Com'è non avere un padre?

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Non nego che questo è il capitolo più difficile da scrivere, quello che tratta di un tema su cui la maggioranza delle persone è dubbiosa, non sa cosa pensare e su cui vorrebbe porre decine di domande a cui pochi sanno in realtà rispondere.
Cercherò di dare risposte esaurienti alle domande più frequenti.
Spesso, in conversazioni a scuola fra amici o in classe con gli insegnanti, qualcuno chiedeva "Ma questi bambini, non vorranno cercare il padre?". E l'insegnante una volta ha risposto "Secondo gli studi no, non cercano il padre."
Naturalmente nessuna di queste sue persone sapeva della mia famiglia ed è stato abbastanza spiacevole accorgersi che qualcuno credeva di saperne più di me di una situazione che a lui/lei era totalmente estranea. Naturalmente, il fatto che in quella conversazione non mi sia esposta non mi dava il diritto di ribattere e confutare la convinzione dell'insegnante
Questa insegnante aveva fatto l'ennesimo riferimento all'ennesimo, fantomatico studio, e questo era ed è tuttora un fatto che mi irrita molto: i riferimenti alle ricerche erano idonee quando in Italia ancora non si sapeva che i gay potessero avere figli senza adottarli, ma adesso, in un'Italia dove l'informazione, seppur fittizia, esiste, il riferimento a studi vari mi sembra solo una forma di idealismo, la stessa base che c'è nei discorsi di chi crede i gay danneggino i figli.
In fatto omoparentalità, questo è un rischio che si corre spesso.
Il primo concetto sbagliato che c'è nella risposta dell'insegnante è l'uso improprio della parola "padre". Fin da piccolissima, mi sono sempre rifiutata di usare "padre" e ancor peggio "papà" riferito ad una persona che non mi ha mai conosciuta nè tantomeno cresciuta. Perché dovrei chiamare così un uomo con cui l'unico legame che ho sono i 23 cromosomi che ho ereditato da lui, quando il giusto nome è "donatore di seme"?
Tuttavia, penso sia lecito chiedersi se noi bambini nati così ad un certo punto non vorremmo conoscere la persona che ci ha trasmesso metà DNA.
E la risposta è che la maggior parte di noi, anche se non tutti, se ne ha la possibilità, anche solo per curiosità, lo farebbe. Questo per controbattere a chi grazie ai sondaggi esteri è convinto che non sia così.
Non credete che io non sappia che questo sarà il cardine su cui si aggrapperanno gli omofobi e i dubbiosi per cercare di demolire mattone per mattone la mia teoria, ma penso che tutto questo, per risultare credibile e autentico, non debba essere troppo roseo. Perché effettivamente non lo è.
Tuttavia il fantasma del padre inesistente (un "eidolon" che si pensa si aggiri per le case di coppie omosessuali con catene cigolanti e lenzuoli laceri) è di fatto assente nella maggior parte dei casi: non è percepito come una sagoma vuota che ha abbandonato la famiglia, uno spazio vuoto da riempire, ma come una sorta di inusuale punto interrogativo. Il padre nelle famiglie omoparentali è immaginato in forma idealizzata, un personaggio che, proprio come quando si scrive una storia, può essere concepito in vari modi. Generalmente, si tende a catalizzare su questa figura tutti quei pregi che vorremmo avessero i nostri genitori, oppure, com'è successo a me, anche ad addossare su di lui la fonte dei problemi adolescenziali.
Non tutti noi abbiamo la possibilità materiali di conoscere il proprio: il donatore in molti paesi europei è sempre e solo anonimo, in altri puoi conoscerlo compiuti i diciotto anni, ma questo è a discrezione dei genitori. Io parlo dalla mia esperienza, ovvero da bambina e poi ragazza che non avrà mai modo di conoscerlo.
Quando ho scoperto, origliando una conversazione, shame on me, perché non avevo il coraggio di chiedere, che io non avrò mai modo di conoscere il mio donatore, sono rimasta a riflettere per ore e ore su tutto questo.
