La campanella che divideva le lezioni l'una dall'altra rimbombò per i corridoi ancora vuoti del Boston College. Mr. O'Connel, il mio insegnante di informatica e programmazione, aveva avuto un imprevisto ed era stato obbligato a interrompere la lezione un po' prima del previsto.
Con tranquillità riposi il libro d'informatica nell'armadietto e presi quello di biologia, l'ora che sarebbe seguita. Mi era sempre piaciuta la programmazione e avevo degli ottimi voti, ma a volte il signor O'Connel prendeva il proprio lavoro troppo sul serio. Mi domandai cosa gli fosse successo di così tanto eclatante, difatti, per indurlo a interrompere la lezione a pochi minuti dalla fine.
Grazie a lui, comunque, avevo potuto concedermi qualche minuto per respirare, ma l'ozio era stato anche troppo. La scuola era iniziata da pochi giorni e avevo intenzione di impegnarmi fin da subito, non volevo rischiare di rimanere indietro proprio l'ultimo anno.
Il caldo ancora afoso di settembre mi deconcentrava, quindi decisi di deviare il percorso verso l'aula di biologia passando per il piccolo balcone panoramico che si affacciava sul cortile del college. Era un posticino all'ombra immerso nel verde di piante rampicanti, a cui uno dei custodi era particolarmente affezionato, dove nessuno studente si fermava mai. Lì avrei trovato freschezza e tranquillità per trarre un sospiro di sollievo prima di addentrarmi nella lezione della professoressa Ivy.
Raggiunsi la porta e feci per girare la chiave sempre inserita nella serratura, tuttavia la trovai inaspettatamente aperta. Poggiandovi la mano sopra, il freddo metallo si spostò dietro al peso, dandomi uno spiraglio di visuale sull'ambiente all'esterno. E ciò che vidi mi fece passare la voglia di uscire.
Mi ritrovai davanti agli occhi quella che sembrava un'accesa discussione. Due ragazzi erano alla sinistra dello spiazzo, uno di fronte all'altro. Non sembravano avermi vista, erano così concentrati in quella apparente lite che non stavano guardando nella mia direzione, ma, anche se così non fosse stato, ero ben nascosta dietro la porta e solo un occhio attento avrebbe potuto scorgermi.
Avrei dovuto andarmene, ma qualcosa in quella scena mi immobilizzò sul posto, come se stessi spiando di proposito. Non era mia intenzione, ma ci fu qualcosa che catturò la mia attenzione. Qualcosa che non sapevo decifrare e spiegarmi, ma cercai di non darvi troppo peso.
Riuscii a riconoscere il più basso tra i due: era Simon Lew, un ragazzo sulla ventina, magrolino ma molto esuberante. Mi sorprese vederlo lì. Anche se non lo conoscevo molto bene, non mi era mai sembrato uno che cercava guai. Idiota e sconsiderato, a volte, ma quale ragazzo della sua età non lo era?
Quel pensiero scivolò via dalla mia mente in un batter d'occhio, sostituito dall'altra figura, sulla quale la mia attenzione si focalizzò quasi subito. Era così alto che la sua ombra ricopriva interamente Simon, incombendo su di lui come una minaccia. Gli occhi color tempesta del ragazzo sembravano voler inviare saette verso colui che teneva quasi sollevato da terra per il colletto della camicia. I muscoli del braccio erano gonfi, i tendini tesi in quello che sembrava uno sforzo più mentale che fisico, per lui. Dal modo in cui serrava i denti, sembrava stesse trattenendo a stento l'ira e qualche imprecazione.
Strano, non l'avevo mai visto a scuola, eppure non sembrava certo uno del primo anno.
«Vedi di capirmi la prima volta, quando ti parlo» pronunciò piano verso il povero Simon, che si sbrigò ad annuire. La sua voce era bassa e profonda, controllata al contrario di quanto sembrava il suo corpo.
Il ragazzo non parve particolarmente soddisfatto da quella risposta frettolosa e mormorata. Alzò un sopracciglio e gli occhi di Simon si spalancarono ancor di più. Sembrava tenerlo in pugno, in tutti i sensi. «Non ho sentito» pretese, scrollando il malcapitato per la camicia. Le gambe di Simon penzolavano qualche centimetro da terra come se fosse solo un pupazzo in mano a quel vile attaccabrighe.
Provai un profondo senso di ingiustizia per il povero Lew. Non erano fatti miei, e magari il tipo sconosciuto poteva anche avere tutte le ragioni del mondo per arrabbiarsi con lui, però ricorrere a quei metodi era barbarico. Mi ritrovai indecisa se intervenire o no. La lite sarebbe potuta degenerare facilmente, quindi potevo sventare un probabile pericolo, però era pur sempre un affare che non mi riguardava. C'era tensione ed elettricità nell'aria, e stava ripercuotendo i suoi effetti anche su di me.
