Panico.

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  All'improvviso, Kevin dopo aver assaggiato il biscotto, svenne e cadde per terra.
-"Kevin? Kevin!"- ma agli urli di Jane, l'unica risposta fu un silenzio tombale. Nel panico del momento, Jane non pensò subito di tornare nel passato per evitare la perdita dei sensi di Kevin. Furono due le cose pensate subito da Jane: controllare il battito cardiaco e chiamare un ambulanza.
Il battito fu presente, e poco dopo Jane compose il numero dell'ambulanza.
-"Pronto?? Ho bisogno di un ambulanza a * * * * * * * *! Il mio amico Kevin è svenuto subito dopo aver mangiato un biscotto..."-
-"Ok signorina. Si calmi. L'ambulanza arriverà subito da lei."-
Dopo il segnale acustico, Jane compose un altro numero, e ebbe una prematura paura della reazione della prossima persona che stette per ricevere la brutta notizia: la madre di Kevin.
La madre di Kevin si chiama Christine è ed era una donna molto indaffarata, spesso irascibile ma mai con Jane, che la vedeva come la figlia che non aveva mai avuto. Lavora molto in un Hotel, e quindi è sempre impegnata. Jane ebbe paura perché la sua irascibilità é un carattere molto imprevedibile e appena qualcosa andava storto per mano di Jane, Christine era sempre a un passo dalla rabbia, ma appena vedeva Jane si fermava, per il motivo già accennato.
La linea fu occupata, niente di nuovo in realtà. Jane optò per un semplice messaggio nella segreteria.
-"Pronto, Christine...Kevin...Kevin ha perso i sensi e ho subito chiamato un ambulanza...ti aspetto all'ospedale * * * * * * * *...fai presto ti prego..."-
Jane fu completamente nel panico e fu troppo tardi ormai per tornare indietro. Le sirene dell'ambulanza si fecero sempre più assordanti. Jane si sentì di svenire anche lei, ma non era questo il caso. Fu semplicemente paura. Paura di quello che potesse succedere, paura dell'impredibilità. Ironicamente, paura del futuro.

Arrivati i soccorsi, tramite una barella presero Kevin e lo scortarono all'interno dell'ambulanza.
Li dentro ci fu una strana sensazione di "freddo", mise i brividi. Siringhe da tutte le parti immerse nel grigiume metallico illuminate dalla lampada dell'autovettura.
Per non parlare degli attrezzi di operazioni per la chirurgia presenti sui vassoi ai lati dell'ambulanza. Fu quasi impossibile non paragonarli a degli strumenti per tortura.
Kevin era ancora privo di sensi e Jane non sapeva cosa fare, ma gli infermieri li presenti furono molto gentili a tranquillizzare la povera ragazza, e quelle parole di conforto non furono completamente inutili.
-"Tranquilla, sarà solo pressione bassa, non si preoccupi."- le disse l'infermiere. -"Cinque minuti e saremo arrivati."-
-"Grazie...davvero."- Disse Jane con tono basso ma rassicurato. L'infermiere le sorrise, anche lui con sincerità. Il classico infermiere in camicia bianca come si vede nei film. Magro e alto. Capelli neri e occhi verdi. Si vedeva chiaramente che era di età giovane.
-"Sai, capisco cosa stai provando. Anche a me accadde una cosa del genere. Quella sensazione di panico, e uno strano senso di colpa uscito dal nulla. Non credo di certo che le parole di un medico ti rassicurano, ma sperarci non costa niente."-Ancora un altro sorriso, più sincero di quello scorso. Le sue erano davvero parole rassicuranti, e Jane non esitò a dirglielo.
-"Invece queste parole aiutano molto...mi chiamo...Jane."-Con aria titubante gli disse il nome.
-"Io mi chiamo John."-Appena detta l'ultima parola della frase, le sirene dell'autobulanza si spensero e ci fu una frenata, simbolo di essere arrivati all'ospedale.
Presero la barella con sopra Kevin e lo portarono all'interno dell'ospedale. Jane e John scesero per ultimi e anche loro andarono dentro l'edificio.
-"Da quanto sei infermiere?"- Chiese Jane curiosa.
-"Questo è il mio primo anno in realtà."- disse in imbarazzo. -"Ho voluto fare questo mestiere perche...voglio aiutare le persone...sembrerà sciocco e scontato ma...mi piace davvero farlo..."-
-"Tranquillo, non c'è niente di stupido, è un atto molto nobile invece. E poi non si direbbe che è il tuo primo anno sai? Dal tuo modo di fare ne dimostri almeno 3."-
-"Sei la prima che me lo dice."-
-"Sembra che adesso tocchi a me rassicurarti."-
-"Hey! Non rubarmi il lavoro!"-
-"Ok ok, ahah!"-
-"Sembri molto più rilassata rispetto a prima."-
E infatti fu così. Forse perchè fu proprio John e le sue parole a levare quello strato di timidezza e panico da cui Jane fu avvolta.
-"Già...spero che vada tutto bene..."-
-"Stai tranquilla. Ecco: questa è la stanza."- disse indicando la porta della stanza dove portarono Kevin. -"Per ora non puoi entrare, ma fra non molto lo potrai rivedere. Non ci vorrà molto."-
-"D'accordo..."-

