Capitolo 15

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«Allora: Isabelle McGowen, eh?» chiese Lowell a Dean, mentre i due camminavano lungo la navata della Saint Mary of the Angels, armati di scope, strofinacci e liquido per lavare. Il Prete li aveva assegnati alla pulizia della Chiesa assieme ad altri quattro ragazzi che, però, erano abbastanza distanti da loro. Questo permetteva loro di intraprendere la discussione che Lowell aveva dovuto posticipare per diverso tempo.

«Isabelle, sì,» rispose il compagno di stanza. Low lo guardò con un'espressione emblematica: pretendeva più dettagli.

«Racconta,» disse, quasi più come un ordine che come un invito. L'altro si schiarì la gola, si guardò attorno per essere certo di poter parlare liberamente, poi cominciò a raccontare.

«Io e lei studiamo insieme da quando sono arrivato all'Institute. Ho sempre avuto una segreta attrazione nei suoi confronti, ma sai come funziona all'accademia. Ci siamo avvicinati molto dopo ciò che è successo con Darin. Lei si è interessata, si è preoccupata e io le ho confessato i miei sentimenti. Inizialmente era restia, poi ha deciso che avrebbe potuto ricambiare, quindi ci abbiamo provato.» Lowell fissava il giovane con gli occhi pieni di gioia per lui. Dean meritava di essere felice più di chiunque altro.

«Sono contentissimo Dean, te lo meriti veramente e...» La frase di Low fu interrotta dall'arrivo di una Suora. La donna si avvicinò a grandi passi ai due ragazzi, che la fissarono in attesa di una sua parola.

«Lowell, c'è tuo padre nella hall,» comunicò lei, indicando la spessa porta della Chiesa. Il corvino divenne inespressivo e serrò la mascella. Sospirò, incamminandosi lungo la navata in direzione dell'uscita. Sperava di sbagliarsi, ma credeva di sapere il motivo di quella improvvisa visita. Dopo quello che aveva visto Stephan, era solo questione di tempo prima che lo raccontasse ai suoi. Deglutì rumorosamente, uscendo dalla Chiesa e proseguendo sul vialetto sterrato. Raggiunse la porta dell'Institute e la varcò, fermandosi al centro della grande hall. Sulla sua destra c'era un uomo abbastanza anziano, alto circa un metro e ottanta e con i corti capelli grigi ben curati. Gli occhi azzurri risaltavano l'espressione truce sul volto consumato dagli anni, così come il portamento forte e fiero di chi occupa una posizione influente nella società. L'uomo guardò in direzione del giovane e si avvicinò a lui, fino a fermarsi dinnanzi al suo volto. Lowell lo fissò inespressivo, salvo poi tendergli una mano. L'altro la strinse con la solita forza. Nessuno dei due accennò a sorridere.

«Buongiorno, Padre,» disse Lowell, in maniera del tutto apatica. Thomas Jeremy Safford annuì e indicò il divanetto alla sinistra della grande hall. I due si accomodarono l'uno accanto all'altro, poi l'uomo prese la parola.

«Buongiorno, Lowell.» La voce dell'uomo era forte, gutturale e profonda. Low abbassò lo sguardo, non riuscendo a reggere quello di suo padre. Era terrorizzato da cosa avrebbe potuto dirgli.

«A cosa devo la tua visita?» domandò poi, rompendo gli indugi. Thomas si schiarì la gola e allargò le braccia.

«Michael Silverstone mi ha chiamato. Mi ha detto che hai fatto espellere suo figlio, che sei un invidioso bugiardo e che non meriti di stare in questo collegio. È forse vero?» chiese il padre a Lowell. Questi alzò lo sguardo, rasserenato dal fatto che non avesse menzionato Stephan, ma al contempo arrabbiato con Darin per avergli dato la colpa.

«Ovviamente no. Darin ha trasgredito alle regole dell'Institute e io, da bravo cittadino e figlio di Dio, ho fatto notare il fatto,» spiegò Lowell, cercando di non utilizzare parole compromettenti. Il padre scosse la testa e fece una smorfia di disappunto.

«Non è facendo la spia che si diventa uomini,» si limitò a dire. Lowell serrò la mascella e si morse una guancia per convincersi a non controbattere. Una guerra con suo padre sarebbe stata persa in partenza. L'uomo vide che il figlio non rispondeva e si alzò di colpo. Poi, gli sferrò uno schiaffo col dorso della mano destra. Il rumore rimbombò in tutta la hall. Low piegò la testa dal lato opposto e chiuse gli occhi, reprimendo una lacrima per il dolore.

«Non è prendendo a schiaffi il proprio figlio che si diventa uomini,» sussurrò poi. L'uomo udì perfettamente le parole del figlio e spalancò gli occhi dall'indignazione.

«Io ti ho cresciuto meglio di così. Da quando rispondi anche a tuo padre?» urlò, col volto contratto in un ghigno spaventoso. L'altro si alzò e lo guardò negli occhi.

«Da quando mio padre è un viscido stronzo capace solo a fare una morale che non mette neanche in pratica. Quando mai mi avresti cresciuto, Thomas? Mentre ti sbattevi la cameriera o mentre mi iscrivevi in un collegio cattolico?» disse, con un coraggio e una forza d'animo che non credeva di avere. Thomas tentò di schiaffeggiarlo nuovamente ma Lowell fermò la sua mano. «Non mi fai più paura, Thomas.» Il padre si voltò, rosso in volto, e percorse la hall sino a raggiungere la porta. Arrivato, la varcò, sbucando sul sentiero ghiaioso e sbattendosela alle sue spalle. Lowell rimase immobile per qualche secondo, salvo poi sorridere e deglutire. Aveva battuto suo padre. Finalmente, aveva trovato il coraggio di farlo.

*

Lowell afferrò il vassoio in legno e sbuffò mentre seguiva la fila di persone attratte dal cibo. Guardò oltre la teca e notò come ci fosse una strana minestra più pallida del solito. Fece una smorfia. Non aveva tanta fame in realtà. Lasciò il vassoio e uscì dalla fila, dirigendosi al tavolo. Una mano fredda lo fermò, afferrandogli la spalla e costringendolo a voltarsi. Un ragazzo, di qualche anno più piccolo, dai capelli biondi arruffati e gli occhi scuri lo fissò, per poi abbassare lo sguardo, intimorito dal corvino. Lowell, inespressivo, attese che gli fosse esposto il motivo di quel gesto.

«Scusa non volevo disturbarti ma credo ci sia una cosa che devi sapere,» disse il biondo. Era alto quanto Lowell ma sembrava più gracile. La divisa della scuola gli donava. Il corvino scrollò le spalle e tirò su col naso.

«Cosa?» domandò Low. L'altro arrossì e si toccò impacciatamente i capelli, per poi indicare un punto oltre le sue spalle, dove la porta sul giardino era contornata dalle grandi finestre della sala da pranzo.

«Ho visto Jonathan che portava fuori un ragazzo,» annunciò il giovane. Lowell contrasse la mascella e rimase inespressivo per qualche secondo, poi alzò lo sguardo dall'altro e lo posò sul proprio tavolo. Dean non c'era. Provò a cercarlo dalle parti della chilometrica fila per il cibo, ma nemmeno lì pareva esserci. IL sangue si gelò nelle vene. Sapeva cosa stava succedendo, era la paura che aveva avuto sin dall'inizio. Jonathan si stava ammutinando. E per farlo avrebbe punito Dean, solo che quella volta Lowell non l'avrebbe permesso.


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