1.
Mi chiedo come faccia tu a stare bene con me, scappo la maggior parte delle volte e quelle poche che torno è perché tu ormai hai smesso di farlo, ed io con la solitudine ancora non ho fatto pace, ma credo non sia solo questo il motivo, quello che mi senti dire non rispecchia mai le tue tante parole che circolano nella metropoli che hai in testa, questo lo so, ma probabilmente io ho 2 metropoli e tante altre paranoie e tante paure, ciò che ho nelle mie emozioni te lo trasmetto con parole inadeguate, appese a qualche frase detta così, l'unica cosa che riesco a dirti, è come ti vedo nella mia incasinata vita, per me sei quella luce che tengo accesa quando la casa è sola con me, le mie paure si calmano, la solitudine avverte compagnia e addirittura riesco a a far assomigliare ad un pensiero positivo le mie incolmabili insicurezze.
La luce della mattina in quella stanza è la parte che preferisco anche se è la stessa che mi ha calmato qualche ora prima, ma essa riesce a ricoprire anche un altro ruolo oltre a quello della notte, mi allontana dai miei rumori che non perdono tempo disturbandomi appena sveglia, tutto questo accade riuscendo ad immaginarti dentro la stanza con le braccia allargate, pronte a tenermi dentro quando arriverò nervosa come capita spesso.
Era una mattina fredda e come al solito mi svegliai da sola dentro casa, nessun biglietto mi diede questa notizia, lo capii come ogni giorno, chiamandoti ma già avevi lasciato il tuo profumo disperso vicino la porta, mi alzai per assaporarne l'essenza e mi sedetti perdendo almeno un quarto d'ora seduta sul pavimento, al che decisi di alzarmi e prepararmi e come ogni giorno, si fa per dire, corsi per andare a scuola, con lo zaino pesante e la testa più di lui.
Mi sembrava una giornata come tutte le altre,
rituale del profumo fatto, porta di casa chiusa, il buongiorno detto al titolare sotto casa mia, tutto come al solito, non notai qualcosa di diverso in particolare, ma comunque la giornata era appena iniziata.
Arrivai a scuola ed anche qua stesso atteggiamento appoggiata su quel muro della mia classe mentre tutto mi passava sulla mia sinistra, dietro e davanti a gli occhi tutto mi scorreva ed io scorrevo i secondi della mia vita, perdendone molti. Quella mattina, era l'1 dicembre e pioveva, quale migliore occasione potevo trovare per distrarmi maggiormente in classe.
Quando terminarono le lezioni, mi fermai 5 minuti a parlare con un professore, mi notò sicuramente mentre camminavo lentamente e gli altri più velocemente, mi disse: vorresti rimanere altri minuti qua a scuola, risposi si, mi guardò e rise, lo guardai e girai le spalle e prosegui verso l'uscita dalla scuola, al che mi recai in una direzione diversa dalla solita che prendevo per andare a casa, ma lo stesso sarei arrivata, addirittura anche in anticipo, è la strada che prendo quando ho bisogno di andare in bagno e soprattutto quando non c'è nessuno che fa strada con me, arrivo in meno di dieci minuti a casa. Mentre percorrevo la strada del bagno, ormai possiamo anche soprannominarla così, mi ricordai di essermi dimenticata le chiavi di casa dei miei nonni sopra il banco, e mi domandai perché le avessi posate li, mi risposi però molte ore dopo.
Finalmente arrivai e vidi il portone di casa e dissi: ah è aperto, meglio, spero sia sia già a casa pensai e dopo qualche secondo iniziai a salire di corsa, ma fui fermata da due signori, con in mano una bara, mi dissero che non avessi neanche lo spazio di superarli e mi domandai chissà a che piano andassero e per quanto avrei dovuti sopportarli, allora abbassai lo sguardo e inizia a salire lentamente dietro di loro, questo momento mi trasmise un senso di vomito e allora per distrarmi iniziai a contare quei trenta gradini che separavano il portone dalla porta di casa, arrivata al venticinquesimo uno dei due signori disse: eccoci questa è la porta, i miei occhi fecero un salto sulla porta dei mie nonni e vidi che era aperta, sali gli ultimi cinque gradini, ci fermammo e vidi alla fine della bara mia madre, mentre la bara entrava accarezzando l'arco della porta e corsi verso mia madre, ricordo che mi disse: tuo padre ti era venuta a prendere, al solito posto, li realizzai che questa giornata dovevo notarla di più, è stata una giornata veramente strana.
Mentre si faceva sera, pensai alle chiavi dimenticate sul banco e mi risposi che le cose importanti non vanno dimenticate ovunque, anche se ci sarà qualcuno che rimedierà alle tue dimenticanze, ma non funziona così il più delle volte, non bisogna ricordarsi delle cose ma soprattutto delle persone ad intermittenza, dopo questa riflessione, mi venne in mente mia madre che era già da circa tre mesi che quando mi passava a prendere dai nonni non saliva mai a salutare, perché era troppo presa dal lavoro e dalla stanchezza.
Lei quella sera mi disse: che avrebbe potuto dedicare anche 5 minuti salando da mio nonno, mentre mi continuava a raccontare di lui, le chiesi se fosse cambiato qualcosa, non mi rispose, e pensai che il treno per lui con a bordo il tempo è passato così tante volte che alla fine ti ha lasciato alla fermata con il rimpianto mentre lui adesso non soffre e non si sofferma più.
Iniziai a fare caso all'assenza di mio padre, anche oggi qualcosa ha evitato di farci incontrare.
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Le mie stazioni
General FictionSono brevi storie della mia vita, ognuna ha un introduzione, anche essa dettagliata.