"Quando potrò entrare" fu la domanda costantemente ripetuta nella testa di Jane. Continuava a fissare il cartellino del numero della stanza: "34".
L'ospedale era enorme. Molto facile perdersi e molto difficile ritrovare il punto in cui si voleva ritornare senza qualche dritta da chi ci lavorava nell'ospedale. Furono pochi i punti di riferimento per capire un minimo dove fossi. Ogni corridoio uguale a un altro, con piccole differenze come qualche barella sparsa in giro e delle sedie a muro messe fra le stanze.
Per non parlare dell'ansia che misero i medici che passarono da una parte all'altra del corridoio in camminata veloce e con gli occhi fissi su delle cartelline.
I minuti passarono e niente accadeva. Nessuna chiamata, nessuna entrata e uscita dalla stanza. Ma all'improvviso, dal fondo del corridoio, Jane sentì qualcuno chiamare il suo nome.
-"Jane!"-
Era Christine, la madre di Jane. Anche lei in preda al panico che correva lungo il corridoio.
Jane si alzò e andò verso di lei.
-"Christine...! Finalmente sei qui!"-
-"Appena sentito il messaggio in segreteria sono corsa qua. Dov è Kevin??"-
-"È in quella stanza. Hanno detto i medici che non è nulla di grave ma aspetto qui fuori da 10 minuti e sembra un eternità."-
-"E tu come stai??"-
-"Io sto bene..."-
-"Hey, tranquilla, non è colpa tua."-
Dall'interno della borsa di Christine si sentì una notifica del suo cellulare, molto probabilmente un messaggio riguardante al lavoro. Christine prese il telefono dalla borsa e con dispiacere era proprio un messaggio di lavoro.
-"È l'Hotel..."- disse Christine con aria amareggiata. -"Mi stanno cercando per dei servizi, ma non posso andarmene..."-
-"Non preoccuparti, Christine. Ci sono io qua."-
-"Sicura? Non voglio lasciarti sola..."-
-"Stai tranquilla."-
-"...e va bene. Grazie Jane, non so proprio come farei senza di te. Appena si sveglia chiamami, d'accordo?"-
-"Si. Ora vai, o farai tardi!"-
-"Ok. Ci sentiamo dopo. Ora tu stai qua e aspetta che chiamino. Al resto penserò tutto io."-
Poco dopo, Christine se ne andò. Dalla stanza, invece, non si ebbero ancora notizie.
-"Mi scusi, sa che ore sono?"- Jane sentì una voce maschile che veniva da dietro di lei. Si girò e si ritrovò un uomo alto con un cappello grigio, giubbotto nero e lungo con tasce molto grandi, jeans e scarpe nere. Aveva l'aria di essere un detective dei vecchi film gialli. -"Il mio orologio non vuole più funzionare."- disse l'uomo in nero con aria stranamente inbarazzata.
-"Oh...ma certo. Sono le 6 e 45 P.M."-
-"La ringrazio."-
-"Non mi dia del lei, sono io che devo."-
-"Va bene. Allora ti ringrazio."- disse con aria scherzosa.
-"Di nulla."- ricambiò il tono divertito.
Jane si risedette, poco dopo anche l'uomo in nero. Ci fu un attimo di silenzio fra i due. Quel silenzio imbrazzante che tutti abbiamo passato. Non sapere se continuare o meno un discorso, o tanto meno iniziarlo, ma l'uomo in nero fece il primo passo.
-"Aspetti di vedere qualcuno?"- disse curioso.
-"Si. Un mio amico, ma niente di grave. E lei?"-
-"Si, anche io sto aspettando, una mia amica. Purtroppo, non posso negare che non sia grave, ma non penso sia in pericolo di morte."-
-"Bhe, se non lo sa con certezza significa che è molto fiducioso."-
-"Già...probabilmente è così..."-
-"Posso sapere cosa è successo? Se vuole raccontarmelo, ovviamente."-
-"Un incidente in strada...ma non vorrei entrare nel dettaglio..."
-"Non si preoccupi...mi dispiace molto."-
-"Invece cosa è successo al tuo amico?"-
-"Una perdita di sensi inprovvisa. Hanno detto i medici che sarà pressione bassa. Aspetto conferme."-
-"Tranquilla, andrà tutto per il meglio."-
-"Grazie."-
Appena finita la frase, la porta della stanza si aprì e si vide John con un sorriso sulla faccia.
-"Jane, è tutto apposto. Ora puoi vederlo."-
-"Finalmente, sembrava un eternità."-
Jane si girò verso l'uomo in nero e lo salutò.
-"Arrivederci."-
-"Ciao ragazzina, e ricorda: non perdere mai la cognizione del tempo!"- disse l'uomo con aria scherzosa.
Jane era un pò turbata da quella frase, ma si riferiva chiaramente al concetto di eternitá di quei 10 minuti e ne approfittò per fare una battuta.

Jane entrò nella stanza, e vide Kevin sul letto.
-"Hey, Jane!"-

PICCOLO ANGOLO AUTORE
Eccoci alla fine del primo capitolo del nuovo stile di narrazione ecc.
Come avete potuto vedere il capitolo è più lungo, è tutto narrato da un narratore esterno (che per ora non saprete chi è) ed è tutto raccontato in maniera un pò fredda e forse criptica.
Le censure che avete notato ( * * * * ) sono luoghi di New York che non ho voglia di andare a cercare, anche perchè non sarei in grado di fare una mappa logica🤔
Inoltre, dal prossimo capitolo cercerò di usare unicamente come tempo verbale "L'imperfetto".


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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 12, 2017 ⏰

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