Quando Sam salì in camera mia quella sera feci finta di non vederlo per un po', sperando che se ne sarebbe andato prima di accorgersi che stavo piangendo. Purtroppo non lo fece. Rimase in silenzio a fissarmi, sentivo il suo sguardo sulla mia schiena nuda, coperta solo da un lenzuolo. Il caldo che provavo costantemente mi costringeva e restare quasi sempre solo con addosso dei pantaloncini di stoffa e il reggiseno. I secondi si sciolsero in minuti. "Smettila." La sua voce non era mai stata così dura con me, e arrivò come un proiettile sulla pelle, scivolando fin dentro le ossa. Era l'ultima cosa che mi sarei aspettata sentire dire da mio fratello. Sempre così dolce e premuroso. Sempre così solare. Mi girai lentamente. Non riuscii a metterlo a fuoco, avevo la vista ancora appannata dalle lacrime, e forse fu questo che fece montare la rabbia dentro di me. Mi tirai su a sedere, lentamente, cercando di ignorare il bruciore della pelle e provando, inutilmente, a smettere di piangere. Il dolore che provavo fisicamente, come se avessi dentro di me una bomba che stesse per esplodere, a quel dolore, ormai, mi ero abituata da settimane. Ma il dolore che avevo provato quando avevo sentito la voce tagliente di Sam fendere il silenzio e colpirmi, a quel dolore, ero del tutto nuova. Avrei voluto parlare, forse, chiedergli cosa dovessi smettere di fare, o forse ridergli sarcasticamente in faccia, ma non riuscii.
"Smettila" ripetè, più forte. Una volta, avevo dieci anni, un uomo aveva portato da mio padre il suo cane, che aveva la rabbia e aveva ucciso il suo figlio più piccolo, perché lo abbattesse. Succedevano abbastanza spesso cose di questo genere, perché in pochi potevano permettersi una cura per un cane o l'iniezione letale da un veterinario, e mio padre vendeva e fabbricava pistole e fucili di ogni genere. Mi aveva insegnato fin da piccola a usare le armi da fuoco "In un periodo pericoloso come questo non fa mai male saper usare una pistola." Diceva sempre. Quando serviva, mio padre, sapeva essere senza pietà. Il giorno che quell'uomo portò il suo cane, stavo nell'officina di mio padre per aiutarlo. Era un labrador, il pelo ritto sulla schiena e gli occhi vuoti. Sapevo che cose del genere succedevano ma non ero mai stata presente a nessuna. Mio padre aveva preso il cane e lo aveva portato nel retro della bottega. Lo avevo pregato di non ucciderlo, in lacrime, mentre gli occhi vuoti del cane mi fissavano senza emozioni, se non il rancore. Mio padre si era arrabbiato. Aveva detto che un cane con la rabbia non è più un cane, ma una macchina da guerra che non guarda in faccia nessuno. Quando avevo insistito ancora e ancora, aveva dato la pistola a me. "O lo uccidi tu, o lui ucciderà te e tutti quelli che incontrerà. " Mi aveva detto. Mi ci erano volute tre ore per sparare. Il cane era legato stretto con delle catene di ferro al muro e aveva una museruola, ma cercava lo stesso di liberarsi, ringhiando, la saliva gli colava dalla bocca, e i denti gli brillavano dietro la museruola. Mi ero chiesta moltissime volte come si fosse sentito in quel momento. Ora mi sentivo un po' come quel cane. In trappola. Consapevole di essere io stessa la causa di quello che mi stava succedendo, ma senza essere capace di ammetterlo, e senza essere capace di provare pietà per nessuno, solo rancore."Hai spaventato Katy." Sam incrociò le braccia sul petto, e si appoggiò alla porta dietro di lui. "E stai spaventando anche me." Mi alzai dal letto e mi avvicinai a lui, sperando di riuscire a mettere a fuoco il suo viso tra le lacrime, senza riuscirsi. Sapevo che solamente le lacrime che mi scorrevano sulle guance tradivano le mie emozione. Il mio viso era serio, impassibile. Feci un passo verso di lui, l'unica cosa che volevo era un suo abbraccio, il suo conforto, ma non riuscivo a chiederli. Così continuai freddamente ad avvicinarmi. "Dovresti ascoltare nostra madre e pensare a proteggermi invece di darmi contro." Non avrei voluto sibilare quelle parole con odio, ma fu così che mi uscirono dalla bocca. Mi avvicinai ancora di più a mio fratello, dovevo tenere la testa alzata per guardarlo negli occhi, tanto gli ero vicino, e mi sembrava di avvicinarmi troppo a uno sconosciuto. Il dolore che provavo con il calore del mio corpo si tramutava in rabbia; rabbia ceca verso tutti e tutto. "A me sembra che siamo noi a doverci proteggere da te." Un altro proiettile. Aveva sibilato anche lui, la voce bassa rabbiosa. Quella frase fu la peggiore. Mio fratello, che avevo sempre protetto, che avevo sempre difeso e rassicurato, si sentiva messo in pericolo da me. Cosa aveva visto in me di così diverso dal solito? Cosa avevo fatto di così grave da spaventarlo? Io volevo solo essere trattata come al solito, essere messa in riga dai miei genitori come era sempre stato. Quando avevo superato il limite di sopportazione? Perché Sam che interpretava sempre nel modo giusto i miei atteggiamenti non riusciva a capirmi? Perché non riuscivo a chiedergli scusa? Io volevo solo la normalità. Mi sentivo di fuoco, la mia pelle ardeva, come se percepisse la mia rabbia e il mio dolore e cercasse di espellerlo. "Sembra quasi che tu stia cercando di distruggere questa famiglia." L'amaro che colava da queste parole lo sentii quasi scorrermi addosso, bruciante come un acido. Perché non capiva? "Fuori!" Urlai. Non capiva. Sam sgranò gli occhi, immobile. "Ho detto fuori" urlai ancora più forte. La rabbia che provavo cresceva e cresceva senza controllo, senza limiti. Nelle mie vene sentivo il sangue bollire. "Smettila." Ripetè Sam. Sentii un'altra lacrima scorrermi sulla guancia e un calore bruciante addosso, poi vuoto; niente. Non ero più nella mia camera. Ero al buio. E al caldo. Il buio più totale e quel calore enorme che sembrava cullarmi e allo stesso tempo torturarmi.
Buio e caldo.
Il buio più nero, più spaventoso e il fuoco più caldo e pericoloso.
Inferno.
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Fiamma
FantasySiamo in un piccolo paese di contadini, un secolo dopo la terza guerra mondiale. Zoe è stata educata ad odiare l'impero, che, come dice lei stessa, pensa solamente al bene del sangue blu. Purtroppo la parte tranquilla del mondo della ragazza è desti...