genitori e questa sei tu, piccina." Poi indicò il rubino al collo di mia madre "Questo rubino è l'aspetto distintivo di ogni primogenita discendente da una Ruby. Ebbene sì, il cognome di tua madre. I tuoi genitori ti amarono così tanto da sacrificare la vita.
Vedi mia cara, nel mondo ci sono un sacco di creature di cui gli umani ignorano l'esistenza. Sirene, vampiri, maghi, fate, angeli: sono tutti mescolati tra noi." Sentii una improvvisa nausea e poi la sensazione che fosse tutto un sogno, ma non potevo credere che i miei genitori avessero dato il compito a una squinternata di raccontarmi la loro storia, che le avessero affidato la loro foto. Mi sforzai di credere alle sue parole, perché se i miei genitori si erano fidati mi sentivo in dovere di fidarmi e risposi "Conosco sirene o qualcuna di queste creature?". Lei mi guardò stupita "Per ora conosci solo un vampiro".
Sapevo già che cosa stesse succedendo, Ray, di quella bellezza immortale, che quella mattina aveva leccato il mio sangue, che mi aveva minacciato in quel modo insolito, così perfetto, doveva assolutamente essere la creatura di cui parlava. Dalla mia espressione inorridita lei capì e continuò "Da molte generazioni, le donne della nostra famiglia sono ambite dalle creature di tutte le specie. Vedi, ogni uomo o donna, umano o no, ha un aura. Paragona l'anima a una fiamma, e l'aura alla luce emanata. Più è forte la luce, più la fiamma è grande.
C'è una leggenda che narra di un popolo nomade, probabilmente Normanno, potente e ricco, che un tempo fu costretto a combattere due guerre: una per il territorio, e l'altro contro dei nemici forti come un esercito, belli come divinità, veloci come bestie feline, duri come la pietra: i vampiri. Ai tempi tutti erano a conoscenza che esistessero quelle creature e ci si difendeva proprio come si farebbe con degli animali feroci" Mi misi comoda, sarebbe stata una storia lunga e sarei potuta svenire da un momento all'altro e sapevo che stavo per conoscere una verità che mi avrebbe cambiata per sempre.

The White Rose Standing In The DarkDove le storie prendono vita. Scoprilo ora