La metropolitana

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A volte vorrei essere una ragazza tranquilla. E con "ragazza tranquilla" non intendo una "brava ragazza" nel senso in cui lo dicono i benpensanti. Quello, almeno secondo la loro opinione, lo sono già, ma a me non interessa ciò che loro pensano. E a me, come presto vedrete, interessano un sacco di cose: mi interessano i libri. I film di Tim Burton. L'arte. Mia madre. Mia sorella. Il ricordo di mio padre. Il benessere delle persone attorno a me. Ma non la loro opinione. Perché quelli che fanno parte di quel loro possono o no collocarti nella sacra (per loro) e rara (sempre per loro) categoria dei bravi/e ragazzi/e. E per loro sei un bravo ragazzo se non guidi la moto e non stai fuori fino a tardi la sera, ed una brava ragazza se non metti abiti scollati e non stai fuori fino a tardi la sera. Fin qui niente di terribile, anche se ci sarebbe più di qualcosa da obbiettare. La parte che più mi disgusta di questo ragionamento è che se osservi questi comportamenti per loro farai sempre parte della categoria dei bravi/e ragazzi/e. Per cui un bravo ragazzo che non guida la moto e non sta fuori fino a tardi la sera rimane tale anche se prende in giro il suo compagno di classe handicappato perché gli hanno insegnato che lui può tutto; così una brava ragazza che non mette abiti scollati e non sta fuori fino a tardi la sera rimane tale anche se dice a tutti che la sua migliore amica è una sgualdrina perché ha un ragazzo, e lo fa perché le hanno insegnato che le sue scelte sono le sole ad essere giuste e possibili. Ecco, già da ora vedete che una delle cose che mi riesce meglio è dilungarmi in ragionamenti che gira e rigira hanno tutti la stessa conclusione: la società si sta perdendo. E quando dico che vorrei essere una ragazza tranquilla, intendo che non vorrei avere tutti questi pensieri in testa, perché so che senza di loro sarei molto più felice. Ed anche molto più puntuale, visto che sento la voce di mia madre che urla.

<<Che diamine, Andreina! Sei sotto la doccia da un quarto d'ora, tu ed Emma farete tardi il vostro Primo Giorno di Scuola!>>
<<Arrivo!>>

Esco dalla doccia trafelata ed indosso dei jeans larghi e strappati (che mia madre odia), una maglietta blu a righe nere e le Nike nere che ho comprato ieri dopo aver risparmiato un'intera estate. Perché come presto imparerete, quando decido di farmi un regalo so come trattarmi bene.
<<Andreina! Allora!?>> la voce stridula di mia sorella Emma mi esorta a mettere il telefono in tasca ed afferrare lo zaino.
<<Ti sembra normale che tua sorella ti stia aspettando da un quarto d'ora?>> mi chiede mia mamma davanti alla porta di casa mentre Emma esce e chiama l'ascensore.

<<Siamo all'ottavo piano, visto che siamo in ritardo speriamo che non sia al piano terra. Comunque, mammina, ti risulta che Andreina abbia mai fatto una cosa normale in vita sua?>>
Ignoro la sua battuta e sto per uscire di casa quando mia madre mi prende una mano <<Auguri per il tuo primo giorno di scuola, amore di mamma. E sta' attenta a tua sorella>>
<<Ok>>

Esco di casa ed entro in ascensore. Come avrete capito il mio nome è Andreina. È un nome che piace a molti, ma non credo che mi si addica. Mi spiego meglio: oggi è il primo giorno del mio secondo anno di liceo classico, quindi so che il mio nome in greco significa "coraggio". Ed io questo lo trovo abbastanza paradossale, dato che non mi sento assolutamente coraggiosa. Il mio cognome è Vinelli; come tutti ho il cognome di mio padre, ma lui è morto quand'ero piccola e i suoi parenti ci hanno voltato le spalle, quindi il fatto che io mi chiami Vinelli non è altro che una delle cose strane della vita. L'ascensore arriva al piano terra non appena Emma finisce di mettere il mascara. Io non mi trucco mai per andare a scuola, anche se ne avrei decisamente più bisogno della mia stupenda sorellina rompiscatole. Sono bassina, rotondetta, ho i capelli castani e lisci con un taglio a caschetto (senza la frangia, ovviamente, ma per chi mi avete presa?), il naso a patata, gli occhi marroni, le labbra sottili e la pelle chiara.

<<Oh, Andreina, non puoi immaginare come sono emozionata! Voglio dire, ti rendi conto che oggi è il mio primo giorno di liceo!? La mia vita cambierà, lo sento! E poi sono contenta del fatto che saremo nella stessa scuola. Potrai presentarmi i tuoi amici...>> dice Emma mentre ci dirigiamo verso la fermata. A parte la pelle chiara e le labbra sottili mia sorella è del tutto diversa da me, sia fisicamente che, come vedrete, caratterialmente. Emma è alta alta e magra magra, con due gambe lunghe lunghe e sottili sottili, così come il suo naso. Ha i capelli biondi e lisci che le arrivano fino infondo alla schiena e degli occhi meravigliosi. Non solo per il colore, quell'azzurro cielo di settembre che non si capisce da chi abbia preso in casa nostra, ma anche per lo sguardo. Quando quegli occhi guardano qualcuno, sembrano attraversargli il cuore portandolo a vedere più chiaro dentro di sé.

