Capitolo tre

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Louis

Non ci pensai nemmeno, mi gettai soltanto su di lei con le braccia aperte e la sbattei a terra con violenza. La pistola rotolò sotto al letto e quando lei tentò di riprenderla conficcai il secondo coltello che avevo trovato sotto al comodino nel palmo della sua mano, la lama affondò in modo liscio e diretto nella sua carne, facendo schizzare gocce di sangue sul suo polso e sulla mia mano stretta a pugno, sentii la punta del coltello toccare il pavimento mentre lei urlava di dolore.

"Puttana! Sei soltanto una puttana!" gemetti girando il manico del coltello di novanta gradi, la sua carne cominciò a lacerarsi e la ferita si aprì maggiormente. Ripetei l'azione più volte, fino a che i contorni della ferita non si fecero violacei e seghettati, fino a che la sua mano non diventò qualcosa di rosso, grumoso e palesemente inutile, come il resto del suo corpo, come lei.

Mi tirò un pugno dritto sul mento, facendomi voltare il viso, il colpo mi stordì per qualche secondo, il tempo necessario per lei a rialzarsi e correre fuori dalla stanza.

"Ti uccido! Ti uccido a mani nude!" urlai rincorrendola per tutto il perimetro del salotto. La rabbia cominciava a ribollirmi nelle vene, increspando la superficie piatta dell'acqua sotto alla quale mi nascondevo, ed i miei sensi si amplificarono, ed i miei pensieri divennero solo un brusio sommesso. 

Tutto quello che avevo in mente e negli occhi era la morte.

Densa, nera, calda, anzi, rovente. E mi accecava con la sua oscurità.

"Dove ti sei nascosta?" cantilenai spingendomi da una parete all'altra con degli scatti convulsi delle gambe, un'impronta rossa sul pianoforte mi fece sogghignare, avanzai lentamente verso la ragazza rannicchiata a terra, mentre sentivo un'ondata di piacere riempirmi il ventre.

Mi guardò con occhi implorati, che cercavano una via d'uscita. Credetti che in quel momento lei mi stesse guardando dal fondo di un pozzo, perché il suo sguardo sembrava terribilmente lontano.

Afferrai una statuetta a forma di piramide impolverata posata sul piano.

"E' bella." constatai rigirandomela tra le mani. Conficcai la punta nel mio mio pollice, senza però lasciare che mi stracciasse la pelle, solo per stuzzicare i miei nervi, per eccitarmi di più.

"L'ho presa in Egitto." disse con lo stesso tono che stava usando pochi minuti prima, mentre conversavamo seduti in cucina.

Giro la statuetta e non posso fare a meno di ridere.

"Che stronza." dissi passando un dito sulla scritta incisa sulla base, una brutta copia fatta in Taiwan. Mi chinai lentamente su di lei, fino a che il mio naso non sfiorò il suo.

"Non avresti mai dovuto invitarmi qui, mai."sibilai scandendo la frase parola per parola. 

Ci guardammo a lungo. I nostri occhi  scavavano in profondità in quelli dell'altro.

Eccitazione nella paura, paura nell'eccitazione. 

Anche con la costante ed opprimente presenza di Harry dietro di me lo feci, alzai la statuetta in alto, sopra alla mia fronte, un angolo sfiorò i miei capelli, e gliela conficcai dritta nell'occhio.

Una volta, poi due, poi tre, fino a quando non persi il conto e mi resi conto che stavo urlando, piangendo il nome di Harry, poi sussurrandolo, e poi di nuovo urlandolo.

E non smisi di farlo fino a che non mi cinse le spalle e posò la sua guancia fresca contro la mia, rovente.  

"E' finita, Lou. Non c'è più, è andata." mi sussurrò dolcemente dopo aver premuto piano le labbra sul mio zigomo.

Bleeding Out [Larry Stylinson]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora