1
La prima volta che ho fatto la pipì in piedi, avevo sei anni.
Fino a quel momento, per evitare disastri, l'avevo sempre fatta seduto: per farla come i grandi bisognava concentrarsi e avere una buona mira, mi aveva detto il nonno.
Era una mattina di Novembre, intorno alle dieci, e stavo giocando con i miei compagni d'asilo, del tutto ignaro che quello sarebbe stato un giorno memorabile.
Mosso da un bisogno impellente, dissi alla signorina Margherita che dovevo andare in bagno; era la maestra più giovane e simpatica.
Mentre mi faceva strada verso le tazze i lunghi capelli castani le saltellavano graziosamente sulle spalle.
Una volta arrivati, mi fece segno di entrare con un gesto della mano e aspettò fuori.
"Quello dei maschietti è l'altro!" disse vedendo che stavo andando alla cabina sbagliata.
Corsi verso l'altra porta, entrai, e me la richiusi alle spalle. Slacciai la cintura e stavo per abbassare i pantaloni fino alle caviglie, come sempre, quando mi venne in mente che sedersi comportava troppi inutili passaggi. Da quella posizione mi limitai a scostare il bordo elastico delle mutande, poi cercai di prendere per bene la mira e aspettai.
Il resto venne da se ed è indescrivibile. Restai per un po' immobile a guardare le ultime gocce staccarsi e precipitare in caduta libera. Era affascinante.
Avevo scoperto un gioco nuovo ed era molto meglio di colorare con le matite i disegni che ci dava la maestra. Non vedevo l'ora di rifarla.
"Oscar, ci sei?" disse la maestra bussando due volte.
"Si, arrivo".
Mi risistemai in fretta i pantaloni e uscì dal bagno.
La signorina Margherita mi stava aspettando con le braccia incrociate.
"È tutto apposto?" disse guardandomi sospettosa.
Aveva dei bei occhi verdi, che diventavano grigi quando il cielo era nuvoloso.
Evidentemente si era accorta che ero uscito dal cesso tutto eccitato. Alle femmine non sfuggiva niente.
Decisi di non dirle nulla.
"Si maestra. L'ho fatta tutta" dissi e tornai dagli altri bambini.
2
All'asilo mi piaceva essere al centro dell'attenzione, ma non era sempre facile attirare gli altri bambini; bisognava avere qualcosa di concreto da mostrargli.
Quel giorno Fauno, un bambino che abitava poco lontano da casa mia, portò in classe uno yo-yo.
Aveva il filo legato al dito anulare, e si esibiva di fronte ad un nutrito pubblico di bambini facendo andare su e giù il rocchetto con lievi movimenti del braccio. Gli altri avevano formato un cerchio attorno a lui e lo guardavano come ipnotizzati, con la bocca socchiusa e le pupille che seguivano i movimenti dello yo-yo.
Era un giocattolo interessante, di un bel verde smeraldo, e lui lo sapeva usare bene.
"Me lo fai provare?", "Dove l'hai trovato?", sentivo bisbigliare.
"Me l'ha portato mio zio dall'America" disse Fauno orgoglioso, e dal suo sguardo capì che stava mentendo.
Vedevo gran parte dei miei compagni spingersi l'un l'altro per stargli il più vicino possibile, mentre i più furbi lo lusingavano nella speranza di provare lo yo-yo anche solo per qualche secondo.
STAI LEGGENDO
La prima volta non si dimentica
Short StorySINOSSI Oscar trova per caso uno strano puzzle; dopo aver incastonato tutti i pezzi al posto giusto, vede qualcosa che lo lascia sconvolto. Due giorni dopo, un suo compagno d'asilo porta in classe uno yo-yo che attira l'interesse di tutti i bambini...