Questo capitolo lo dedico
a Mykonos.
Che finalmente si leva dalle palle.Paolo non sa come comportarsi.
Da nessuna parte, tra tutte le istruzioni che ha avuto dalla vita, ha trovato scritto cosa deve fare un bambino di tredici anni quando il padre lascia lui, sua madre e il fratellino di nove anni.
Ha provato a lasciar perdere, ma già troppe volte si è ritrovato il corpicino di Mario tremante tra le braccia, le sue lacrime sulla maglietta del pigiama, le dita appigliate alle sue lenzuola.
Ha provato a ripetere a se stesso che non sono cose che lo riguardano, ma Mario non riesce più a mangiare, a dormire, a giocare a calcio. Non vuole alzarsi la mattina per andare a scuola, non vuole andare al parco, odia i cartoni animati.
Perciò lo riguarda. Riguarda Mario, e riguarda lui. Perché anche lui si sente abbandonato, e d'altronde come potrebbe non farlo?
Suo padre li ha abbandonati.
Ha preparato una sola valigia nel cuore della notte ed è sparito. Senza lasciare un biglietto, una nota, un segno. Niente di niente.
Sua madre ha pianto per giorni, dopo quella notte. E poi non ha pianto mai più. Si è rimboccata le maniche, ha preso i figli e li ha portati al Lunapark. Una giornata meravigliosa. Mario ancora non sapeva che suo padre non sarebbe più tornato, ma erano passati solo pochi giorni e non se ne preoccupava.
Ora di giorni ne sono passati cinquantaquattro e Mario ancora aspetta. Paolo non ha il coraggio di dirgli che suo padre non tornerà. Sua madre continua a ripetere che non deve necessariamente saperlo subito, e a lui va bene – perché così non deve prendersi la responsabilità di deluderlo.
Paolo è così arrabbiato, in ogni momento della sua giornata. Claudio non sa più come gestirlo e lui si rende conto di essere insopportabile, ma non può farci niente. Quando ci pensa un po' più del dovuto e stringe i pugni davanti a sé, spesso si ritrova con otto mezzelune rosse disegnate nell'incavo delle mani. Non sente neanche il dolore.
Non sa come riuscire a superare un trauma che sa di non aver subito. A lui non importa di suo padre. Non gli importa sapere perché l'ha fatto, quando lo ha deciso, se ha pianto rendendosi conto di aver abbandonato i suoi figli.
Non gli interessa niente di niente.
Ma a Mario interessa eccome. E così Paolo non riesce a lasciar perdere.
***
"Paolo, sei sicuro di quello che fai?"
Paolo si tortura l'interno della bocca mordendolo coi denti. Rimane in silenzio qualche secondo, prima di girarsi verso l'amico e sorridere dolcemente.
"Te l'ho già detto, sono anni che ci penso. Sono sicuro"
Claudio annuisce piano, mentre guarda l'amico che si avvicina allo sportello. Mario, accanto a lui, non parla. Ha gli occhi chiusi, rivolti verso il pavimento. Si morde il labbro inferiore con violenza, fino a farlo sanguinare tra i denti.
Claudio lo guarda e non può fare a meno di sentire una morsa che gli stringe il cuore. Odia così tanto la persona che l'ha reso così. Così insicuro, così cupo, riservato. Claudio ogni tanto lo osserva anche a scuola. Non parla quasi mai, fa fatica a socializzare, non si fida di nessuno. Da quando suo padre se n'è andato, Mario ha perso quasi tutta l'allegria che lo caratterizzava e lo rendeva uno dei bambini più solari che avesse mai visto. E a Claudio manca il fiato se ci pensa anche solo per un secondo.
"Cosa c'è?"
La voce di Mario è dolce. Lo sta guardando con gli occhi neri spalancati e il labbro inferiore ancora stretto tra i denti. Sembra sul punto di piangere. Claudio scuote leggermente la testa e sorride, prima di allungare una mano e posargliela sul mento. Col pollice gli libera delicatamente il labbro dai denti e glielo accarezza nel punto in cui si è arrossato.
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Vorrei, vorrei
FanficMario ha un fratello, Paolo. E Paolo ha un migliore amico, Claudio. E se crescere tutti insieme era già un gran casino, come pensate che sia tutto il resto?