Notte 2: Sadica

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Il buio mi circonda.
Non capisco se guardo in alto o in basso, a destra o a sinistra.
Lo spazio in cui mi trovo inizia ad illuminarsi rivelando una stanza, e la prima cosa che noto é un trono non eccessivamente grande, pieno di cuscini color bordeaux e una persona davanti ad esso: sono io.
Riesco a vedermi sempre più da vicino: un vestito lungo e di un rosso acceso contorna le mie forme, sfumando verso il nero, così come anche il mio trucco e il lungo strascico che parte dai miei capelli, legati meravigliosamente.
Un grande anello verde valorizza le mie mani, pallide quanto tutto il resto della mia pelle.
Inizio a vedere la scena in prima persona, ritrovandomi di fronte a un colonnato scuro soffocato dall'edera, che decora ogni singolo pilastro e scende lungo di essi fino al pavimento.
Due individui compaiono dall'ombra e si inchinano a me. Sento come se conoscessi i loro nomi da sempre.
Non mi muovo.
Il primo dei due fratelli si alza: è il maggiore. Lo vedo chiaramente in viso: una cicatrice obliqua percorre il suo volto da una parte all'altra.
Di lui vedo poi solo la mano, che stringe il mantello per tenerlo chiuso, coprendosi così completamente.
Sul dorso della mano vedo spuntare quello che sembra un simbolo: ha una forma circolare con altri dettagli, ma è troppo lontano per vederlo bene.
Inizia a parlarmi, come se fosse sottomesso a me. Benché mi senta lodata, percepisco che una parte di me lo teme.
Mi parla del regno, del mio regno.
Di come ho governato, a suo parere magnificamente.
Il fratello minore invece, ancora inchinato, alza la testa per guardarmi: i suoi occhi sembrano quelli del demonio.
Il maggiore mi si avvicina e, incrociando il suo braccio con il mio, mi conduce verso una delle finestre da cui entra luce.
Un arco a sesto acuto con una vetrata trasparente, è la finestra sul mio regno. Un luogo stupendo: guardando l'orizzonte si riesce a vedere il cielo rosso rubino e gli alberi tinti di colori caldi, tipici della stagione.
Mi convince a sporgermi per provare a vedere sotto il castello: provo piacere e soddisfazione, quando il mio sguardo si posa su una distesa di corpi.
Riprendo a vedere dall'esterno: cammino sul suolo, e guardo verso il palazzo dove una me, fiera di sé stessa, si crogliola nella sua superioritá e nel suo godimento, guardando la scena dall'alto, col sorriso di chi è riuscito a creare qualcosa di perfetto.
Mi lascio alle spalle il castello, e percorro le vie del bosco, che dall'alto, con i colori dell'autunno, sembrava meraviglioso.
Vedo pezzi di carne, ossa e sangue, di cui ogni singola foglia è macchiata. Sul tronco degli alberi ci sono segni lasciati da persone sofferenti, solchi fatti con le unghie che ancora vi sono incastrate.
Gente morta da poco, e gente ormai putrefatta.
Gente scuoiata che sembra respirare ancora.
Regna il silenzio, anche il vento dorme sulla distesa di desolazione e morte che mi circonda. Gli unici rumori che riesco a cogliere sono quelli prodotti dai miei passi, e il leggero suono sordo delle gocce di sangue che cadono al suolo.
Proseguendo, noto dei cadaveri dilaniati da corvi che ancora si stanno cibando dei loro resti: vedo uno di loro nello stesso istante in cui preme un occhio azzurro e ormai vitreo con il becco, bevendone i liquidi viscosi e ingoiandolo, famelico.
Riprendo a vedere in prima persona.
Mi disgusta essere me; sento le lacrime che stanno per scendere, quando il maggiore dei fratelli si inchina, proponendomi un matrimonio da celebrare lungo quella distesa di corpi.
Vorrei rifiutare ma non sono io a scegliere. Gli porgo la mano, aspettando di ricevere l'anello e immaginando l'abito di velluto bianco e leggero che, passando sui cadaveri come ad accarezzarli, si sarebbe imbevuto in quel sangue denso e maleodorante.
Il minore dei due si alza e mi si avvicina, aprendo la bocca come a volermi dire qualcosa.
Tutto si fa buio, lentamente, prima che possa sentire le sue parole.

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