I. Chiamate

149 7 14
                                    

E' notte fonda di una calda serata di metà Giugno, ma New York non smette un attimo la sua frenesia, benché meno nel famoso quartiere di Brooklyn.

Nonostante il sonno, come ogni sera sono seduta ad ammirare lo spettacolo al di fuori delle grandi vetrate, con il vento che sferza leggermente sul mio viso pallido.

Mi è sempre piaciuto osservare le sue luci a neon colorate, ascoltare i rumori provenienti dal mondo esterno in continuo cambiamento.

Dalla finestra -aperta a causa del caldo estivo- mi arrivano suoni di clacson.

Mi posso considerare fortunata a vivere al quarantaduesimo piano di uno dei molteplici grattacieli della metropoli. 

Mentre sono persa nei miei pensieri, il suono fastidioso del telefono di casa mi disturba.

Anche se controvoglia, decido di alzarmi comunque dal mio amato letto.

Attraverso il breve corridoio che porta direttamente all'openspace in stile moderno, trascinandomi dietro la morbida coperta leggera color porpora poggiata sulle mie spalle ricoperte solo in parte da un semplice pigiama corto.

Cerco il telefono tra i numerosi cuscini del morbido divano dopo essermi ricordata di averlo lasciato lì solo qualche ore prima, a seguito della mia chiamata con la mia migliore amica Mary-Jane Manson.

"Pronto?" domando ponendo la domanda all'altro capo del telefono.

"E' la signorina Cora Sasha Soldiers?" La voce pacata di una donna, mi risponde immediatamente ma non riesco a distinguere a chi possa appartenere.

"Sì, sono io. Con chi parlo?"

Capisco che non poteva di certo essere una collega della piccola azienda in cui lavoravano in miei genitori, non avrebbero mai chiamato alle dodici e un quarto di notte.

"Mi duole doverla disturbare a quest'ora spero di non averla svegliata, sono l'agente Johnson del distretto di Manhattan," mi informa.

"E' successo qualcosa?"

Il mio cuore inizia a battere all'impazzata.

"Vede, purtroppo c'è stato un grave incidente sulla quindicesima, i suoi genitori Madeleine e Julian Soldiers, fortunatamente non sono morti ma sono rimasti gravemente feriti e portati con urgenza nell'ospedale più vicino alla sua abitazione."


Nel sentire quelle parole, lascio cadere il telefono per terra, assieme alla coperta.

Espira.

Inspira.

Enspira. 

Cerco di eseguire mentre sento mancarmi l'aria, per un attimo mi appoggio al muro, mentre cerco di riprendere le forze.

"Pronto signorina Soldiers? E' ancora in linea?" La voce dell'agente della polizia risulta debole, mentre il mio cervello cerca di memorizzare le informazioni appena ricevute.

Ripercorro all'indietro il percorso fatto qualche minuto prima, tornando nella mia camera.

Non bado nemmeno di spegnere il telefono, abbandonato sul pavimento freddo dell'appartamento.

Ignoro il disordine perenne della piccola stanza, prendo uni dei numerosi vestiti lanciati come sempre sulla sedia, afferro al volo il primo soprabiti che riesco a trovare e le chiavi.

Alla velocità esco veloce come un fulmine dall'appartamento; chiudendo con foga la porta di casa, senza badare all'aspetto degno da film horror che posso immaginare di avere in quel momento.

L'ospedale più vicino si trova a quattro isolati da casa, ragiono.

Al momento non è la cosa più importante.

Devo riuscire a fare il più velocemente possibile, anche a costo di farmi quattro dannati isolati a piedi.

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 02, 2017 ⏰

Aggiungi questa storia alla tua Biblioteca per ricevere una notifica quando verrà pubblicata la prossima parte!

L'ultima custode del tempoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora