La ragazza

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Poche notti peggiori di quella nella mia vita: Morfeo non ne voleva proprio di venirmi a trovare ed io, dal canto mio, non gli consegnavo nemmeno l'indirizzo di casa. Anzi, se anche glielo avessi fornito, sarebbe stata un'informazione futile, dato che, dopo sette o otto rotolamenti nel materasso comodo non in base al materiale ma in base alla serata, uscii nuovamente per una passeggiata al fresco notturno. La cosa può sembrare normale, ma un insonne sa bene quanto dovrebbe dormire nel momento in cui non riesce a farlo, ed io non ero certo esente da questa forma mentis. La quiete del buio mi lasciava assaporare la pace dell'universo, quella strana sensazione epidermica di un velo di seta appoggiato lievemente su tutta la superficie corporea, che al freddo mantiene un dolce tepore e al caldo rinfresca la pelle grazie alla sua consistenza liscia e vellutata. Amavo quella sensazione. Mi faceva sentire protetto come quando, da piccolo, appoggiavo la testa sull' addome di mamma sdraiata al sole e lei mi accarezzava debolmente i capelli facendoli roteare tra le dita callose, come per scacciare i brutti pensieri mediante tanti piccoli turbini artificiali creati sul mio innocente capo. Oggi, i capelli me li accarezza L., mia moglie; penso che, dopo l'abbandono della madre, per tutta la vita se ne ricerchi invano l'essenza. Qualcuno rovista tra le donne, altri tra gli animali, altri ancora tra sostanze psicoattive, ma nessuna cosa eguaglia l'abbraccio di chi ci ha generati. Riflettevo e vagavo tra le tenebre delle due di notte. I miei pensieri non erano rivolti tanto ad M., quanto alle mie sensazioni: era stato tutto troppo calmo la sera antecedente, non avevo nemmeno pensato di chiamare aiuto. Che poi, aiuto per cosa? M. stava bene, così. Però sembrava strano. In situazioni simili, avevo sempre visto chiamare aiuto, ovunque. Che io fossi distante dalla consuetudine? Le domande divenivano sempre più fitte ed articolate, si generavano a catena come le bolle di schiuma in un lavandino chiuso nel quale sia stato messo del sapone prima di aprire il rubinetto. I quesiti, però, sembravano più lineari ed ordinati in posizione eretta. Il sovraccarico del cervello sembra maggiore da sdraiati, forse perché l'altezza impedisce l'arrivo di troppo sangue alla mente  quando si è in piedi e, quindi, alcune cose vengono eliminate in automatico dalla testa. Le mie gambe, però, nonostante l'afflusso gravitazionale di sangue, iniziavano a sentirsi stanche e, dopo un breve lasso di tempo, mi costrinsero a sedermi sulla panchina trasandata dove ero solito portare le ragazze con cui uscivo in quella giovane età prima di capire che, forse, sarebbe stato meglio portarle in qualche ristorante lussuoso, di quelli con candele, incenso e tutto il resto. Mi accasciai sul legno reso umido dalla nebbia penetrante e, automaticamente, chiusi gli occhi. Quanto fu bello dormire spontaneamente! Meno confortevole, invece, fu il risveglio forzato dall'alba delle cinque e mezza. La luce m'indusse ad avviarmi con passi pesanti verso casa, dove avrei ripreso il riposo. M'illumino di immenso un cazzo! Arrivato nel mio letto, ricominciai a rotolarmi esattamente da dove avevo terminato qualche ora prima. Quindi mi alzai, misi le pantofole, avviai la moka per un caffé e qualche minuto dopo la sentii brontolare come il grigio cielo della sera scorsa. Non sapevo ancora quale altro brontolio mi avrebbe atteso quella mattina. Probabilmente, se lo avessi saputo, mi sarei rintanato a mo' di eremita nella mia piccola camera. O forse no. In fondo, si impara più dai brontolii che dalle risate. Anzi, direi che le seconde spesso sono conseguenza dei primi. Nello stesso modo, dicono non possa esistere il bene senza il male, quindi perché no. Dopo aver fatto qualche pulizia in casa, la lasciai. Erano, approssimativamente, le otto e mezza di un mercoledì. Avevo deciso che non avrei studiato