“Abbiamo finito, gente!”, disse il tizio che gestiva le riprese. Lui fece un sorrisino, scuotendo lievemente la testa, scese dalla pedana e si rivolse a un giovane in giacca e cravatta chiedendogli un caffè. Lei, invece, uscì quasi di corsa dalla sala, tenendo lo sguardo puntato sul soffitto, cosicchè nessuno potesse accorgersi che stava piangendo. Per un attimo i loro sguardi si incrociarono febbrilmente. Uno triste. L'altro fiero, che a poco a poco si addolciva. Lei abbassò gli occhi, e una lacrima quasi invisibile segnò il suo viso. Si girò e se ne andò.
Qualcuno bussò alla porta della stanza in cui lei si era rifugiata, aspettando che gli uomini della sua scorta venissero a prenderla. Si asciugò rapidamente gli occhi, schiarendosi la voce e preparandosi mentalmente a uscire dalla propria bolla di malinconia. “Avanti”, disse, senza girarsi verso il possibile interlocutore. Credeva che fosse Huma, la sua più fidata assistente. In quel caso sarebbe stata come un libro aperto per lei, le avrebbe spiegato il motivo del suo dispiacere. Un nome e un cognome. E migliaia di parole, ricordi e segreti. Invece no, non era Huma, e nemmeno la sua scorta.
Donald Trump. Bello, alto, di un biondo vagamente falso. La figura gentile e audace di cui lei aveva sempre avuto bisogno, una persona che per lei significasse “casa”. “Odora di colonia...”, pensò, mettendo per un secondo da parte i suoi doveri di madre e moglie. Ma subito ritornò alla quotidianità. Una quotidianità che, da quando aveva smesso di frequentare Donald Trump, si era gradualmente spenta. “Hillary...”, la chiamò lui. Lei si girò, guardando in basso e rimpiangendo i vecchi tempi. Non parlò, per paura di scoppiare a piangere.
“Sono stato troppo duro con te? Durante il dibattito, intendo.”
“No, stai tranquillo.”
Lei abbassò la testa. I suoi demoni interiori si erano risvegliati. La sconfissero. Per sempre.
“E allora cos'hai?”
“Nulla.”
“Mi stai mentendo.”
“Non sono obbligata a dirti la verità. Non sei mio marito.”
“Ma sono il vero padre di tua figlia.”
“Dammi un motivo valido per cui io non me ne debba andare di qui.”
“Ti amo, Hillary. Mi hai sentito. Ti amo ancora. E ti desidero dal giorno in cui hai voluto prendere le distanze da me. So benissimo che anche per te è così, sennò non saresti qui a struggerti in quel modo. Un modo di soffrire che ho sempre odiato, perchè sapeva prenderti e portarti dove voleva lui. Ti avrebbe portato persino sulla cima di un grattacielo. Ti avrebbe buttata giù. Tu avresti soltanto obbedito. Vedi? Ti conosco abbastanza da sapere come soffri, come gioisci e come sai mentire. Fuori sei la grande politica, la prima first lady a candidarsi, una donna con tanto di fegato. Ma dentro sei un'amazzone. Mi appartieni, eppure sei libera. Sei una meraviglia della natura nel tuo disordine. Non conosci limiti, ed è questo che mi affascina di te. La tua vera te non ha bisogno di altri per essere forte. Lo è già da sola. Eppure ti imponi dei freni. So che tu mi vuoi quanto ti voglio io, perciò non importa quanti muri stai costruendo tra di noi. Io ti imiterò, cercherò di essere forte almeno la metà di quanto non lo sia tu, e li supererò tutti. Per una volta, non essere la grande Hillary Clinton. Sii ciò che vuoi. E scegli bene chi avrai al tuo fianco. Ricordati che io non ho mai smesso di aspettarti. Ma se volessi continuare ad amarmi da lontano, io posso anche andarmene.”
Detto ciò, lui si girò verso la porta.
Eppure, dal lato opposto della sala, si levò una richiesta disperata, cinque lettere quasi impercettibili, cariche dell'emozione tipica di un amore proibito, ma sempre presente.
“Resta.”
Lei si passò una mano sugli occhi rossi di pianto, mentre lui si girava.
Lui le si avvicinò e la strinse in un abbraccio. Affiorarono i ricordi. I demoni. La pazzia.
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Il Dibattito
FanfictionUn dibattito non è altro che uno scontro, dove ognuno tira fuori il proprio istintoo animale e cerca di prevalere sull'altro. Ma ci sono volte in cui questa regola non vale, gli astri si allineano e gli sguardi si incrociano. A volte l'uno scava nel...