Apro lentamente gli occhi, per poi rinchiuderli dopo un secondo o due. Ho freddo, sto tremando. Sento qualcosa di gelido e leggermente bagnato che mi cade dolcemente sul viso, senza farmi male. Mi decido finalmente ad aprire gli occhi una volta per tutte. Davanti a me, si estende un'infinito cielo mattutino, dipinto dei classici toni dell'alba e riempito di nuvole bianche, dalle quali cadono migliaia di fiocchi di neve.
Solo ora mi rendo conto di essere disteso sull'asfalto. Mi metto a sedere, per poi guardarmi intorno per capire dove mi trovo. Una strada nel bel mezzo del nulla. Una semplice striscia d'asfalto in una landa deserta ricoperta di neve. Poso lo sguardo sulle mie mani, sopra le quali si sono posati moltissimi fiocchi di neve. Mi guardo nuovamente intorno, rendendomi conto che non sono più nel nulla. La strada è delineata da una serie infinita di case, posizionate una accanto all'altra.
Mi alzo e percorrendo la strada innevata mi ritrovo davanti ad una casa. Quella casa. Mi fa strano essere davanti a quella che, dalla mia infazia alla mia prima adolescenza, è stato il posto che più ho amato e odiato allo stesso tempo. Vedo il tetto decorato dalla neve che sta cadendo (e che probabilmente è caduta durante la notte), le mura e le finestre prive d decori natalizi, al contrario delle altre abitazioni intorno.
Mi ritrovo davanti al patio completamente spoglio quando sento un improvviso rumore di vetri rotti, delle urla maschili e un rumore di passi frettolosi e decisi. Quella combinazione di suoni mi riportò indietro nel tempo.
Era il giorno di Natale del 1990, ed io avevo compiuto i miei sette anni da appena una decina di giorni. Proprio come mi aspettavo, dalla porta dell'abitazione escono due bambini. Il più piccolo è infagottato in un giubbotto blu di almeno due taglie più grandi di lui e al collo ha una sciarpa del medesimo colore del giubbotto, sulla quale sono disegnati dei piccoli pinguini e delle renne color cappuccino.
Sorrido, guardando quel che ero oltre vent'anni fa. Il mio sguardo si posa sull'altro ragazzino, il quale aveva infilato un cappello blu in testa al fratellino. Sento gli occhi inumidirsi non appena lo guardo. Era esattamente come me lo ricordavo, in tutti i minimi particolari. Gli occhi color cioccolato, il naso appena all'insù e quel sorriso finto che usava come scudo. Sorrideva nonostante tutto, soltanto per non farmi soffrire come faceva lui. Aveva appena due anni più di me, ma dimostrava una maturità assurda, che in un semplice bambino di nove anni non potevi trovare.
- Anthony, a papà non piace il Natale? - domanda innocentemente il piccolo al fratello, mentre quest'ultimo lo prende per mano.
- Non molto. - sospira il più grande. - Però a me piace, possiamo festeggiare io e te! Ti porto ovunque tu voglia andare! -
- Dici davvero? - esclama il minore, guardando suo fratello con gli occhi colmi di gioia.
Il più grande gli sorride dolcemente, per poi stringere ancora di più la sua mano, senza fargli male. - Sì, Ronnie. Dico davvero. -
Cado in ginocchio, mentre combatto contro le mie stesse lacrime. Io mi ricordo. Ricordo tutto. Ricordo nostro padre che, ubriaco marcio come al solito nonostante fossero a stento le otto di mattina, si arrabbiò con me perché lo avevo abbracciato, facendogli gli auguri per il Natale. Anthony mi prese per le spalle e mi portò subito all'ingresso, facendomi infilare il suo cappotto blu, perché al mio era saltata la cerniera pochi giorni prima. Intanto, nostro padre aveva dato un pugno alla vetrina nel salotto, frantumando il vetro e ferendosi la mano.
- Anthony. - mormoro, mentre i due bambini camminano nella mia direzione. Ripeto il suo nome, ma sembra che non mi senta. E poi, mi accorgo di essere solo un fantasma non appena mi attraversano, ignari della mia presenza.
- Andiamo al parco! - esclama il piccolo me, saltellando allegramente. - Poi andiamo in centro: lì ci sono le bancarelle con i dolci della signora Jackson! -
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Brother || Ronnie Radke [OS]
Short StoryWhy is it always stormy weather? And, brother, tell me if it all gets better