<<Se pensi che ti troverò un fidanzato, puoi scordartelo>> le rispondo ridacchiando. Facciamo la strada che io facevo tutti i giorni per prendere la metro. Il quartiere è immerso in un silenzio quasi irreale, interrotto solo dall'offuscato vociare delle poche persone per strada. Oh, ho dimenticato di dirvelo, anche se preferirei non dovervelo dire affatto perché non è una cosa che mi fa piacere: vivo in una palazzina popolare di otto piani in un quartiere della periferia di Roma, quartiere formato solo ed unicamente da altre palazzine popolari perfettamente uguali alla mia: tutte grosse, tutte alte, tutte grigie. Se mi affaccio alla finestra, vedo soltanto un'immensa distesa di cemento che fa tristezza di giorno e paura di notte. Scendiamo le scale che portano alla stazione della metropolitana ed io prendo la mano grande e perfettamente curata di Emma.

<<Stammi vicina, ok?>>
<<Ok, va bene. Quando fai così sei proprio uguale a mamma, sai?>>
Compriamo i biglietti (devo ricordarmi di fare l'abbonamento) ed arriviamo al binario. Mi giro nella direzione di Emma e la trovo con gli occhi fissi su un punto indefinito all'orizzonte. Attorno a noi ci sono molte persone, alcuni sono studenti, altri vanno a lavoro. L'anno scorso conoscevo a memoria le facce di tutti quelli che viaggiavano con me, anche perché poi li rivedevo tra i palazzoni del quartiere. Conoscevo i loro gesti, i loro sguardi. Sentivo con loro una sorta di fratellanza, e questa è solo un'altra delle cose strane che mi riguardano. Dopo qualche minuto, ecco arrivare tra il solito sferragliare il nostro treno. Afferro Emma per un braccio e mi fiondo dentro il vagone sperando di riuscire a prendere dei posti a sedere, dato che la strada non è breve. Purtroppo non ci riusciamo, così finiamo schiacciate tra una signora alta e corpulenta con tre bambini ugualmente alti (per la loro età) e corpulenti attaccati alle braccia ed un signore basso e barbuto che non stacca gli occhi dalle gambe di Emma. Comunque ho uno sguardo da vipera allenato sul campo per ogni evenienza. Le porte stanno per chiudersi quando, tra la testa della signora e quella di un prete pelato, vedo entrare velocemente un ragazzo. Si fa largo tra le persone fino a fermarsi proprio vicino al palo al quale siamo aggrappate io ed Emma. Mi accorgo che è decisamente bello. È alto, molto magro, ha i capelli biondi e dei bellissimi occhi azzurri. Con una mano si tiene al palo accanto a sé per non cadere. Se con me ci fosse Vanja (la mia migliore amica) sono sicura che ci scambieremmo uno sguardo d'intesa, ma visto che non c'è mi limito a guardarlo ogni tanto. Ad un certo punto, quando siamo già vicino alla scuola e il signore basso non è ancora sceso, sento una voce che indubbiamente si rivolge a me e ad Emma. Una voce che già mi piace tanto.

<<Scusate, voi andate al Liceo Classico?>>
<<Sì, comincerò il primo anno oggi>> gli risponde prontamente Emma
<<Io il secondo>> aggiungo io timidamente. Il ragazzo si rivolge a me ed esclama <<Ma no, anch'io! Come vi chiamate?>>
<<Io mi chiamo Emma, e lei è mia sorella Andreina>>
Lui fa passare il suo sguardo limpido da me a lei e poi si mette a ridere <<Scusate, è che proprio non vi somigliate! Comunque, avete dei nomi bellissimi. Se fossi un tipo che dice banalità, direi che sono due bellissimi nomi per due bellissime ragazze, ma non lo sono>>. Scrolla le spalle e io arrossisco dal collo all'attaccatura dei capelli. Dopo un po' la metropolitana si ferma e arriviamo alla fermata davanti alla scuola. Usciamo dal vagone e il ragazzo ci dice <<Facciamo la strada insieme?>>
<<Certo>> rispondo <<Tu come ti chiami?>>
Lui inizia a camminare piazzandosi tra me ed Emma e risponde <<Mi chiamo Ferdinando Giorgi, ma dalle persone simpatiche mi faccio chiamare Nando, quindi voi due chiamatemi così>> il passaggio dal buio della metro alla luce del sole mi dà un po' fastidio agli occhi, ma non tanto. C'era già molta luce, vicino a me.

La canzone di OfeliaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora