Caio Valerio Catullo, il tutto e la poesia

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Delle cose che ami troppo ti è difficile parlare. E allora lui, Catullo, l'ho lasciato per un po' dopo, nella mia galleria di ritratti. Del resto, si sa, in teatro non accade mai che la primadonna entri in scena subito, appena il sipario s'è alzato.

E Catullo è più che una primadonna: è uno di quelli che, da soli, riempiono un palco, un teatro, una vita. Ci sono poeti che leggi, e poeti che fai tuoi. Catullo è così: ti travolge, ti afferra, ti piglia per i capelli e ti scuote. Puoi amarlo alla follia, o, a tratti, odiarlo e ritrartene schifata, ma quando lo leggi, ti sembra sempre che sia lì accanto a te, che ti sussurri o ti urli i suoi versi standoti di fronte. In un'epoca di esangui mezze calzette come la nostra, in cui i contemporanei paiono fantasmi, lui, che fantasma è da secoli, te lo vedi di fronte, puoi toccarlo, sentirlo respirare. Non è solo un poeta, è un uomo: forse è per questo che è poeta davvero.

Quando te lo spiegano, a scuola, la chiosa obbligata è "poeta maledetto". Sono quei riflessi condizionati della letteratura, per cui Virgilio è pietoso, Orazio pieno di bonomia, Ovidio uno scapricciatello un po' sventato. E Catullo, vivaddio, Catullo, giovane e sanguigno, amante sventurato d'una donna di facili costumi, non può che essere "maledetto", come i laghi son blu e gli uccelli cinguettano: Catullo è maledetto come Leopardi è gobbo.

Ma ridurlo ad una definizione così stretta è come dire che Dante era uno che immagina un viaggio di tre giorni. Catullo è maledetto quanto è dolcissimo, passionale, beffardo, melanconico, atroce. É la vertigine del tutto, l'onda che ti annega, ma è capace anche di sospingerti lieve sulla spiaggia, carezzandoti mentre ti porta in salvo.

Trent'anni. A pensare che ne aveva tanti, quando probabilmente morì consumato dalla tisi, la tentazione di liquidare la sua passione come frutto dell'età è forte. Era giovane, ed era innamorato d'una donna che tanto amore non lo meritava neppure, qualunque cosa voglia poi dire meritarsi l'amore di qualcuno, che anche su questo si potrebbero scrivere poemi e trattati. Ma ad ascoltarlo, se uno si prende davvero a briga di leggerlo senza il filtro degli schemi preconcetti, ci si rende subito conto che Catullo è un prisma dai mille volti, e tutti cangianti, un cristallo dalle infinite sfaccettature.

Lesbia, la Lesbia che amò sopra ogni cosa, è solo una faccia: ma ciò che ci affascina, nel sentirlo parlare di lei, non è lei, in fondo, ma la capacità di ritrarre con tanti piccoli tratti diversi di penna il tumulto infinito e contraddittorio dell'amore. L'odio, la dolcezza, il risentimento e l'invidia bruta, la tenerezza estenuante che fa sentire ogni piccolo gesto come un regalo del cielo e la furia astiosa che gode nel distruggere ogni ricordo felice, una volta che diventa, appunto, un ricordo passato destinato a non tornare più.

Era un passionale, Catullo? Certo, in grado sommo. Proprio per questo riusciva talvolta a non esserlo affatto secondo la banalità del canone comune, perché noi, che siamo anime piccine, identifichiamo la passione nel grande gesto, nel freno che si rompe, nel fuoco d'artificio; e invece la passione è anche quella cosa che sa covare sotto la cenere, notare le piccole cose, trasformarle in immense; soffrire biecamente, senza speranza, quando non ci sono più.

La Roma di Catullo è così, a ben guardare: fatta di piccole cose. Una capitale del mondo che però è una somma di minuzie, alle volte delicatissime, alle volte sordide, altre ridicole e insulse. Un mosaico iridescente, composto di vecchi tromboni, poetastri pieni di sé, inutili ricchi e amici che si ritrovano la sera ad osservare, desolati, un borsellino ripieno di ragnatele; di compagni amatissimi e nemici che si dileggiano nei modi più turpi ed offensivi, senza provare il minimo imbarazzo o vergogna, ché la ipocrita carità cristiana è di là da venire, e, in ogni caso, simili figuri non la meriterebbero.

Catullo, in questo magma di sentimenti, di persone, di odori, vive e sguazza. Ci è dentro, ma anche fuori, perché quello che ti affascina di lui, quello che gli impedisce – e non è facile – di cadere nel pericolo sempre incombente del maledettismo di maniera è la sua bravura nello spiazzarti, stupirti, nel mantenere sempre, anche nei momenti peggiori, una disarmante sincerità e, allo stesso tempo, la sua capacità di estraniarsi e guardarsi dall'esterno, di mantenere una distanza: di scriversi e nel medesimo istante osservarsi, come se anche lui fosse un personaggio del mondo che ritrae e assieme crea.

Non ha indulgenze per gli altri, Catullo, nel dissezionarne i vizi e le manie, i tradimenti, le contraddizioni, ma non ne ha neppure per se stesso: scrive con furia di una società in cui tutti sono capaci di tutto, e lui lo è per primo. Un mondo in cui amore può voler dire amare una donna fino a morirne, ma anche scoparsene tante di cui non si ricorda il volto, o il nome; un mondo in cui cerca l'immortalità anche chi sa, anzi è strenuamente convinto, che nulla di simile esista; in cui la vita si riduce al momento che non tornerà mai più, eppure si combatte per rendere quel momento eterno attraverso la poesia; un mondo in cui tutto, i giuramenti degli amanti, gli attimi di passione, i sentimenti sono scritti sull'acqua e passano, passano, passano, venendo presto scordati, ma si vuol credere, si deve credere, invece, che saranno, e per sempre, fissati nei versi.

Catullo è tutto, qualche volta è persino troppo, perché il suo tutto non può che comprendere, anche, l'essere eccessivo. Va agli estremi, scientemente decide di diventare, quando serve, urticante, disgustoso, orribile. Se il poeta canta la vita, la canta in ogni suo aspetto. Per questo, fra i tanti poeti, sia romani che successivi, Catullo è e continua ad essere scomodo. Perché non ti lascia tregua, non ti lascia speranza: ti sbatte in faccia ciò che sei e ciò che è, senza uno sconto, senza un abbellimento: amore, sesso, sangue, sentimento, politica, merda. Non è un moralista da operetta, di quelli che godono a brontolare perché devono far sapere che sono migliori del tempo in cui si trovano ad essere imprigionati: lui non si sente migliore, anzi, mostra che migliore non è nessuno, mai. Che la realtà è un impasto di tutto, un fango in cui ogni cosa e il suo contrario si mischia, e non esiste niente di puro. Perché ogni purezza pretesa nasconde sotto una superficie levigata l'immancabile contraddizione, e ciascuno di noi è sospeso, solo, nel suo attimo, in mezzo al buio, che lo attende e lo inghiottirà, come un immutabile destino.

Non ci sono scappatoie, non ci sono alternative, e non ci sono neppure possibili scuse: tutto passa, passa, passa, ed è destinato a passare nell'infinito tornare del cosmo. Quel cosmo eterno in cui noi siamo piccoli granelli dispersi destinati a sperderci sempre più, perché soles occidere ac redire possunt; nobis, cum semel occidit brevis lux, nox est perpetua una dormienda. E questo è quanto.

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⏰ Ultimo aggiornamento: May 07, 2023 ⏰

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