nemmeno quel giorno, dunque rimaneva solo da capire cosa avrei fatto per trascorrerlo. Neanche il tempo di varcare la soglia che intravidi L. passeggiare con il suo cagnolino. Ovviamente, ai tempi non era ancora mia moglie, avevamo solo un rapporto amichevole, forse non pienamente condiviso da entrambe le parti (specialmente dalla mia). Guardandola oggi, mi sembra quasi che la L. che vidi quel giorno io non sia mai riuscito a sposarla. Ricordo che, allora, i suoi capelli biondi ondeggiavano mossi da un venticello fresco che conservava ancora qualcosa dell'inverno trascorso, ma che non poteva competere con il calore sprigionato dalla ragazza, un calore più sentimentale che climatico, roba che non si può misurare, in tutti i sensi. L., onestamente, era una vera e propria simbiosi di opposti: la sua corporatura esile emanava una forza strepitosa, i suoi verdi occhietti innocenti avevano già rapito infiniti pensieri e la sua piccola bocca sembrava sbranare chiunque le si avvicinasse. Mi salutò con una manina così tenera che nemmeno il più audace giocatore avrebbe scommesso che la stessa mano avrebbe commesso, più avanti, qualcosa di poco innocente. In risposta, mi ero avvicinato a lei e l'avevo affiancata nel cammino per un tot di tempo necessario a parlare del più e del meno. Ovviamente, impazzivo per quella ragazza, ma ne ero felice, poiché sembrava che la mia pazzia fosse più che ricambiata: nessuno passerebbe del tempo con un matto, senza avere almeno un minimo interesse per lui. Tra una risposta e l'altra, arrivò l'istante dei saluti. Io, che di donne non ho mai capito nulla, pensai fosse arrivato il momento di fare presente il mio interesse ad L.. Mi avvicinai alla sua bocca, stavolta più velocemente di come mi ero avvicinato alla poltrona di M., forse perché qui le ipotesi non erano necessarie, e cercai di stampare un bacio su quelle labbra carnose che tanto mi avevano attratto. L., impaurita come se non mi conoscesse, si scansò velocemente, come un pugile che deve schivare un gancio, ed iniziò a bofonchiare cose che io mai compresi. In realtà, ero rimasto talmente spiazzato da ciò che era successo che il mio cervello si era come spento per qualche minuto, ogni tanto, però, si riaccendeva e sentiva qualche spezzone di frase. "Non me lo sarei mai aspettata". "Hai tradito la nostra amicizia". "Sei un idiota!". Insomma, avrei preferito non sentire nemmeno quelle parole, talmente mi parevano senza senso. Ad ogni modo, mi allontanai da L. che lei stava ancora discorrendo di quanto fosse stato cattivo ed egoista il mio gesto. Cattivo ed egoista io, che l'amavo! Non le capirò mai le ragazze. Se penso che poi, qualche mese più tardi, fu proprio L. a venire da me e baciarmi nonostante io non mi fossi più fatto sentire per tutto quel tempo, capisco che ragioniamo davvero su frequenze diverse. Anche quel fatto avvenne in modo aleatorio: mi trovavo alla classica festa del paese con un paio di amici, di quelle in cui si arriva verso le otto e mezza di sera e fino a mezzanotte non si sa che fare, se non ridere e scherzare con il sottofondo musicale di qualche band emergente e l'odore di carne alla griglia. L. mi vide e iniziò ad avvicinarsi. Io, subito, capii che era giunto il momento di un'altra ramanzina, tanto che tentai di andarmene, anche perché mi stavo veramente annoiando in mezzo a tutto quel trambusto. Lei, invece, mi fermò, mi guardò negli occhi e, senza dire nulla, si alzò sulle punte, afferò il mio viso con le sue piccole mani e mi accarezzò le labbra con le sue. Non so ancora per quale motivo rimasi inerte ed accettai quel bacio. So solo che, da quel momento, senza un vero motivo (o almeno per me), tutto con L. andò per il verso giusto, anche se non mi sembrava più la ragazza che tanto mi aveva attratto qualche mese prima, forse perché ora l'avevo tutta per me.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 12, 2017 ⏰

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