Non biasimo le mie madri per avere scelto di avere un figlio con l'inseminazione artificiale, ciò che dal mio punto di vista di adolescente posso rimproverarle è di aver scelto prima che nascessi se avrei potuto o meno conoscerlo una volta adulta. Non è nemmeno sicuro che, avendone la possibilità, l'avrei realmente fatto, ma quello che mi irritava profondamente e mi urta ancora è che qualcuno si sia preso il carico di una scelta che spettava a me.
Ragionevolmente comprendo il discorso che mia madre ripete quando ne parla, ovvero che aveva paura che io, bambina, passassi i primi diciott'anni della mia vita a crearmi delle aspettative su una persona che poteva innanzitutto essere morta, rifiutarsi di vedermi o essersi pentita di aver donato il proprio sperma.
Ma queste erano naturalmente delle verità troppo difficili da affrontare per me. E lo sono ancora.
In ogni caso bisogna essere coscienti che questa "mancanza" (anche se il termine è usato in modo improprio)  sarebbe da rimproverare, al massimo, alle mie mamme e a chi ha svolto il loro stesso ragionamento, non sicuramente a tutte le coppie omosessuali, poiché molte scelgono invece il percorso contrario.
Ma è tuttavia necessario distinguere il ragionamento da me appena esposto da quello di chi sostiene che noi sentiamo la mancanza (ben diversa dalla reale curiosità) di conoscere un padre.
Il fantasma del padre inesistente, come ho detto prima, nella maggior parte dei casi non è presente: si tratta di un'entità idealizzata su cui i bimbi si creano fantasie. Per esempio, nonostante sia io sia le mie mamme volessimo un fratellino, non siamo mai riuscite ad avere un altro bambino in famiglia.
E sapere che fosse possibile e anche molto probabile che io avessi fratellastri di cui non sapevo nulla mi è stato molto d'aiuto nell'affrontare l'infanzia da figlia unica, condizione che ho sempre sofferto molto.
Ad un certo punto però, essendomi messa nei panni dei genitori, degli omofobi e degli altri bambini, ed essendomi proposta di esporre delle argomentazioni ragionevoli, ho deciso di documentarmi riguardo ai donatori.
Alcuni in interviste e testimonianze sostenevano che donare lo sperma fosse come donare un organo o del sangue: non fa nessuna impressione sapere che qualcuno vive grazie a te, che si tratta di semplicissimo altruismo ma che se l'anonimato non fosse stato garantito, non avrebbero mai donato, perché pensavano che i futuri figli avrebbero turbato la serenità familiare dell'uomo. Molti non desiderano nemmeno sapere se sono state avviate gravidanze.
Posso esprimere la mia opinione, sgarrando al proposito di narrare in modo oggettivo?
Secondo me non è vero. Magari nel momento in cui si dona non si vuole sapere nulla di ciò che accadrà, in fondo, una persona e il proprio sperma sono distinti. Ma so di moltissimi figli e donatori che si sono ritrovati, anche se inizialmente anonimi, grazie ad anni di ricerche ed analisi del Dna, e so anche che sono i figli di solito a provare il desiderio maggiore in questo senso. Ma tutte le storie di ritrovamenti si concludono con frasi dei donatori che non si sentono comunque padri, ma tutt'al più zii preferiti.
Io non ci credo. Non credo che si possa non voler sapere se qualcuno lì fuori porta in corpo metà del tuo DNA, così come io ho questa curiosità, l'avrà anche lui.
E soprattutto so che esiste! Lui magari vive nel dubbio.
Magari è morto.
Quando dovrei incominciare il lutto?
E poi, è giusto consumare un lutto per qualcuno di inesistente?
Forse no. Ma in fondo esisto grazie a lui.

A.d.a.
Scusate questa fine di capitolo piuttosto drammatica, ma credo sia tutto sommato opportuna al tema di oggi.
Se avete qualche domanda, questa è la prima e unica occasione di abusare a vostro piacimento di questo stupendo mezzo di comunicazione costituito da Internet...

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