«Certo, starò più attento» balbettò Simon, cercando di scandire le parole senza successo.
Gli occhi tempestosi del ragazzo si illuminarono per un attimo sotto l'ombra che i suoi capelli biondi gettavano sulla fronte. Sembravano tanti piccoli fili dorati, che rilucevano appena nella luce indiretta del sole che stava fuori.
«Bene.» La sua voce era bassa e profonda, e aveva un tono controllato. Questa volta la soddisfazione passò a carezzare quell'unica parola prima che il ragazzo si prendesse il disturbo di lasciar andare Simon. La sua mascella smise di digrignare i denti e io mi rilassai appena, rendendomi conto che, probabilmente, il peggio era passato. Mi accorsi che avevo origliato tutto il tempo, quindi feci per andarmene, ma la voce profonda tornò di nuovo a risuonare tra le mie orecchie.
«Ora togliti di mezzo e non farti più vedere.»
A quelle parole, Simon si affrettò ad allontanarsi da lui, mentre io tornavo al centro del corridoio con aria indifferente. Lo vidi passarmi a fianco, visibilmente scosso, del tutto ignaro della mia persona. Ormai ero mimetizzata nella folla di studenti che ancora si attardava dopo il cambio dell'ora, ero diventata parte della mischia.
Percepii una strana sensazione alle spalle, come se ci fosse qualcosa di sbagliato in tutta quella situazione. Mi sentii improvvisamente osservata, quindi mi voltai. I miei occhi incrociarono quelli burrascosi e grigi del ragazzo misterioso, che mi fissavano con un'aria che sembrava consapevole di ciò che avevo appena visto, quasi accusandomi. Il ragazzo non mi aveva vista nemmeno per sbaglio mentre origliavo, il suo volto non si era mai diretto verso la mia direzione, eppure sembrava essere al corrente del fatto che mi ero fatta gli affari suoi. O forse me lo stavo immaginando? In fondo non poteva saperlo in alcun modo.
Distaccare gli occhi dalla sua figura imponente per cercare di far finta di niente fu faticoso per via del suo sguardo indagatore che mi scivolava in ogni angolo del corpo, mettendomi i brividi. Quando mi voltai per proseguire nella mia direzione mi sentii meglio, nonostante la sensazione di disagio permanesse in me. Riuscivo quasi a sentire ancora i suoi occhi pesanti che cercavano la mia figura man mano che mi allontanavo da lui, ma mi convinsi che era solo frutto della mia immaginazione.
Cercai di scrollarmi di dosso quegli strani pensieri per tutto il percorso verso l'aula di biologia, dicendomi che si trattava solo di un caso. Non potei fare a meno, però, di farmi delle domande. Cosa ci faceva Simon, amico di tutti, in una lite così accesa? La rabbia del ragazzo era tale che sembrava avergli fatto un torto molto grande, eppure dalle sue parole non sembrava così...
Io ero solamente una spettatrice ignorante, che sicuramente si era persa qualche pezzo, ma non potevo fare a meno di pensare che avesse davvero esagerato.
«Cecile! Ce l'hai fatta per un soffio, la prof è qui fuori per una chiamata urgente!»
Alzai lo sguardo ritrovandomi davanti gli occhi grandi e brillanti di Valentine. L'azzurro che riempiva le sue iridi mi fece ritornare con i piedi per terra.
Così immersa nei miei pensieri, non mi ero nemmeno resa conto di essere arrivata a destinazione.
«Sì, beh, ho avuto un contrattempo» mi giustificai, senza voler scendere nei particolari. Sapevo che con Vale era impossibile tenersi qualcosa per sé, ma volevo perlomeno provarci.
Lo sguardo della mia amica, infatti, si colmò di curiosità, e lei aprì la bocca per farmi la prima domanda.
La voce della professoressa che nel frattempo era rientrata in classe, però, mi salvò dall'interrogatorio, permettendomi, forse, di risparmiarmi momentaneamente la curiosità incombente della mia cara amica. Durò per poco, tuttavia, quell'attimo di tranquillità. O meglio, durò finché non realizzai cosa stesse dicendo la signorina Ivy.
Alzai lo sguardo e trovai conferma nelle parole che avevo sperato per un attimo di essermi immaginata: a parlare con la signorina Ivy, accanto alla lavagna elettronica c'era lui, il ragazzo inquietante dagli occhi incolore.
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Memento Mori - Il diario di Davion Axellsön
FantasyCorre l'anno 1552. Davion è un colto aristocratico affamato e affascinato dal sapere, così tanto da spingersi verso una setta oscura che lo muterà in animo e corpo e lo legherà a un incantesimo per tutta la sua esistenza. Quasi cinquecento anni d...